Quest’anno abbiamo vendemmiato nel vigneto sperimentale di Gianluca Marchetti, socio di Vini San Valentino insieme a Roberto Mascarin sui colli di Rimini (Marchetti è effettivamente entrato come socio di maggioranza alla fine del 2022). Le uve selezionate sono Pinot Regina e Souvignier Gris, due vitigni PIWI che rappresentano la frontiera della viticoltura sostenibile.
Il Souvignier Gris, varietà ibrida registrata nel 1983 dall’Istituto di Friburgo, è incrocio tra Seyval e Zähringer: resiste bene a peronospora e oidio, ha grappoli medio-grandi spargoli, maturazione vicina a quella del Pinot Bianco, profumi fruttati con note floreali e acidità marcata, ottima persistenza aromatica.
Meno noto è il Pinot Regina, varietà anch’essa resistente, che sta emergendo in alcune sperimentazioni: un uva che combina la tipicità del Pinot (freschezza, eleganza aromatica) con le capacità di adattamento ai climi più caldi e minore uso di trattamenti. Sta dimostrando promesse soprattutto nelle versioni in bianco/frizzante.
Perché PIWI? La sfida del vino italiano oggi si gioca sempre più sul terreno della sostenibilità. I cambiamenti climatici, le malattie fungine e la necessità di ridurre i trattamenti fitosanitari stanno spingendo i produttori a sperimentare soluzioni innovative. Tra queste, i vitigni resistenti – noti come PIWI, dall’acronimo tedesco Pilzwiderstandsfähig, “resistenti ai funghi” – stanno guadagnando terreno, passando da progetto sperimentale a realtà concreta.
Il Veneto è la regione capofila con oltre seicento ettari coltivati, novantaquattro produttori e circa centosettanta etichette già in commercio: quasi il quaranta per cento dell’intera produzione nazionale. Seguono Alto Adige, Trentino, Lombardia e Friuli Venezia Giulia, territori dove l’attenzione alla sostenibilità e la pressione delle malattie fungine hanno accelerato la sperimentazione.
I vantaggi sono evidenti: queste viti richiedono in media quattro trattamenti all’anno, contro i quindici o venti delle varietà tradizionali. Meno chimica significa maggiore rispetto per l’ambiente, minori costi per le aziende e meno residui nel bicchiere. Inoltre, i vitigni resistenti permettono di coltivare anche in zone marginali o soggette a condizioni climatiche difficili, mantenendo una qualità costante.
Sul fronte qualitativo, il dibattito resta aperto. Alcuni enologi sottolineano la freschezza e la pulizia aromatica di varietà come Souvignier Gris o Johanniter, mentre altri osservano che certi profili sensoriali si discostano dai vitigni storici. Il vero nodo resta la percezione del consumatore: serve educazione, degustazioni, comunicazione. Come ricorda Marco Stefanini, presidente di Piwi Italia, “i vitigni resistenti non sono una moda, ma una necessità ambientale”.
Cantine come quella di Nicola Biasi, in Veneto, hanno fatto dei PIWI una bandiera: i suoi vini da uve resistenti, coltivate anche in quota, mostrano eleganza, freschezza e identità. A Bardolino, Tenuta Valleselle sperimenta con il Souvignier Gris, ottenendo bianchi strutturati e profumati che dimostrano le potenzialità di queste varietà. Non mancano tuttavia le difficoltà. Non tutti i disciplinari DOC e DOCG italiani ammettono ancora le uve PIWI, nonostante l’Unione Europea abbia aperto la strada dal 2021. Inoltre, la commercializzazione incontra ostacoli: alcuni canali di vendita restano diffidenti e molti consumatori non conoscono ancora questi vini. Da qui la necessità di una forte azione di promozione e di un sostegno pubblico, per accompagnare i produttori nella transizione.
Vitigni resistenti e viticoltura sostenibile non sono più un’opzione: rappresentano una delle strade per garantire al vino italiano un futuro competitivo e coerente con la tutela del territorio. La sfida è duplice: convincere i consumatori della qualità e ottenere il pieno riconoscimento istituzionale. Il bicchiere che berremo domani sarà sempre più legato a un vigneto rispettoso dell’ambiente, capace di unire tradizione e innovazione. I PIWI non sono la risposta a tutto, ma sono già una parte concreta della soluzione.