Alla consegna dei Gusto Awards, al teatro civico di Tortona, dove sono stati premiati gli artigiani dell’eccellenza nelle più importanti categorie enogastronomiche, merita attenzione il discorso introduttivo di Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, intervistato da Andrea Malaguti, direttore de La Stampa. Nella giornata mondiale della Terra, in cui Carlin Petrini ci richiama al senso di responsabilità facendoci riflettere sugli artefatti umani “che pesano più della biomassa dell’intero pianeta”, si pone il focus sul ruolo insostituibile del contadino che quella terra la lavora consegnando qualità. Parole che si trovano in sintonia con l’ordine del giorno del Consiglio nazionale di Unione italiana vini (Uiv), che in questi giorni ha ribadito forte e chiaro il no indiscriminato agli espianti – i cui premi garantiti dall’Europa una quindicina di anni fa oltre ad essere costati circa 3 miliardi di euro e aver dato una risposta solo temporanea al problema della sovrapproduzione hanno favorito un progressivo spostamento delle vigne in pianura, passata in poco più di 20 anni dal 30% al 50% del totale coltivato a vite in Italia – perché, come ribadisce il presidente Lamberto Frescobaldi, “la viticoltura porta vita. Salvare il vigneto significa ripopolare le zone: togliere il vigneto significa tornare all’abbandono, le aree interne del Paese ne sono un esempio vivente”.
Alberto Cirio pone la questione principale: “I primi custodi della terra sono i contadini. Questa è anche l’impostazione di fondo che anima il dibattito europeo oggi. Qui nell’Alessandrino, sui colli tortonesi ma non solo, in tutto il resto del Piemonte, il contadino è una figura chiave da preservare, difendere, valorizzare e di cui dobbiamo essere orgogliosi. I contadini non ci sono in tutte le regioni d’Italia. In alcune regioni le aziende vinicole sono proprietà di fondi stranieri – la vicina Toscana ne è un esempio – dove i lavori in agricoltura li fanno le cooperative, molto spesso straniere, e il vino lo fa un grande un enologo: non c’è più il contadino. Nel Green Deal spesso emerge che gli agricoltori non sono quelli che sostengono l’ambiente ma quelli che lo sfruttano e questa è una impostazione profondamente sbagliata, tradisce la cultura vera del contadino di questa terra”. Affonda: “Ricordo spesso e volentieri uno dei grandi barolisti e amico, Domenico Clerico, che vendeva il vino in tutti i grandi ristoranti del mondo e quando gli telefonavo mi rispondeva ‘aspetta che spengo il trattore’. In Europa si vorrebbe che si producesse di meno, ma guardate che gli agricoltori gli agrofarmaci li pagano ed essendo parsimoniosi per definizione se potessero farne a meno sarebbero i primi a non utilizzarli. Il problema è che bisogna stare in equilibrio tra necessità di produrre e salvaguardia dell’ambiente. In Europa non abbiamo tutti le stesse sensibilità”. E necessità. E su quanto pesino in questo senso le elezioni europee del prossimo giugno: “Tanto, anche a livelli di partiti. Quando si dice che Frans Timmermans era poco accorto, per non dire folle, come lo aveva apostrofato qualcuno, non è vero. Sosteneva che in Europa dobbiamo produrre meno in agricoltura? Lui è olandese e lo diceva perché meno produciamo più dobbiamo importare. Quando importiamo alimentiamo la catena del commercio estero e chi sono i campioni in Europa del commercio? Gli olandesi. Tutelava le sue esigenze. Se parliamo di vino, nel Nord Europa hanno una impostazione mentale diversa dalla nostra: non esiste la strategia del vino ma l’Alcohol strategy, perché non distinguono il vino dall’alcol. Conterà molto essere presenti nelle dinamiche europee, ma servirà un ragionamento complessivo diverso. I trattori che sono scesi nelle strade in Europa hanno aiutato a capire meglio la situazione. L’80% delle risorse che l’Ue investe in agricoltura vanno al 20% alle aziende agricole europee e questa è una stortura cui bisogna rimediare”.
Altro punto è l’educazione alimentare nelle scuole, per evitare di chiedere una grande responsabilità a chi produce quando i consumatori non hanno ancora capito fino in fondo l’importanza del cibo, che non è solo di tipo economico ma anche salutistico. “In Italia spendiamo di più per dimagrire che per mangiare, e questo è paradossale. In più sprechiamo cibo quotidianamente. Sono riflessioni che dobbiamo fare. Carlin dice che in un formaggio di montagna c’è la stessa cultura che troviamo in un dipinto antico. Ed è meraviglioso”. Continua: “Angelo Gaja, uno dei miei punti di riferimento, mi ha fatto notare che la catena non inizia dai produttori ma dai ristoratori. All’origine di tutto ci sono cuochi, pizzaioli cui dobbiamo molto. Ed è questo il motivo per cui abbiamo investito nell’evento The world’s 50 Best Restaurants: a giugno ci sarà il passaggio di consegne da Las Vegas a Torino. Questo ci permetterà di avere in città, per una settimana, i 50 migliori ristoratori internazionali e tutta la stampa enogastronomica mondiale”.
A tavola Alberto Cirio non si sbaglia. “Io ordino sempre un Nebbiolo giovane perché il Piemonte è la patria del Nebbiolo. Che sia Gattinara o che sia Barolo la partenza è sempre dal vitigno comune. Il mio abbinamento perfetto è con la carne piemontese con la nocciola”.
Sull’insegnamento del cibo a scuola: “Vorrei introdurre tre cose con l’autonomia scolastica che spero di avere: il potenziamento dell’ insegnamento del cibo, delle lingue straniere e delle persone. Sono stato alla cerimonia funebre di Pininfarina e pensavo questo: noi dobbiamo insegnare Olivetti nelle scuole piemontesi, Michele Ferrero, Pininfarina. Perché le persone sono quelle che fanno la differenza”. Sempre.