Lo studio “Stress test: il vino italiano alla prova congiunturale” di Banco BPM e Prometeia guarda agli effetti sul settore di uno scenario geopolitico di particolare gravità: una guerra in corso che ha effetti non solo attraverso la fisiologica sottrazione di spazi di mercato nei due paesi coinvolti (340 milioni di euro esportati nell’ultimo anno in Russia e Ucraina, con Piemonte e Veneto le regioni più esposte), ma pesa sulla fiducia globale e soprattutto sui costi delle imprese. Le conseguenze immediate sono una revisione al ribasso di quasi 3 punti nel biennio 2022-’23 per la crescita della domanda mondiale del settore. È tuttavia dal lato degli approvvigionamenti (costi, ma anche disponibilità effettiva) che le tensioni dello scenario si fanno stringenti. Nell’ultimo mese è infatti proseguita una dinamica inflattiva degli input strategici per il settore, confermando un trend già attivo nel 2021. Dopo lo shock proveniente dall’Est, le previsioni Prometeia per l’anno in corso stimano un aumento a doppia cifra per le commodity più rilevanti, dall’energia ai materiali d’imballaggio, ai fertilizzanti. Nonostante i due shock, uno di domanda e uno di offerta, il fatturato delle imprese si manterrà in crescita sia nell’anno in corso (+ 2,5% i volumi) sia nel 2023 (+1,6%). La sfida sarà tuttavia legata alla marginalità, attesa stabile nell’anno in corso, rispetto a un potenziale di pieno recupero dei livelli pre pandemia stimato fino a prima dell’invasione russa.
Quali strumenti per affrontare questa sfida? La ricostruzione della storia recente del comparto ha permesso di isolare la performance di quattro gruppi di produttori, organizzati sulla base del segmento di mercato presidiato. Ne emerge un quadro dove sofisticazione e qualità dei prodotti rappresentano la migliore difesa agli shock esogeni. Per i produttori luxury e premium il peso delle materie prime oscilla tra il 29% dei primi e il 46% dei secondi, mentre supera il 50% nei segmenti classic e mass market. In un momento di forte pressione sui costi, la specializzazione verso la qualità rappresenta quindi un punto di forza, tutelando margini che sono la condizione per finanziare investimenti produttivi e verso asset immateriali (marchi, brevetti, rapporti di filiera consolidati) oggi fondamentali per sostenere la competitività. Si tratta di un premio che emerge netto dagli indicatori di bilancio e che risulta abilitante per i processi di internazionalizzazione. Oltre il 55% dei produttori premium considerati risulta esportatore (poco inferiore, 49%, la vocazione internazionale dei luxury), mentre lo stesso indicatore è intorno al 30% per i segmenti inferiori.
Secondo le riflessioni di Prometeia e di Banco BPM la crescita all’estero e la qualità di prodotto sono elementi di un vero e proprio circolo virtuoso che alimenta l’upgrading del vino italiano da almeno un decennio e rappresentano un punto di forza da cui le imprese possono guardare allo scenario dei prossimi anni. Con un peso dell’export medio sul fatturato del 66%, il vino rappresenta oggi in molti mercati il primo prodotto del made in Italy alimentare. Un posizionamento crescente ha interessato
l’Italia anche rispetto agli altri produttori internazionali con una quota sull’import mondiale che nel 2021 ha raggiunto il 22% della domanda globale, e una penetrazione sempre più efficace proprio nei segmenti a maggior qualità. Un’analisi econometrica ha consentito di cogliere i cambiamenti strutturali dell’offerta italiana mettendo in luce come al netto di fattori ciclici o geografici, la produzione italiana all’estero si sia negli anni strutturalmente orientata verso le fasce più alte. Emblematico di questo percorso virtuoso, il successo del made in Italy negli Stati Uniti, primo mercato nel mondo per il vino e tra i più complessi in termini di competizione e accessibilità. Negli anni i produttori italiani hanno saputo ampliare il proprio posizionamento, oltre il 30% la quota nel 2021, riorientando l’offerta verso produzioni migliori (nell’ultimo decennio il prezzo medio del prodotto
made in Italy è cresciuto del 32%) ed entrando nell’immaginario collettivo con oltre 500 mila richieste ogni mese sul web relative a marchi e vini italiani.
“Il vino italiano subirà quest’anno una contrazione del proprio fatturato del 2,5%-3% a causa del combinato disposto di fattori congiunturali che con la guerra hanno subito un’ulteriore accelerazione”. Lo ha detto al Vinitaly, al convegno del Banco Bpm/Prometeia, il segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti. “Il quasi completo azzeramento delle vendite presso i mercati emergenti coinvolti nel conflitto – ha proseguito Castelletti -, ma soprattutto l’escalation dei costi di produzione, dell’inflazione e il crollo della fiducia dei consumatori sta creando una spirale particolarmente negativa sul vino italiano”. Allo stato attuale, Uiv stima un ulteriore aumento del costo medio di produzione per circa 400 milioni di euro, portando il surplus sui costi produttivi sui 12 mesi 2022 – che incidono ormai per oltre il 30% sul valore della bottiglia media – a 1,7 miliardi di euro.
“La congiuntura economica è indubbiamente complessa. Il conflitto russo ucraino ha ulteriormente aggravato un quadro già segnato dai rincari nella logistica e dagli aumenti dei prezzi delle materie prime (vetro +25%, cartone più che raddoppiato, tappi + 40%) che ogni giorno sempre di più mettono a dura prova gli operatori”, ha spiegato il direttore generale di Federvini, Vittorio Cino. “Federvini – ha aggiunto Cino – fin da subito ha messo in luce questi aspetti, ora occorre sostenere le aziende vinicole con azioni promozionali mirate che facilitino l’accesso a nuovi mercati e che prevedano un serio supporto nell’internazionalizzazione. Non possiamo vanificare la ripresa che lentamente stavamo recuperando- ricordo che il vino ha raggiunto i 7 miliardi in valore export – le aziende del settore stanno dimostrando una resilienza straordinaria ma le incognite all’orizzonte sono tante”.