“Non mi ritengo un imprenditore o un manager, ma un contadino. È difficile che al mattino mi incontriate in vigna con gli stivali, ma è parimenti difficile che mi troviate in cantina in giacca e cravatta”, esordisce Franco Morando. I vini sono schietti, diretti, senza troppe sovrastrutture “come era mio nonno”, racconta. Non a caso il claim è “Dritti al cuore”. Continua: “Il commerciale non mi interessa più, lo lascio fare al mio team. Non parteciperò neanche più a colloqui di questo tipo perché, a dire il vero, l’ultima volta ho rovinato il contratto. A me piace parlare di vino, di vigne, di visioni, degustare i vini degli altri produttori”.
Il nostro viaggio stampa è una due giorni immersiva a cavallo fra due grandi zone vinicole: il Monferrato e le Langhe, tra le vigne del Ruchè, per la presentazione dell’ultimo nato in casa Morando, “Il Fondatore” Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Riserva 2021, tributo all’eredità del nonno di Franco, Enrico Riccardo Morando, mancato dieci anni fa, fondatore dell’azienda nel 1983 e fra i protagonisti della crescita economica di un territorio dal 2014 sito Unesco. Ma anche l’occasione per vivere Montalbera, la tenuta di famiglia, come meta enoturistica di lusso, fra yoga in barricaia, trekking e pedalate in vigna, relax nelle vasche idromassaggio con vista sulla proprietà aziendale in un contesto naturalistico rispettoso della storicità del terroir: 130 ettari a corpo unico a Castagnole Monferrato, di cui un centinaio vitati e un laghetto interno in chiusura di visuale. Oltre a 15 ettari di vigneto, a 400 metri slm, impiantati a Moscato d’Asti a Castiglione Tinella, luogo di origine del capostipite. Un’offerta completata da una spa e da 4 wine suites con affaccio su un anfiteatro di vigne e noccioli. Ad accogliere il visitatore sculture di arte contemporanea.
A Montalbera si investe in enoturismo, nella cosiddetta “experience”. Il futuro del mondo del vino è ormai questo. “Il nostro obiettivo è essere portavoce del Ruchè”, spiega Morando. “Stiamo lavorando per rendere la nostra tenuta un luogo che sia, oltre a un polo d’eccellenza enologica, anche un’oasi di benessere e bellezza immersa nei vigneti, esaltando il lusso naturale del territorio”.
La family company Morando, con settanta anni di esperienza nel mondo imprenditoriale, specializzata nel petfood e, in un’ottica di diversificazione del patrimonio azionario d’investimento, nel settore immobiliare, nella finanza e nel vino, fattura 250 milioni di euro, di cui sei l’azienda vinicola. Vino di punta è il Ruchè, dall’omonimo vitigno autoctono, qui spalmato su ben sessanta ettari o poco più, che ne fanno la prima azienda produttrice. “Siamo stati pionieri nell’approcciare il Ruchè al legno. Una pratica che era sconsigliata perché si eliminano i profumi primari: la rosa, la mammola, il mirtillo e si va a standardizzare il vino. Così abbiamo cercato di tenere il legno sullo sfondo, abbiamo inserito in cantina delle botti ovali, tra l’altro costose. Per noi l’armonia è fondamentale”, racconta Morando.
Interessante anche il Grignolino d’Asti affinato in anfora di terracotta. Grignolino che “si vende tutto nei paesi nordici e in Canada, dove ci sono i monopoli”, spiega, e di cui l’azienda vuole fare una super riserva. Il meno coltivato è il viognier, seppur presente con risultati interessanti. Immancabile la Barbera (d’Asti), dove la concorrenza è indubbiamente maggiore rispetto al Ruchè. Di nebbiolo si coltiva una vigna in sud pieno perché “è il primo a germogliare e l’ultimo a maturare”.
Un’azienda che ha creato un brand in vent’anni: fino al 2003 qui si conferiva l’uva alla cantina sociale. Oggi si producono circa 800mila bottiglie nelle varie tipologie e declinazioni. Con una linea dedicata all’horeca e una alla grande distribuzione, a cui sono destinate le esposizioni meno vocate. “C’è stato un periodo che il Ruchè si vendeva da solo perché c’era una forte richiesta, adesso siamo tornati a farlo conoscere, a investire ancora”. A proposito di mercati: “La Cina è un paese molto importante per noi”.
Montalbera non fa parte dell’associazione dei produttori del Ruchè. “Benché io rispetti tutti loro”, sottolinea. “È solo che quando con la tua fidanzataci bisticci tre volte la settimana preferisci restarci amico, che stai meglio. Ci sono cose che mi fanno rabbrividire. A marzo si fa l’anteprima di degustazione dell’annata precedente. Non si fanno queste cose, perché il Ruchè non è un vino novello, non dobbiamo berlo nell’immediato di un affinamento in vasca di acciaio per sei o sette mesi. Noi Laccento già lo proponiamo sei mesi dopo l’uscita del Tradizionale, poi c’è la Riserva”.
I suoli di limo, con forte componente di minerali come potassio, calcio, magnesio, si fanno sentire nel prodotto finito. Sono vini connotati da sapidità, che in qualche etichetta può essere paragonabile a una certa salinità, e da un’acidità più contenuta rispetto alle zone molto calcaree dell’Alto Monferrato, di contro riscontriamo nel bicchiere espressioni aromatiche più pronunciate. Sono vini meno strutturati, meno concentrati però più profumati e nitidi nella pulizia aromatica. “Questa è una di quelle annate che bisogna esser bravi a portare in cantina. Ci sono diverse criticità dovute alle piogge abbondanti che stanno penalizzando anche il turismo. L’incoming è un aspetto importante perché la vendita della bottiglia di vino è sempre più associata a un’emozione, a un evento, non si tratta più di acquistare un prodotto fine a se stesso, per necessità di bere. L’enoturismo mitiga le ‘bizze’ del mercato”, spiega l’enologo Nino Falcone. Obiettivo: puntare sulla longevità. “Nel nostro Ruchè La Tradizione, dalle forti caratteristiche identitarie, valorizziamo la parte fresca, floreale, esile ma molto aromatica. Con Laccento, da una intuizione di Franco, siamo andati a lavorare sulla sovramaturazione in pianta in modo da concentrare per disidratazione la componente aromatica e polifenolica per ottenere profumi e tannini concentrati. Circa un 20% del Ruchè aziendale è frutto di vendemmia tardiva, che porta ad alcolicità importanti. Per questo motivo col tempo siamo arrivati a un blend per un vino con una componente più fresca, come nel Ruchè La Tradizione, e una più strutturata, come nel nostro Laccento. Successivamente abbiamo individuato la vigna migliore per il Ruchè e dal 2021 la vinifichiamo separatamente per realizzare un cru in purezza, il Fondatore, in cui cerchiamo di valorizzare struttura, acidità, con macerazioni più lunghe, estrazioni e affinamento maggiori ma senza snaturare troppo il vitigno. Un gioco di delicati equilibri. Questo per ottenere un vino con cui poter fare delle verticali interessanti. Il Ruchè è un grande vino in un grande territorio e si merita tutta la nostra attenzione”.
(Il Ruchè Riserva “Il Fondatore” presentato alla stampa)