C’è una bellezza che non grida. Che ti accompagna silenziosa e potente, come il respiro del mare al mattino presto. È quella dell’Abruzzo più autentico, dove la Green Way della Costa dei Trabocchi si snoda per una cinquantina di chilometri lungo l’ex tracciato ferroviario, trasformato in una pista ciclopedonale immersa nella natura, sospesa tra macchia mediterranea e Adriatico.
Ho percorso questa strada tanto panoramica quanto rigenerante, tra trabocchi e vigneti da una parte e mare dall’altra, in una giornata di luglio, poco dopo l’alba – mentre mio figlio è rimasto “perdutamente” tra le braccia di Morfeo, ancora in pieno mood cittadino vacanziero – tra soste, domande, vento contrario e stupore, nel terzo Stop&Go insieme a Edoardo, qui in versione molto più “stop” che “go”. Con me Valentino Sciotti, ex ciclista ancora in sella con passione, oggi alla guida di Fantini, realtà vitivinicola che ha fondato negli anni ’90 a Ortona. È lui che mi ha guidata con la sicurezza di chi conosce ogni curva del territorio. E mettendosi al mio passo è anche riuscito a far apprezzare la pedalata a una come me, più abituata alla penna che alla bici. Per Sciotti, che all’interno della cantina continua a tracciare una visione dinamica e territoriale del vino, il ciclismo è parte integrante della propria identità e visione aziendale. La partenza è dal trabocco Punta Cavalluccio, una scenografica piattaforma di legno sospesa tra mare e cielo, e poi via verso Ortona, fino a raggiungere l’ultimo trabocco nei pressi del porto. Si pedala anche in direzione Vasto, uno degli ultimi comuni costieri prima del Molise, dove superato il borgo di Torino di Sangro, tra scorci e profumi di elicriso, deviamo su uno sterrato che scende fino a un chiosco sulla spiaggia, fuori dal tempo. Ad aggiungersi a noi arricchendo questa esperienza condivisa è Rocco Menna, collaboratore di Fantini, che continua a macinare chilometri con l’energia di chi non ha mai smesso di pedalare.
Siamo nei pressi della Riserva Naturale di Punta Aderci, poco più a sud, e non lontano dai Ripari di Giobbe, dove le vigne di Fantini, che restituiscono vini che sanno di sale e Appennino, scendono verso il mare e raccontano i grandi contrasti di questa terra forte e, per me ed Edoardo, da qualche anno di amicizie autentiche. Fantini promuove una viticoltura rigenerativa, rispettosa dell’ambiente e delle comunità locali. La sostenibilità, qui, non è un’etichetta. È un gesto quotidiano: dalle vigne che scendono dolci fino a Punta Aderci – uno dei promontori più spettacolari d’Italia – ai Ripari di Giobbe, dove la Majella guarda il mare, dove l’aria sa di sale e di vento d’altura, dove le colline coltivate a vite incontrano la sabbia e raccontano un equilibrio raro tra uomo e natura. Qui la montagna e il mare si sfiorano. E questa è poesia visiva. Che senti sulla pelle.
Ripari di Giobbe non è solo una delle spiagge più incontaminate dell’Abruzzo, dai sassi bianchi e dal silenzio protetto: è una scogliera dell’anima, un balcone naturale sul mare Adriatico, tra Ortona e San Vito Chietino, lungo la Costa dei Trabocchi. Qui, a pochi chilometri dalla direttrice della Majella, si vive un contrasto perfetto: la roccia che declina verso l’Adriatico e le correnti d’aria fredda che scendono dalle montagne per incontrare il sole caldo del sud. Un microclima unico che forgia la terra e il vino, con escursioni termiche e la forza della luce. Non a caso questo territorio è amato dai viticoltori che hanno saputo leggere questi contrasti geologici e climatici come una sinfonia: suoli poveri ma vivi, vento che protegge le viti, salmastro che plasma i profumi. È da qui che nascono vini intensi, di buona verticalità, che raccontano l’asperità della Majella e la dolcezza del mare. Il vento asciuga le foglie, la roccia assorbe il calore, il mare modera l’umidità. La parola ‘ripari’ sta a indicare rifugi naturali: le grotte scavate nella falesia o anfratti utilizzati anticamente da pescatori e viandanti per ripararsi da tempeste, caldo o solitudine, mentre il riferimento a Giobbe – figura di prova e resistenza dell’Antico Testamento – aggiunge una dimensione più profonda e spirituale.
“Per noi, molto legati al territorio, significava scegliere due posti iconici. Ripari di Giobbe e Punta Aderci sono promontori a picco su due delle spiagge più belle dell’Abruzzo. Ripari di Giobbe, a nord della provincia di Chieti, e Punta Aderci, a sud, non sono lontanissimi tra di loro, ma climaticamente si notano differenze a livello di vendemmia, perché una zona arriva un po’ prima dell’altra”, spiega Valentino Sciotti. “Sono luoghi meravigliosi dove tira sempre vento: sarebbe difficile, se non fossimo su dei promontori, coltivare la vite così a ridosso del mare, perché basta una mareggiata per bruciare le foglie. Invece noi riusciamo a sfruttarne tutto l’influsso benefico. E poi c’è la montagna. Il progetto dei nuovi vigneti è impostato sulla direttrice Majella. Con gli architetti paesaggisti abbiamo cercato di ricreare una flora più attinente al territorio, estirpando le infestanti e piantando erba medica”.
Proprio di fronte alla Majella sorgono i vigneti sperimentali della cantina, che porta il nome dello sprinter di Fossacesia attivo negli anni ’50 e tragicamente scomparso nel ’61, Alessandro Fantini. “Sono vini pensati per interpretare in chiave contemporanea i contrasti estremi del territorio. E non è un caso che questa scelta pionieristica abbia preso forma proprio in un luogo dal nome così evocativo, Ripari di Giobbe, che richiama alla mente il rifugio, la resilienza, la pazienza operosa”, racconta Sciotti. In questo angolo di Abruzzo la vite impara a convivere con una natura autentica e severa, dando vita a uve sorprendenti, capaci di raccontare una storia nuova. Fantini trasforma questa porzione aspra di terra in un laboratorio di futuro enologico. “Sia ai Ripari di Giobbe sia a Punta Aderci abbiamo creato vigneti sperimentali, entrambi in zona di riserva. Un territorio tutelato non poteva non avere una coltivazione bio, anche se andiamo oltre il bio perché qui studiamo la resilienza della vite, tra l’altro con risultati interessanti: sono esperimenti pilota per quella che sarà, forse, la strada del nostro futuro”.
A Ripari di Giobbe sono sei gli ettari vitati, a Punta Aderci cinque, per un totale, insieme, di circa 100mila bottiglie. Il vino, in questo contesto, si fa racconto, paesaggio e, soprattutto, visione. Si coltivano montepulciano, pecorino, e sauvignon kretos, dal greco kritós, “scelto”. Kretós è, quindi, una dichiarazione di intenti: selezione, coraggio, innovazione. “A Ripari di Giobbe coltiviamo sauvignon kretos e pecorino. Il Kretos sarà la novità non prima di tre anni. Lavoriamo sempre sul lungo periodo per essere sicuri del prodotto. Abbiamo già fatto quattro anni di sperimentazione in entrambi i luoghi. Già dall’anno prossimo, però, al Vinitaly inizieremo i primi assaggi, ma solo con gli operatori, non lo metteremo ancora sul mercato”, spiega Sciotti. “Abbiamo lanciato il programma per impiantare nuovi vigneti per i contadini, perché tutto questo lavoro lo facciamo al servizio della comunità locale. Ai viticoltori garantiamo un reddito per dieci anni”.
Ma che Sauvignon sarà? “I nostri bianchi reggono il tempo molto bene, ma li amiamo freschi. Come li immettiamo sul mercato sono già perfetti”.
Cosa aggiungere? Che c’è un Abruzzo che si svela nel bicchiere prima ancora che sulla mappa. L’azienda, una delle bandiere dell’export italiano, con ventidue milioni di bottiglie spalmate su tutti i territori dove è ramificata, ha saputo trasformare l’autenticità della sua terra in una narrazione internazionale, fatta di profumi, identità, visione. “Il vino è territorio. E il territorio non si vende, si racconta, si rispetta, si abita. Il nostro lavoro è tenere insieme bellezza e verità. Con le istituzioni stiamo lavorando a un regolamento che imponga l’agricoltura bio su tutto il tratto della Costa dei Trabocchi. Vorremmo comunicare un turismo diverso, anche se sappiamo che senza infrastrutture non si va da nessuna parte. Al turista che viene qui dobbiamo offrire qualcosa in più”, continua. “Per noi produrre vino significa far scoprire la regione, che ha caratteristiche eccezionali per la coltivazione dell’uva. Ci auguriamo che in futuro sia il territorio stesso a diventare motore trainante dei nostri prodotti. Oggi siamo noi a sostenerlo, con convinzione e con piacere, nella consapevolezza che ogni nostro sforzo è un investimento condiviso”.
Raccogliendo il senso di questo viaggio e rilanciandolo, l’Abruzzo ci ha insegnato che la bellezza non è solo un panorama, ma un ritmo: quello del pedalare insieme, delle parole dette con calma, del silenzio che cura. L’Abruzzo ci ha mostrato che la bellezza non ha bisogno di rumore, che la forza è nella misura e nel valore delle cose. In questa terra dove la natura è ancora regina abbiamo ritrovato radici, respiro e un nuovo modo per stare insieme. Questo Stop&Go, di qualche giorno, è stato un vero e proprio spazio per ritrovarci in movimento, madre e figlio, tra emozioni che sanno di sale, polvere e vento. E di orizzonti aperti.