Vendemmia, stock in cantina, vini naturali e il nuovo iter per ottenere la Docg che prevede regole più stringenti in un’ottica di valorizzazione della denominazione. Un prosieguo d’autunno che si profila bollente per il mondo del vino, complicato dal nuovo Dpcm che prevede la chiusura di bar e ristoranti alle 18 e anche in vista delle elezioni e dei dazi americani alla luce della recente sentenza ufficializzata del Wto in merito ai sussidi illegali Boeing da parte degli Usa. Ne parliamo con Giulio Somma, direttore del Corriere Vinicolo.
Giulio Somma, il Wto ha autorizzato l’Ue a imporre dazi per 4 miliardi agli Usa per gli aiuti concessi alla Boeing. Una sentenza che rischia di rivelarsi un boomerang per il vino made in Italy se non si dovesse arrivare a una soluzione negoziata…
Questa risoluzione segue una analoga decisione a parti invertite relativa ad Airbus, con gli Usa che lo scorso anno sono stati autorizzati ad applicare sanzioni per un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari all’Unione europea. I prossimi giorni saranno decisivi per capire l’orientamento dell’Ue, ossia se prevarrà la scelta di adottare contro-dazi a specchio. Un’opzione molto pericolosa per il vino italiano in Usa, principale buyer mondiale di vino. Unione italiana vini confida nel buon senso dell’Ue e dell’Italia nell’attendere lo svolgimento delle elezioni americane per assumere decisioni e chiede di tenere agricoltura e vino fuori dalla lista dei prodotti statunitensi da sanzionare. C’è un serio pericolo di nuove ritorsioni da parte degli USA”.
Si sono da poco concluse le vendemmie. Cosa ci dobbiamo aspettare a livello di numeri e qualità?
La vendemmia2020 sarà più contenuta rispetto a quella che avevamo annunciato ai primi di settembre, con una flessione che arriverà al 2% sull’anno scorso. Sul Corriere Vinicolo l’abbiamo chiamata ‘buona e giusta’. Buona per il livello qualitativo medio alto in quasi tutta Italia, a parte qualche zona che ha sofferto il maltempo. Giusta perché abbiamo una quantità di uva e di vino minore rispetto allo scorso anno, un fatto che permette ai produttori di guardare al futuro con serenità, senza scorte in eccesso, visto, tra l’altro, che anche le giacenze sono minori rispetto al 2019. Questo aiuta a gestire l’equilibrio del mercato e a contenere le pressioni della distribuzione moderna sui prezzi, in un anno in cui, peraltro, nei primi nove mesi il vino in gdo è cresciuto del 6-7% in valore mentre l’horeca ha sofferto tantissimo. È ancora presto per tracciare bilanci: bisogna vedere cosa accadrà a Natale, periodo molto importante per la vendita del vino, in particolare per gli spumanti. Nel primi sette mesi l’export è sceso intorno al 3% a valore e volume; tutto sommato negli Usa si sta recuperando terreno, e se siamo fortunati manterremo il -3%.Non male rispetto a come si era prefigurato l’andamento delle vendite nei primi mesi del 2020. Guardando gli ultimi mesi, il mercato del vino appena può rimbalza: il turismo italiano ha risollevato per qualche settimana i consumi nell’horeca e l’export mostra qua e là segnali positivi. Indice tonico che ci fa guardare al futuro con fiducia.
Non basta aspettare il rimbalzo però…
Assolutamente no. Nei prossimi tre anni dobbiamo ricostruire una strategia sul medio periodo che ci porti a riposizionare il vino italiano sui mercati. Non è che il vino italiano ha perso posizione rispetto agli altri paesi produttori, guardiamo la débâcle della Francia negli USA, ma è il vino stesso che ha perso posizioni soffrendo il calo dei consumi. Oggi occorre investire in promozione ed è dalle imprese che devono arrivare le indicazioni per ottimizzare le strategie e le politiche mirate al settore. Sono mesi che stiamo chiedendo al sottosegretario Di Stefano, al ministro Di Maio e alla ministra Bellanova di ricostituire con le imprese un gruppo di lavoro tecnico operativo in grado di dialogare con Ice, Maeci, Mipaaf per capire come spendere bene le risorse pubbliche destinate alla promozione internazionale. Dopo la positiva esperienza maturata in passato con l’ICE, che fece propri i consigli delle imprese spendendo il denaro nella direzione da queste voluta con risultati positivi in termini di immagine del vino italiano nel mondo migliorando la credibilità dello stesso ICE presso il sistema produttivo, oggi riteniamo necessario continuare questa esperienza alle soglie di una stagione critica per il rilancio del settore. Dopo la risposta positiva avuta dalla Ministra Bellanova e dal sottosegretario Di Stefano attendiamo la convocazione di questo tavolo di confronto tecnico. Il patto per l’export ha al suo attivo oltre un miliardo e mezzo di euro per tutto il made in Italy, c’è però da capire quanti di questi soldi saranno destinati al vino e come spenderli. Per esempio, secondo le nostre aziende alcuni investimenti dell’Ice sull’e-commerce andrebbero riorientati perché rischiano di confliggere con i canali distributivi tradizionali.
Per il rilancio del settore cosa è stato fatto a livello nazionale?
Dopo le misure sulla distillazione dei vini generici e la riduzione delle rese approvate prima dell’estate, il Parlamento ha varato di recente il disegno di legge sulle misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia. L’articolo 58 quater destina 51,8 milioni di euro, dei 61,34 ricavati dalle economie della misura ‘riduzione delle rese’, al finanziamento dell’esonero contributivo, un esonero straordinario dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico dei datori di lavoro dovuti per il periodo dall’1 gennaio 2020 al 30 giugno 2020, e 9,54 milioni di euro al finanziamento di misure di sostegno ai vini Dop/Igp. Per quanto riguarda il fondo per la ristorazione, l’erogazione del cosiddetto ‘bonus ristorazione’ è stata estesa anche agli agriturismi, alle mense, ai catering e agli alberghi autorizzati alla somministrazione di cibo. Il bonus consiste in un contributo a fondo perduto concesso a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi medi dei mesi da marzo a giugno 2020 sia inferiore ai tre quarti dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi medi dello stesso periodo dello scorso anno. Il bonus spetta ai soggetti che hanno avviato l’attività a decorrere dall’1 gennaio 2019.
E in Europa cosa sta accadendo? L’Ue si sta muovendo nella direzione giusta?
L’Europa ha capito che la crisi di alcuni paesi è la crisi di tutti. Si sono arginati, almeno in parte, gli egoismi statali di alcuni paesi, recuperando una solidarietà, una condivisione di problemi e oneri che è oggi molto importante. Nelle dinamiche commerciali mondiali è necessario muoversi come blocco dell’UE per farsi ascoltare: e anche così la strada rimane in salita. Si pensi alla fatica che è stata necessaria per concludere gli accordi di libero scambio che sono per il vino un passaggio fondamentale per consolidare le posizioni sui mercati. Quando l’UE è riuscita a concluderli – si pensi al Giappone o al Canada per citare gli esempi più recenti – il nostro export è cresciuto sensibilmente. Per quanto riguarda la nuova Pac, invece, la sfida che abbiamo vinto come settore è aver mantenuto l’Ocm vino, cioè misure specifiche per il settore. Questo ci dà la sicurezza di avere risorse allocate per il vino, ma anche norme che lo tutelano e ne riconoscono la specificità.
Rimanendo in Europa parliamo del vino “naturale”. La Dg Agri della Commissione europea si è espressa con il termine ‘misleading’ cioè ‘ingannevole’ per quanto riguarda l’indicazione ‘vino naturale’ in etichetta, che può suggerire l’idea di un vino di qualità più alta. C’è il rischio concreto che induca il consumatore in errore?
C’è un rischio serio a livello di comunicazione. ‘Vino naturale’ è una dicitura che rappresenta ancora un’area grigia nelle normative di Bruxelles. L’aggettivo ‘naturale’ potrebbe seriamente indurre il consumatore in errore riguardo le caratteristiche intrinseche del prodotto portandolo a credere che gli altri vini non siano naturali, cioè mero frutto della spremitura dell’uva. Sarà necessario capire quali vini potranno in futuro far parte di questo segmento -dentro il quale oggi si trova un po’ di tutto – definito in modo improprio ‘naturale’. Il vino ha esigenze di etichettatura molto particolari e deve rispondere a una normativa specifica nella quale il termine “naturale” non è previsto. Il pronunciamento della DG Agri mette uno stop all’utilizzo di questo termine in attesa che si chiariscano meglio le caratteristiche di questa ampia famiglia di vini che si riconoscono sotto quel termine. E se ne trovi uno alternativo per identificarli.
Le novità riguardano anche la Docg. Il parlamento ha approvato il Dl semplificazioni che modifica alcuni punti del Testo unico. Si introducono regole più strette: maggior rappresentatività e notorietà del prodotto. Resta aperto il problema di come codificare la notorietà di una Doc…
Questo è un risultato importante ma non ancora del tutto sufficiente. Fondamentale è la reale presenza sul mercato della denominazione che chiede il passaggio alla ‘garantita’. Le regole più restrittive sono volte a garantire l’effettivo utilizzo della Do da parte dei produttori, una condizione necessaria però non esaustiva delle caratteristiche che deve avere un vino per ottenere la Docg. Le denominazioni di origine sono nate per dare valore a un prodotto identificabile con un territorio. Un valore che ha cambiato le sorti della viticoltura mondiale. La denominazione nasce per garantire al consumatore una identità produttiva e per dare alle aziende la possibilità di avere un marchio collettivo in grado di farle conoscere sul mercato. Questo ha permesso anche ai piccoli produttori di affacciarsi sui mercati internazionali. Nel corso degli anni questo strumento ha perso, però, un po’ del suo valore perché i territori si sono fatti prendere la mano chiedendo il riconoscimento di realtà produttive piccole e spesso non rappresentative. E siamo arrivati ad una situazione con oltre 500 denominazioni, molte delle quali poco o nulla rivendicate rimaste operazioni di campanile, solo sulla carta, che hanno snaturato il valore della denominazione rischiando di mettere in discussione lo stesso strumento della Doc. Oggi la Doc non è più un driver di acquisto da parte dei consumatori a favore, invece, del vitigno o del brand aziendale. Tra i cultori anche l’enologo è diventato motivo di scelta di un’etichetta: tutto ciò perché la Doc ha perso terreno. E anche la Docg stava rischiando lo stesso destino. Da quando è stata istituita fino ad una decina di anni fa la “garantita” ha mantenuto una sua riconoscibilità di garanzia perché era rilasciata veramente ai vini di eccellenza. Poi si è iniziato ad allargare le maglie arrivando in poco tempo a circa una novantina di riconoscimenti che non trovavano più appeal presso i produttori perché, alla prova del mercato, non funzionavano come traino di valorizzazione. È stata necessaria, quindi, una piccola riforma. Con la nuova normativa affinché una Doc possa essere inserita nell’upgrade della Docg deve avere una base produttiva ampia che la usa e gli riconosce valore. Un elemento necessario, anche se non sufficiente da solo, a rafforzare il vertice della piramide qualitativa del vino italiano. Ora si dovrà lavorare per definire meglio il concetto di “notorietà” l’altro pilastro alla base della “garantita”. Perché, ricordiamolo, una denominazione non è un traguardo ma un punto di partenza per affermare il vino sui mercati, dove deve trovare riconoscibilità la tradizione produttiva e il territorio nel nome di una “notorietà” acquisita nella quale i produttori devono essere i primi a crederci.