Spumanti di montagna, una caratterizzazione di valore? È possibile distinguere nel bicchiere uno metodo classico di alta montagna da uno di collina o di pianura? I vini di montagna affascinano e sono sempre più ricercati dagli appassionati perché figli di terre di contrasti, di altitudini estremamente variabili, in alcuni casi al limite di sopravvivenza della vite. Ma è possibile far leva su una differenza sostanziale e percettibile dal consumatore? Questo il focus della masterclass dedicata agli spumanti di montagna, oltre i 600 metri di altitudine, tenutasi all’interno di Spumantitalia, il festival dedicato alla spumantistica italiana, in questi giorni sul Lago di Garda. A confronto grandi spumanti Metodo classico, che sull’Etna arrivano a tirar fuori una nota ferrosa da suolo vulcanico: Trentodoc Ororosso Dosaggio Zero della Cantina Cembra, nome che deriva dal porfido di origine vulcanica presente nei versanti della valle; Trentodoc Dosaggio Zero Clè della cantina Albino Armani, da vigneto d’alta quota ricco di calcare e basalti; Trentodoc Letrari Dosaggio Zero Riserva Talento; Kettmeir Pas Dosé, prodotto in Alto Adige; Arunda Extra Brut Riserva, cantina a 1200 metri di altitudine in Alto Adige; Lessini Durello Extra Brut Sandro De Bruno. “È interessante capire se questa differenza sia reale, e quindi un plus, o solamente descrittiva, uno dei tanti racconti che si fanno del vino. Se il consumatore riesce ad apprezzare una significativa differenza, vuoi per una maggiore acidità, il ph più basso, meno alcol e altri aspetti riconoscibili e caratterizzanti allora si profila la possibilità di renderla tangibile commercialmente”, spiega Albino Armani (in foto), tra i promotori insieme ad Andrea Zanfi della masterclass sui vini di montagna. “Negli spumanti in degustazione abbiamo riscontrato alcuni descrittori comuni. Dalla gradazione alcolica leggermente più bassa ad acidità maggiori, più taglienti, ma anche ph più bassi, pulizia, persistenza, eleganza. Quanto questo venga percepito nel bicchiere dipende dalla mano dell’enologo. Il mio vigneto è estremo. Sono obbligato a svolgere la malolattica per via dell’acidità molto alta dei mosti, circa 9,5 g/l alla raccolta, che dopo la malolattica scende a 7, con ph 3.20. I vini sono croccanti, puliti e nel caso specifico del Clè con salinità da vendere, grande eleganza e personalità grazie al dosaggio zero”.
Spumanti più eleganti, ricchi, complessi? Altitudine significa freschezza quasi pungente all’assaggio, temperature più basse, ottima ventilazione, escursione termica importante, neve, luce solare forte, aria limpida, pendenze, alcol che scende lasciando in evidenza l’acidità, quindi vini più eleganti, fini, al contempo l’uva è ricca di antiossidanti, tannini, il frutto è intenso. In genere sono vini più freschi che di struttura. Vini che si dovrebbero caratterizzare sempre di più per zero morbidezza e per essere super asciutti. Quelli di montagna sono vini anche più longevi. Scriveva Walter Bonatti: “Chi più alto sale, più lontano vede: chi più lontano vede, più a lungo sogna”.