Il mercato del vino sta attraversando un periodo di recessione, con dati che indicano un calo dei consumi e dell’export in diversi mercati globali, incluso quello italiano. Questa recessione è visibile in cali di volume e valore delle vendite, sia per il mercato interno, che mostra segni di rallentamento, sia per le esportazioni.
I dati forniti da Unione italiana vini evidenziano un mercato globale del vino italiano in forte contrazione nel primo trimestre dell’anno. L’export verso i Paesi extra-Ue ha chiuso con volumi in calo tendenziale di quasi il 9% (-0,1% il valore), nonostante il +4% degli Usa (che però chiude marzo in frenata). Senza la performance nel Paese a stelle e strisce, il calo presso i mercati che secondo alcuni dovrebbero fare da contraltare alle chiusure commerciali d’oltreoceano sfiorerebbe il -17%.
Il settore sta affrontando sfide significative, principalmente a causa di fattori geopolitici, economici e cambiamenti nei comportamenti dei consumatori.
Per il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi: “Negli ultimi sei mesi abbiamo assistito a un apparente paradosso: le spedizioni italiane verso gli Stati Uniti sembravano reggere o addirittura crescere in alcuni comparti, ma i dati reali sui consumi raccontano un’altra storia, ben più preoccupante. La corsa pre-dazi ha illuso i mercati ma la situazione è diversa: i consumi finali sono in calo o nella migliore delle ipotesi stagnanti. È quindi fondamentale non confondere le uscite (export) con il consumo reale, perché la vera analisi deve concentrarsi sul comportamento del consumatore finale, non solo sui dati doganali. Il rischio è quello di una falsa percezione di solidità del mercato che può portare a decisioni errate lungo tutta la filiera”.
Uno squilibrio tra spedito e consumato che dal mese di marzo sta riscontrando un riallineamento. Per la prima volta, complice la minaccia dei dazi a metà mese, si riscontra infatti un’inversione di tendenza (volumi a -3,5%) delle esportazioni verso il mercato americano. E il futuro, in regime di dazi, si prospetta complesso: “La fascia superpremium – da 15 euro/litro alla cantina – rappresenta solo il 2% dei volumi e l’8% dei valori del nostro vino negli Usa sarebbe pericoloso aggrapparsi alla tesi dell’insostituibilità in virtù di un posizionamento alto dei nostri prodotti. L’export made in Italy si fonda infatti su un centrato rapporto qualità prezzo. Serve quanto prima un confronto con istituzioni per attivare una difesa reale del settore”, commenta il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti.
Lato consumi, le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Nielsen presso grande distribuzione e retail nei primi 3 mercati al mondo (Usa, Germania e Uk) registrano nel trimestre cali tendenziali a volume dell’8% (-5,5% a valore), con Stati Uniti a -5,4%, Germania a -11,8% e Uk a -6,4%. In difficoltà, a eccezione del Prosecco, quasi tutte le principali denominazioni: dal Pinot Grigio delle Venezie al Chianti, dal Lambrusco ai rossi piemontesi ai bianchi siciliani. Fase difficile anche in Italia: in Gdo nel trimestre volumi in calo di circa il 4% ma si prevedono decrementi ancora maggiori nella ristorazione.
Una ripresa nel 2026? Secondo una ricerca condotta dall’Università di Bordeaux e dall’Università degli Studi di Verona, se l’inflazione sarà contenuta, il 2026 potrebbe segnare l’inizio di una fase di recupero per il settore vitivinicolo.