Ci sono luoghi che non si attraversano: ti attraversano. Assisi è uno di questi. Per me e mio figlio, Edoardo, non è solo una città, ma un respiro comune, un luogo dove ogni pietra custodisce qualcosa di intimo, dove ogni silenzio dice più di mille parole. Assisi è il nostro luogo del cuore, che ci legherà nel tempo e dove ogni anno si torna nello stesso periodo, quello delle vacanze estive, perché così Edoardo mi può accompagnare, libero da impegni scolastici. È il nostro luogo del cuore perché ci riconosciamo in esso: nella sua misura, nella sua verticalità spirituale, nella sua capacità di custodire l’essenziale. C’è un senso di protezione silenziosa che avvolge le strade antiche, un sentiero invisibile che si intreccia con le nostre vite, come se Francesco ci prendesse per mano. Assisi è la città dove mio figlio ha imparato a sentire il sacro nel quotidiano, la bellezza in una preghiera sussurrata tra le pietre rosa, la pace nel gesto semplice, nell’abbraccio sincero, nelle amicizie vere che sembrano strapparti la pelle tanto sono autentiche. E io, accanto a lui, ho ritrovato una parte di me che solo qui sa fiorire.

San Masseo, una delle fraternità del monastero di Bose, ai piedi dei rilievi su cui sorge la città, profondamente legata alla memoria di San Francesco, è ormai casa. Il monastero, di origine benedettina, fondato tra l’XI e il XII secolo, probabilmente su un sito romano o pagano, sorge a mezza costa, tra San Damiano, Santa Chiara e la Porziuncola, lungo la via Petrosa (“strada lastricata”) che scendeva verso la valle da Porta Mojano. Da un sentiero poco battuto è possibile raggiungere San Damiano, dove Francesco compose il Cantico delle creature nel 1224. In occasione dell’VIII centenario (1224-2024/25), Assisi organizza eventi di preghiera e celebrazione della fraternità cosmica e dell’infinita lode al Creatore.

A servizio della comunità ci sono vigneti e oltre seicento piante di ulivo selezionate con cura per qualità e biodiversità: la tradizione agricola, rilanciata dai monaci benedettini e poi da Bose dal 2009, punta sul lavoro manuale che unisce agricoltura e spiritualità. La vita è condivisa secondo lo spirito di preghiera, comunità e lavoro, con una regola e un priore a guida. Ospitalità per ritiri, silenzi, laboratori e settimane spirituali: ai pellegrini si offre l’ascolto, la preghiera, la lectio divina.

È bello tornare e confrontarsi sulla vendemmia alle porte, sui progressi in vigna e in cantina, sui nuovi vini con Michele Badino, architetto e monaco che segue la vigna e la produzione enologica.
Due gli ettari di vigneto (principalmente grechetto e merlot), a corpo unico intorno al monastero.
Michele, sotto il porticato con vista sulla basilica illuminata, ci tiene a farmi assaggiare il Vermouth, prodotto da Assisi Grechetto Dop, biologico, aromatizzato con artemisia, assenzio e altre botaniche mediterranee, e con una nota agrumata. È simbolo della filosofia “fruit from waste” e della resilienza umana. “Siamo arrivati al Vermouth attraverso uno scarto, ossia da un certo numero di bottiglie del nostro Grechetto barricato che per un problema si era parzialmente ossidato. Ci siamo chiesti cosa fare con questo vino, riflettendo anche sul fatto che il nostro monastero madre è in Piemonte e rileggendo la vita di Carpano, biellese che andò a Torino e nel suo laboratorio-bottega si mise per primo a produrre il Vermouth che piacque tanto al re sabaudo”, spiega Michele Badino. “Abbiamo fatto una serie di prove con diverse distillerie: abbassando al minimo la quantità di zuccheri aggiunti e aggiungendo un minimo di alcol siamo arrivati a un prodotto di cui siamo soddisfatti, che piace a noi per primi. Siamo partiti dal concetto di scarto recuperato, ossia dal trovare in ciò che sembra inutilizzabile un nuovo valore. Non è un concetto bellissimo?”.

C’è anche il Chinato. “Parte sempre da una storia piemontese, ma è posteriore al Vermouth. I farmacisti utilizzavano il chinino per debellare alcune malattie come la malaria”, continua Michele. “Ci piaceva l’idea di avere un vino con una nota amaricante più decisa. Punto di partenza è il nostro rosso, blend di merlot e malbec, anche questo biologico, e come botaniche, oltre alla china calisaya, dalla cui corteccia si ricava il chinino, abbiamo scelto quelle dell’area mediterranea”.
Sette i prodotti. Gli altri vini, dalle rese limitate, sono Assisi Grechetto Dop, realizzato con il biotipo di Todi, che ha la superficie maggiore nel monastero, sia in versione acciaio sia più strutturato perché fermentato in barrique con batonnage per circa sei mesi e che, come specifica Michele “esce due anni dopo la vendemmia”.
C’è anche una vendemia tardiva di Grechetto. “Ci piacerebbe metterlo sui graticci quest’anno”, confida.
Il rosso, invece, è un blend di merlot e malbec che fa solo acciaio.
“E poi abbiamo il vino da messa, blend di passito bianco e vino rosso. Per l’eucarestia il vino deve avere una nota amabile e non deve essere troppo tannico”.
Per quanto riguarda l’olio, la scelta è produrlo dalle tre varietà della zona, (moraiolo, frantoio e leccino) frante  a freddo entro le 24 ore per conservare più polifenoli. “Le olive, come è tipico da Assisi a Spoleto, vengono frante insieme. È un olio perfetto per uso a crudo”, spiega.
Attraverso il lavoro i monaci vivono e condividono valori di bellezza, sobrietà, equità. San Masseo è molto più di una vigna o un frantoio: è un laboratorio di vita in cui il lavoro agricolo è parte integrante della spiritualità comunitaria. Qui ogni gesto concreto diventa spazio di preghiera, di incontro e di rinascita personale.
È il nostro luogo del cuore, dove torniamo sempre – e ogni volta, senza dircelo, sappiamo perché.