Sono quasi le sette e mezza di sera. Comincia a far buio presto. Lascio alle spalle l’antica chiesa parrocchiale di san Nicolò, con la sua silenziosa piazza circondata da un muro di cinta. Il campanile orienta il viaggiatore nella valle. Da questo balcone panoramico la vista è su un mare di vigneti che a quest’ora si perdono allo sguardo. Le luci in valle la rischiarano. Mi sembra di  essere entrata in un libro di fiabe. Il silenzio assordante è disturbato solo dal tacchettio delle mie scarpe. Cosa nasconde questo borgo dell’Oltrepò Pavese di origini probabilmente celtiche?
Golferenzo è un angolo fuori dal tempo, arroccato su se stesso secondo uno schema diffuso lungo tutto l’Appennino per i piccoli abitati di fondazione medievale, dove non è difficile immaginarsi la vita che vi si è consumata. Le vestigia del castello consistono in una torre in cui furono rinvenuti ceppi di tortura.
“Scusi per la Corte del Lupo?”, chiedo a un passante che suppongo del luogo, ma che non lascia spazio a dubbi con il suo serafico “I don’t understand”. Pochi passi più in là, addentrandomi nel vicoletto (che poi scopro avere un nome, via Garibaldi), dal fascinosissimo sapore medievale con le sue costruzioni in pietra locale a vista, mi imbatto in un altro passante. Stessa domanda. Più o meno stessa risposta: “I don’t know”. Mi va male anche con un terzo (“What?”). E pure con un quarto, sempre straniero. Hanno tutti in mano un sacchetto della spesa, ecologico, dove spuntano prodotti artigianali. Stanno rincasando verso la loro dimora: Cà dal Pum Rus o, forse, Cà dal Muscatè, Cà dl’Erminia, leggo, camminando, anche un più sobrio Villa Laura e poi Cà dal Laur, Cà di Pusten, Cà di Rugal. Ogni casa ha il suo nome, che rievoca un passato. Nel borgo medievale c’è anche una postazione per la mobilità green, un sistema di ricarica delle auto che prevede l’utilizzo di energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico.
Intanto ne incontro un quinto (di passante), ma lascio perdere. Da non crederci: a Golferenzo, nell’alta valle Versa, dove riesco pure a perdermi, ci sono più stranieri in giro che abitanti: tradotto, più o meno 150 residenti nell’intero territorio comunale, di cui neanche otto anime nel borgo storico, la parte più antica.
Riesco ad arrivare alla Corte del Lupo, enoteca con ristoro aperta in piena pandemia, giusto perché, letteralmente, ci finisco davanti, in una lunghezza totale di percorso, a schema quasi labirintico e su più dislivelli, che non supera il chilometro, ma dove tutto è perfettamente integrato e armonico da non lasciarsi distinguere. L’ultima volta che mi sono fermata qui, a parte una toccata e fuga la scorsa estate nel fiume di persone arrivate per Convivium, ero poco più che bambina e il progetto di cui vi sto per parlare ancora non esisteva. Mi ricordo un vigneto dove mio papà mi aveva portata per parlare con un altro viticoltore. Non c’era nulla quassù a parte le viti.
Oggi, Golferenzo, ancora Lombardia ma quasi Emilia, opens to meraviglia. Vestita della sua essenza evocativa, che può essere ricostruita solo attraverso una prospettiva soggettiva ed emotiva.

Alla Corte del Lupo degusto vini che non conoscevo di produttori che, invece, conosco, come il Metodo Classico Inganno 572 di Calatroni da Riesling Italico, la Barbera Pezzabianca di Bisi che affina in barrique per 12 mesi e Senso di Monsupello da una selezione di uve Chardonnay da vendemmia tardiva.
Lo sguardo scorre su alcune bottiglie dalle etichette originali e divertenti, di evidente mano d’artista, come la Bonarda Wulfario, che richiama nel nome quel guerriero longobardo, Wulfart, che attorno alla prima metà del settimo secolo ha dato il nome a questo insediamento d’altura. Alle pareti quadri di pittori contemporanei, un artista diverso ogni mese. Il giardino d’inverno, con dehor riscaldato, prolunga piacevolmente il ricordo dell’estate. “Grazie a una partnership con una cantina qui vicino produciamo la nostra linea Vigne dell’Angelo, che era il nome di mio padre. Siamo giovani produttori di vino ma vecchi produttori di uva, ormai da più di tre generazioni, nei comuni di Santa Maria della Versa, Montecalvo Versiggia e Golferenzo. Non ho mai dato a mio padre la soddisfazione di fare il viticoltore come lui perché a un certo punto me ne sono andato, lasciandolo solo con i suoi vigneti, anche se sono sempre tornato quando c’era bisogno di me. Non sarò mai in grado di replicare la sua sapienza contadina, ma l’ambiente semplice in cui sono cresciuto ha stimolato la mia voglia di fare. I vini nascono con il progetto che ci ha portati di recente a investire nel turismo enogastronomico qui a Golferenzo, nel borgo antico, dove si possono trovare tutte le nostre etichette, tra l’altro disegnate da mio figlio Marco. Se non l’annoio gliene parlo… Il Bargnif che suona la fisarmonica, per esempio, è un ranocchio ubriaco, una sorta di spiritello che vive nei fossi dell’Oltrepò e che rappresenta il nostro Moscato, da versanti di terre bianche calcaree. Marcel, omaggio a quel don Marcel che fu parroco del paese, è un Pinot nero giovane vinificato rosso e si distingue per un cappello da contadino su una testa a forma di grappolo d’uva. Il Metodo Classico Pas Dosé Mun Caru, almeno 36 mesi sui lieviti, che porta in etichetta una luna bonaria che sorride su un mare di colline vitate, richiama nel nome Montecalvo Versiggia, dove abbiamo i vigneti, una zona molto vocata per la base spumante. L’immagine di un re nano dallo sguardo strabico e fiero invita a scoprire il nostro Riesling Renano. I Gatti di Laura, un Pinot nero vinificato in bianco, è la nostra etichetta dedicata alla gattara storica di Golferenzo, Laura. Sa perché si chiama così? Perché Golferenzo è terra di gatti, di una colonia felina molto conosciuta e ci sembrava giusto ricordarla”.

Luigi “Gigi” Brega,  è quel ragazzino cresciuto fra le strade sterrate e le case di sasso di questo paese, villaggio di stirpi di contadini e di gatti, oggi imprenditore visionario, anche se il termine gli sta un po’ stretto (“sono uno che ha semplicemente a cuore il suo territorio”). A Golferenzo, dalla scorsa estate uno dei “Borghi più belli d’Italia”, ha creato un borgo parallelo che viaggia su un’altra frequenza ma integrato nel primo: un hotel di charme diffuso, il primo della Lombardia, dove il “cliente” non si sente tale, in albergo, ma abitante del borgo stesso. Un nuovo modo di fare turismo esperienziale, che rispecchia la personalità di chi lo ha voluto e, contemporaneamente, lo spirito del territorio, promuovendo accoglienza, cultura, natura, piacere di stare assieme, condivisione di valori. E quel non farti sentire “fuori luogo”, nel senso di via da casa, che stimola in chi vive l’esperienza comportamenti virtuosi, partecipativi e solidali, di rispetto di persone e luoghi. Un altro modo di guardare al territorio, ossia come aggregato culturale, quel genius loci in cui i confini non sono delimitati dai chilometri di suolo ma da sentimenti comuni. Da queste premesse nasce il Borgo dei Gatti, all’interno del minuscolo borgo medievale, che con una sapiente e rispettosa ristrutturazione conservativa ed ecosostenibile si compone di spazi che sanno interagire con l’emozione. Nelle dimore per l’ospitalità, dal fascino antico con i loro soffitti originali e i mobili di recupero, il cestino di vimini con colazione biologica a km zero, portato direttamente a casa al mattino, sa di super coccola. Un angolo di relax è la piscina a sfioro panoramica, con vista che non poteva che essere sui vigneti. Due le aree ristoro per un’esperienza enogastronomica di livello: la Corte del Lupo e l’Olmo Napoleonico. La prima è un’enoteca dove tirar tardi la sera con cucina creativa senza tradire la memoria del territorio e ingredienti a filiera corta, un presidio Slow Food per promuovere cibi buoni, puliti e giusti, mentre la seconda, che deriva il nome dalla leggenda che vuole Napoleone, dopo la battaglia di Lodi, arrivare a Golferenzo e riposarsi all’ombra di un grande olmo, offre una scelta fra oltre trenta pizze gourmet a lievitazione lenta, ma consigliato è anche il fritto misto. E per chi desidera tornare in città con prodotti di nicchia che raccontano il territorio la tappa è alla Bottega del Lino, una sola stanza scrigno di piccoli tesori. “Arricchirà la proposta il nuovo centro benessere, con una parte interna ed una esterna, operativo da novembre”, spiega Paola Calonghi, anima del progetto ricettivo insieme a Luigi Brega, che qui si è trasferita da Milano più di dieci anni fa (e che oggi rientra tra gli otto abitanti del borgo antico). “Stiamo cercando di destagionalizzare il flusso turistico. Una cosa che mi ha sempre dato fastidio è l’idea che l’Oltrepò nasca a marzo e muoia ad ottobre, terminata la vendemmia”.


Il percorso benessere è in divenire, come racconta Brega: “Lo proseguiremo l’anno prossimo in una casa antica appartenuta a mia zia, dove ci sarà una corte con piscina riscaldata, una private spa e un albergo con delle camere da cui si potrà accedere direttamente all’experience”. Continua: “Un relais di campagna anticamente era una stazione di posta adibita a sosta temporanea dei corrieri e delle diligenze, un luogo dove fermarsi nel mezzo di un lungo viaggio per rilassarsi con un buon pasto, un buon bicchiere di vino e un letto comodo per poi ripartire il giorno seguente. Il Borgo dei Gatti vuol significare ancora questo, un posto dove staccare la spina anche per una sera, per una fuga dalla città. Vogliamo trasmettere calore. Si è presentata l’opportunità di portare qui degli chef stellati, ma abbiamo preferito mantenere lo spirito profondo del territorio”.

Il progetto ha il merito di aver costruito il linguaggio del luogo con una narrazione coerente e unitaria, capace da una parte di connettere la comunità e dall’altra di sedurre e attrarre i visitatori. Perché nei paesi non basta recuperare o ricostruire gli edifici, ne va prima di tutto ricostruita l’identità. Gigi Brega, che era proprietario di alcune abitazioni ereditate dalla madre, ha deciso di investire nella rinascita del borgo con un’ambizione. “L’albergo diffuso combatte lo spopolamento delle aree rurali, un problema di tanti borghi dell’Appennino, porta lavoro, crea un’economia di scala. Tenere in vita i borghi significa tenere in vita tradizioni, dialetti, prodotti tipici che altrimenti andrebbero persi. La bottega, chiusa per più di quarant’anni, l’abbiamo riaperta l’anno scorso. Da bambino, quando giocavo tra le stradine spopolate, coltivavo il sogno di farle rinascere. Poi i miei genitori mi hanno fatto studiare e mi sono inevitabilmente allontanato dal paese. Ma appena ho avuto a disposizione le risorse per poter realizzare quel sogno, il mio sogno, sono tornato. In Oltrepò Pavese c’è l’abitudine di fare le cose quando arrivano a pioggia le risorse dall’esterno. Da imprenditore privato, io mi sono sempre rimboccato le maniche, scommettendo prima di tutto sulle mie capacità”. Conclude: “La nostra idea di lusso è la riscoperta del vivere slow, è un ambiente non urlato, è la cura delle persone, che quando vanno via si devono sentire rigenerate e con la voglia di tornare. Lusso è uno stile di vita, una ricerca di armonia fra le cose, creare esperienze esclusive che soddisfano delle aspettative. Lusso è ritagliarsi il tempo per prendersi cura di se stessi. Ma soprattutto il lusso ha a che fare con lo star bene. E con qualcosa di indimenticabile, perché si connette con la nostra anima. Non c’entra con l’essere ricchi. Una certa semplicità agricola me la porterò sempre dentro, nel modo di pensare, di vivere, di guardare il mondo”.
Nel suggestivo racconto di Luigi Brega riaffiorano, indelebili, i ricordi dell’infanzia a Golferenzo, le figure e gli ambienti del passato, i termini dialettali coltissimi, ancora vivi, registrati e conservati in un cassettino della memoria che procede a intermittenze. Sicuramente per lui, come per il Marcel di Proust, questo è un tempo (prezioso) ritrovato. Che dà identità al borgo.