Analisi di Studio Impresa e Corriere Vinicolo: crescita del +2%, ma le dimensioni contano per la redditività e la competitività futura

(Credits: Stefano Calamelli)

Il mondo del vino italiano chiude il 2024 con una tenuta complessiva che sorprende, ma sotto la superficie rivela una frattura profonda: mentre le grandi aziende crescono, una parte consistente delle medio-piccole fatica a rimanere in equilibrio. È quanto emerge dal nuovo report di Studio Impresa – Management DiVino, realizzato in collaborazione con il Corriere Vinicolo, che ha analizzato i bilanci di 877 imprese su un totale di mille aziende vinicole italiane.
Il dato generale parla di un settore che, nonostante un contesto sempre più complesso, riesce a chiudere l’anno con una crescita dei ricavi pari al +2% (+0,7% al netto dell’inflazione), e con un Ebitda in miglioramento: 10,5%, in aumento del 7,4% rispetto all’anno precedente. Ma la fotografia completa mostra un’Italia vinicola a due velocità: 415 imprese hanno infatti perso redditività, e il discrimine principale sembra essere la dimensione aziendale.
Le grandi cantine — quelle con fatturati sopra i 50 milioni di euro — rappresentano appena il 6,27% del campione, ma da sole generano più della metà del valore totale analizzato (13,4 miliardi). Sono anche quelle che crescono di più: nel triennio 2022-2024 registrano un +8,4% sui volumi dei ricavi. Le imprese con un giro d’affari tra 20 e 50 milioni di euro mantengono un ritmo positivo (+4,5%), mentre cala in modo significativo la fascia 10-20 milioni, che arretra del 9,9%. Le aziende sotto i 10 milioni — pur avendo arginato le perdite nel triennio — rappresentano il 71% di tutto il campione, ma generano soltanto il 17% del valore del comparto. E, soprattutto, sono quelle che soffrono di più quando si guarda ai margini: le più piccole scendono rispettivamente del -16,4% (sotto i 5 milioni) e -6,4% (tra 5 e 10 milioni), mentre le medio-grandi (10-20 milioni) recuperano terreno con un +9,1% di redditività.
Di fronte a questi numeri, il presidente di Unione Italiana Vini, Lamberto Frescobaldi, non si nasconde. «Il settore ha bisogno di una riforma strutturale per sostenere la competitività», afferma. E sottolinea come efficienza, managerialità e crescita dimensionale siano ormai elementi imprescindibili. «Piccolo è bello è uno slogan del passato. Le nostre imprese — con una superficie media della vigna di 2,3 ettari contro i 10,5 francesi — devono puntare a irrobustirsi. Le dimensioni contano, anche per attivare economie di scala». Frescobaldi spinge anche sul tema delle aggregazioni, «da incentivare con un intervento pubblico», ricordando che il futuro della competitività italiana passerà anche da qui.
Sulla stessa linea Luca Castagnetti, direttore del centro studi Management DiVino, che invita a leggere questi numeri in una chiave più ampia: «Il mondo del vino deve trasformare le difficoltà in occasioni di adattamento dinamico. Serve una lettura manageriale più profonda, perché il mercato sta cambiando e il 2025 rischia di restituire un quadro ancora più complesso rispetto all’anno analizzato». Castagnetti insiste sull’importanza di strategie nuove, capaci di tenere il passo con la volatilità attuale, non solo economica ma anche climatica e geopolitica.
Il dossier del Corriere Vinicolo entra poi nel dettaglio territoriale, confermando l’egemonia del Veneto: prima regione italiana per volumi di ricavi, in crescita del 4,35% rispetto al 2023, ma soltanto 13ª per redditività (Ebitda 8,72%). La Toscana primeggia nel valore generato (Ebitda regionale al 21,98%), seguita da Lombardia e Piemonte, con distretti d’eccellenza come Franciacorta — che sfiora un margine del 21,68% — e Livorno, trainata da Bolgheri che raggiunge un sorprendente 53,75%.
La forza dello studio sta anche nel metodo. Il campione è basato sui bilanci 2022-2024 depositati al Registro Imprese entro il 15 ottobre 2025, analizzando solo realtà con ricavi superiori al milione di euro. Le variabili considerate sono molte: dimensione, modello societario, struttura di filiera, politica di investimento, indebitamento, valore aggiunto. Un lavoro capillare che, per il quarto anno consecutivo, offre una fotografia chiara di come si stia muovendo il vino italiano.
La conclusione è semplice e complessa allo stesso tempo: il settore tiene, ma non tutto il settore tiene allo stesso modo. La pressione competitiva globale, la contrazione dei consumi sui mercati tradizionali, la necessità di innovare e di investire in modo diverso stanno ridefinendo le gerarchie interne. Le imprese che riusciranno a crescere in dimensione, struttura, competenze e solidità finanziaria avranno più strumenti per affrontare le nuove sfide. Le altre dovranno scegliere se cambiare passo o unire le forze.
Ed è proprio qui che si gioca il futuro del vino italiano: in un equilibrio delicato tra identità artigianale e modelli industriali più forti, tra radici e necessità di essere competitivi in un mondo che non aspetta.