Se da una parte il vino vero resta alcolico e contraddistingue la nostra storia millenaria, dall’altra i vignaioli aspettano da tempo il via libera per commercializzare il nettare di Bacco senza alcol. Una necessità oggi. Un’occasione da cogliere. Bisogna seriamente iniziare a fare i conti con i prodotti dealcolati e low alcol, che negli Usa non sono più una scelta secondaria rispetto al vino classico ma un vero e proprio business: rappresentano il 28% degli acquisti totali di prodotti vinicoli italiani, per un totale di 651 milioni di dollari di fatturato nella grande distribuzione e nei retail americani nel 2023. Il low alcol italiano, rappresentato sia da prodotti aromatizzati a base di vino sia da vini veri e propri, rappresenta quasi il 70% del totale della categoria (da 7 a 2 gradi). E si stima che cresceranno ancora.
Ma cosa si intende per prodotti low alcol? Rossi, bianchi, spumanti, prodotti aromatizzati tricolori classificati da NielsenIQ come vini poco alcolici, in gran parte a fermentazione parziale oppure dealcolati. Bottiglie, ma anche lattine, da 7 gradi in giù, quasi totalmente sconosciute nel Belpaese, ma sempre più presenti tra gli scaffali Usa. Vini italiani o prodotti a base vinicola venduti a un prezzo medio allo scaffale di quasi 16 dollari al litro, più del doppio rispetto alle omologhe bottiglie statunitensi (7 dollari) e addirittura il 5% in più al confronto con la media dei vini tricolori tradizionali.
E allora dove sta “l’inghippo” economico? Nel conto terzi: no e low alcol sono prodotti italiani commercializzati da imprese americane. Prodotti, quindi, importati dall’Italia finiti ed etichettati e sul mercato statunitense commercializzati con marchio proprio. Quindi il business, nella stragrande maggioranza dei casi, è appannaggio di aziende a stelle e strisce (80% del valore delle vendite), come da  elaborazioni dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) su base NielsenIQ. In pratica il segmento no alcol direttamente gestito da imprese tricolori vale negli Usa meno di 500 mila dollari. Un contoterzismo del made in Italy enologico sulla falsariga dello scenario evidenziato per i low alcol, reso ancora più evidente dalla impossibilità per l’impresa Italia del vino di accedere a un business, quello dei dealcolati, bloccato dalle leggi vigenti nel Belpaese, ma non in Europa. Con il paradosso di trovare al supermercato sotto casa vini no e low alcol di competitor stranieri, oggi in vantaggio su una ricerca e sperimentazione del segmento che sta facendo progressi di giorno in giorno. Spagna e Germania da anni hanno cominciato una filiera sul vino senza alcol. Negli Usa, oltre ai marchi americani, sono già venduti vini a zero gradi totalmente dealcolati prodotti da aziende spagnole, tedesche e francesi, che traggono beneficio da una regolamentazione in linea con quella europea.
Per il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti: “Il segmento low-alcol può rappresentare un’opportunità anche e soprattutto là dove il prodotto tradizionale fa fatica, come dimostra il record ventennale di vino rimasto in cantina al termine della scorsa campagna vendemmiale. Oggi per fare vini low alcol i produttori italiani hanno tre strade: utilizzare il vino come base per bevande aromatizzate, produrre vini da mosti parzialmente fermentati, oppure, in caso vogliano procedere con la dealcolazione, delegare il processo produttivo nei Paesi europei diretti competitor. In Italia purtroppo non si riesce a partire. Da tempo Uiv sollecita un intervento normativo per disciplinare una produzione che l’Unione Europea ha autorizzato da più di due anni. Al netto delle bozze di decreto, su cui abbiamo evidenziato le perplessità del settore vino – soprattutto in merito alla dealcolizzazione praticata solo da distillerie -, siamo gli unici a non aver ancora recepito il regolamento Ue, con evidenti svantaggi competitivi rispetto ai produttori comunitari – che possono produrre vini senz’alcol o parzialmente dealcolati scrivendo il nome “vino” in etichetta mentre in Italia la gradazione di un vino per essere definito tale non può essere inferiore a 8% vol. -. Riteniamo quindi che il Governo debba trattare con la massima urgenza questo tema non più derogabile, definendo con chiarezza e assieme al comparto un perimetro chiaro di azione”.