Siamo piacevolmente sospesi fra tradizione e sperimentazione su uno dei versanti collinari sopra la città di Rimini, accarezzati dalla costante brezza del Mar Adriatico. Gli assaggi di oggi rivelano grande pulizia, carattere, un terroir preciso e un dialogo intelligente fra uomo e natura. Accanto ai due vini bandiera Rebola e Sangiovese c’è anche il tempo per provare un primo esperimento di fortificato da uve souvignier gris, uno dei vitigni resistenti Piwi (particolarmente importanti nel contesto di una viticoltura biologica) per la prima volta piantato, ci dicono, in Emilia Romagna.
Rimini di tutti i territori della Romagna è l’ultimo arrivato dal punto di vista qualitativo ma al tempo stesso è quello più diversificato, che risente del benefico influsso del mare e con grandi potenzialità inespresse. Manca, forse, una cantina che apra la strada una volta per tutte a tutte le altre, dimostrando che bisogna crederci, che l’immagine cristallizzata del vino degli anni ’90 appartiene al passato. Perché da queste parti quando lavorano bene sanno distinguersi e quanto a imprenditori non sono secondi a nessuno.
“Siamo sulla stessa linea di Bolgheri. Luca D’Attoma, nostro enologo e consulente, nel 2001 mi fece piantare gli internazionali viste le similitudini fra i due territori, basti pensare alla vicinanza al mare, ai terreni argillosi, alla latitudine, alla maturazione perfetta delle uve, alla luminosità. Rimini è la zona dove questi vitigni danno risultati migliori rispetto al resto della Romagna. Così abbiamo introdotto syrah e cabernet franc, che abbiamo iniziato a vinificare in purezza nel 2016, con le viti quasi maggiorenni. Syrah e Cabernet franc entrano anche in blend con il Sangiovese”, racconta Roberto Mascarin, veneto che inizia il suo percorso nel mondo del vino nel 2000, quando prende in mano le redini della cantina San Valentino deciso a fare sul serio (“la tenuta fu acquistata negli anni ‘90 da mio padre, imprenditore nel settore del beverage”). “La vicinanza del mare regala un’impronta inconfondibile nei vini, molto diversi da quelli più austeri delle colline forlivesi e faentine. D’estate il caldo è mitigato dalle escursioni termiche e il clima sempre ventilato favorisce la salubrità delle uve. Con D’Attoma, che in Romagna lavora solo con noi, è una continua sperimentazione, ogni anno aggiungiamo qualcosa”.
Per puntare in alto Mascarin si è scelto come socio Gianluca Marchetti, imprenditore di Cattolica attivo anche in altri settori, arrivato lo scorso anno non per stravolgere ma per incanalare nella direzione dell’assoluta qualità e della sperimentazione distintiva questa realtà biodinamica dal sapore romagnolo ma dai progetti internazionali. L’idea è fare di San Valentino un unicum nel panorama vitivinicolo del territorio. “Per la Rebola è lui a dare l’ok definitivo perché assaggia tutte quelle dei concorrenti e ormai è un super esperto”, asserisce Mascarin.
L’azienda, sui 15 ettari, produce 140mila bottiglie, di cui la parte del leone la fa il Sangiovese Scabi (80mila). Il mercato è per metà estero (Canada soprattutto) e per metà in regione.
“Produciamo due tipologie di Sangiovese, il Superiore e la Riserva. Il Superiore, che fa acciaio e cemento, è il nostro Sangiovese d’entrata: partiamo già da un gradino più alto”, continua Mascarin.
Identifica inequivocabilmente il Riminese la Rebola, da uve grechetto gentile, che la cantina produce nella versione immediata (Scabi), giocata sul frutto, sui profumi, sulla freschezza e nella selezione (Vivi) da single vineyard di un ettaro accorpato alla tenuta. “Durante la vendemmia, a metà settembre, affittiamo una cella frigo per le uve bianche, che per due giorni sono portate a 2° C. Questo comporta una prima concentrazione a freddo. Il Vivi è vinificato come un rosso: va in vasca con le bucce per estrarre profumi, aromi. Seguono cinque giorni di macerazione prefermentativa a freddo, senza estrazione di colore. Un 30% della massa passa negli orci di terracotta, di Gusmano Manetti, dove vinifica e affina per 8 mesi. Finita la fermentazione in acciaio, l’altra massa è trasferita in cemento, dove resta sulle fecce fini e ogni settimana eseguiamo rimontaggi. A maggio le assembliamo e lì avviene la magia: i due vini separati non sono buoni come la loro somma. Segue un anno in bottiglia e Vivi esce quando termina l’annata precedente”.
Terra di Covignano è, invece, la riserva storica di Sangiovese da una selezione massale del clone del Cepparello di Isole Olena.
Le idee diventano concetti chiari. “Quello che ho detto subito a D’Attoma quando sono arrivato è che mi sta bene prendere 92 o 94 punti per un vino ma voglio arrivare ai 100 di una guida internazionale in particolare”, specifica Marchetti. “Fra i prossimi obiettivi, ampliare i mercati esteri – l’azienda sta entrando in Corea e in Giappone – e puntare su un grande rosso, che potrebbe essere un Sangiovese delle nostre vigne nuove. Non siamo ancora al livello di Predappio, dove ho assaggiato dei Sangiovese di razza, ma conto di arrivarci nel giro di tre o quattro anni. Una cantina come questa deve ragionare ad altissimi livelli. Stiamo cercando un terreno a 400-500 metri di altitudine in provincia di Rimini per realizzare una Rebola come la intendo io: solo salendo il grechetto gentile dà il massimo nei profumi”.
Marchetti, che spinge sull’innovazione, ha piantato anche una delle prime vigne sperimentali in Romagna (a San Giovanni in Marignano) per realizzare entro tre o quattro anni “una bolla seria sul territorio, ovviamente Metodo Classico”. Il progetto nasce due anni fa. “L’anno scorso abbiamo raccolto la prima uva. Il vino è pronto per essere imbottigliato e iniziare un percorso da un minimo di 48 a un massimo di 60 mesi sui lieviti. Quattro sono le varietà resistenti Piwi che utilizziamo: il Pinot Regina, un’uva a bacca nera che gli conferisce l’ossatura, e tre varietà a bacca bianca per rinforzare la struttura acidica. Faremo solo formati magnum”, spiega Marchetti: “In Romagna ci sono tante bolle interessanti, ma il problema è che dai loro vitigni di riferimento si producevano vini fermi”. Per quanto riguarda il fortificato: “Sono uve raccolte a San Martino, con la muffa nobile. L’11 novembre in vigna c’eravamo io, il mio amico stilista Mirco Giovannini e Luca Lorenzi, il ragazzo che ci dà una mano a seguire la campagna. È un vino che andremo a sviluppare nei prossimi anni”. Conclude Marchetti: “In tutte le mie aziende cerco di portare innovazione, oggi leva per farle funzionare. Cercherò di dare una struttura importante alla cantina, proseguiremo con la sperimentazione sui nuovi vitigni e, siccome non ci piace ciò che è déjàvu, da un annetto stiamo sperimentando un vino biologico, senza solfiti. Un nuovo sistema ci consentirà di arrivare a un vino completamente biologico con un estratto di fiori di castagno, una novità dalla Spagna di cui saremo noi i distributori in Italia, oltre ad averlo sperimentato qui per primi. Se sarà una svolta per la Romagna? Noi ci crediamo”.
Ca va sans dire…