La cucina italiana è Patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco. Un riconoscimento che va oltre la celebrazione gastronomica e che restituisce alla cucina italiana il suo valore più profondo: quello di pratica culturale viva, condivisa, tramandata e radicata nella quotidianità delle persone e dei territori.
L’Unesco, come è noto, non tutela singoli piatti o ricette iconiche, ma sistemi culturali complessi. Nel caso della cucina italiana, il riconoscimento riguarda un insieme articolato di saperi, gesti, rituali, relazioni sociali e legami con il territorio che si esprimono nel cucinare, nel mangiare insieme, nel trasmettere conoscenze da una generazione all’altra. È il “come” si cucina e si condivide il cibo ad essere riconosciuto, prima ancora del “cosa”.
Il percorso che ha portato a questo risultato è stato lungo e costruito nel tempo, attraverso un lavoro collettivo che ha coinvolto studiosi, istituzioni culturali, comunità locali e realtà legate alla filiera agroalimentare. All’interno di questo processo hanno operato anche esperti di diritto e di patrimoni culturali immateriali, tra cui Pier Luigi Petrillo, già attivo da anni sui temi Unesco, che ha contribuito all’impostazione scientifica e giuridica del dossier, in linea con i criteri internazionali richiesti dall’Organizzazione. Ne parleremo la prossima settimana su famiglia Cristiana con una intervista alla promotrice della candidatura.
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Ciò che intanto emerge con forza da questo riconoscimento è l’idea della cucina italiana come linguaggio culturale condiviso: un patrimonio che vive nelle case, nelle famiglie, nei piccoli gesti quotidiani, nelle feste, nelle stagioni e nei territori. Una cucina che riflette la pluralità delle identità regionali ma che trova unità nella convivialità, nel rispetto delle materie prime, nella relazione tra uomo e ambiente.
In questo quadro, il vino non è un elemento accessorio ma parte integrante dello stesso sistema culturale. La cucina italiana e il vino italiano crescono insieme, si definiscono reciprocamente e condividono un’identica radice territoriale. Il vino accompagna il pasto, ne rafforza il valore simbolico e sociale, contribuisce alla dimensione conviviale che è uno dei pilastri del riconoscimento Unesco. È cultura materiale e immateriale allo stesso tempo: frutto del lavoro agricolo, ma anche veicolo di relazione, racconto e identità.
Va precisato con chiarezza che oggi non esiste una candidatura autonoma del vino italiano come patrimonio immateriale Unesco. Tuttavia, il vino è già presente all’interno di riconoscimenti più ampi, come quello della Dieta Mediterranea, e trova ora una collocazione ancora più coerente e naturale nel riconoscimento della cucina italiana come sistema culturale. In questo senso, il vino viene riconosciuto non come prodotto isolato, ma come parte di un insieme di pratiche e valori condivisi.
Il valore di questo riconoscimento si riflette anche sulla filiera contemporanea. Rafforza una visione del cibo e del vino come espressioni culturali da tutelare, raccontare e trasmettere, non solo da commercializzare. Invita a ripensare il rapporto tra produzione, territorio, sostenibilità e turismo, valorizzando le esperienze autentiche e la dimensione relazionale dell’enogastronomia.
Raccontare oggi la cucina italiana come patrimonio Unesco significa quindi raccontare un’idea di cultura che vive nel presente e guarda al futuro. Una cultura fatta di gesti semplici e profondi, di memoria e innovazione, di territori e persone. E in questo racconto, il vino continua ad avere un ruolo centrale: non solo nel bicchiere, ma nella storia condivisa che accompagna ogni tavola italiana.


