WINESTOP&GO – SPECIALE EMILIA ROMAGNA (2)
IL NOSTRO SOMMELIER VI RACCONTA… PALTRINIERI A SORBARA
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Prosegue il nostro viaggio nel mondo del Lambrusco, dentro all’Emilia delle bollicine. Il secondo Stop&Go è nella provincia di Modena, anzi nel cuore della produzione vitivinicola della pianura padana, il quel sottile lembo di terra compreso fra il fiume Secchia e il torrente Panaro. Siamo a Sorbara, a meno di 30 m s.l.m. e qui l’afa si fa sentire spesso, ma questo terroir è particolare. Il corso del Secchia fa scendere aria fresca e il terreno alluvionale fra i due alvei è un fondo sabbioso, permeabile, ricco di potassio. E credetemi, si sente nel bicchiere, dando una impronta unica al vitigno di Lambrusco più tipico della zona, Il Sorbara.
Non a caso, dunque, qua si vinifica da sempre e una delle aziende storiche del comprensorio è Paltrinieri. Nonno Achille iniziò a curare i suoi grappoli nel lontano 1926, poi la cantina e gli attuali 17 ettari furono presi in mano dal figlio, Gianfranco, quindi nel 1996 dal nipote Alberto che raccolse la sfida col passaggio del testimone. Così, dopo la laurea in Agraria, Alberto ricevette le chiavi della cantina e piena fiducia per proseguire il cammino. E il nuovo corso, se così possiamo chiamarlo, arriva nel 1998 con il primo Lambrusco Sorbara in purezza, poi l’azienda ha proseguito con la preziosa collaborazione degli enologi Attilio Pagli e Leonardo Conti. Da queste parti già lo dicevano che il Sorbara in purezza è più buono, cioè non tagliato con il Lambrusco Salamino, ma chi conosce questo vitigno lo sa, è molto particolare, perché è il più chiaro dei lambruschi. Il suo colore non ha l’apparenza del Lambrusco che più spesso si conosce, quello rosso porpora impenetrabile, scuro come le notti senza luna. Il Sorbara sembra quasi un rosato. Però proprio questa sua peculiarità lo rende unico, così strettamente correlato con la piccola porzione di territorio della zona di Bomporto, che più modenese non si può.
Nasceva così l’etichetta Sant’Agata, che è la patrona di Sorbara, come a voler difendere radicalmente la scelta di vinificare questa varietà in purezza. La lavorazione delle uve, con l’avvento di Alberto ha introdotto anche la fermentazione in autoclave, però le generazioni precedenti qui hanno sempre rifermentato in bottiglia. Per questo, i lambruschi che oggi tanti chiamano Ancestrali, qui sono sempre esistiti e questa tradizione è stata portata avanti. Valorizzandola. A questo punto, l’ultimo decisivo passaggio che testimonia la passione di Alberto nella cura dell’azienda, sempre assieme alla moglie Barbara, è stato quello del cambio di etichette e come avviene in queste terre di passione, di motori e di geni dell’arte, è arrivato l’artista modenese Fabrizio Loschi. Se è vero che un grande vino nasce dall’unione di tante forze, nulla da Paltrinieri è nato per caso. Fabrizio Loschi ha quindi ridisegnato la linea delle etichette completando otto nuovi nomi fra charmat lunghi, vini costituiti in prevalenza da Lambrusco Sorbara e Salamino, Sorbara in purezza, rifermentato in bottiglia e metodo classico, cercando in particolare di premiare le scelte di tradizione di questo vino, andando alle radici del Lambrusco. Proprio per questo, dopo Grosso con in etichetta la prima moneta modenese (il Grosso d’argento), nel 2011 arriva Radice, oggetto della degustazione di questa tappa, ricevendo le prestigiose quattro viti della guida AIS Vitae 2021.
Tutto nel Radice sembra perfetto, a partire proprio dall’etichetta che mostra la particella catastale della vigna, il cuore del cuore di Sorbara. E dall’eleganza della bottiglia trasparente che concede al colore rosso rubino chiaro la sua massima espressione. Presentandosi nudo, senza fronzoli, schietto come il carattere dei modenesi, Radice ha il tappo a corona, come si è sempre fatto qui per i rifermentati in bottiglia. Ma la quasi impercettibile capsula trasparente che ricopre questo tappo rivela un tocco di inaspettata eleganza che ritroviamo subito nel bicchiere, avvolti da una bellissima spuma rosea, profumata di agrumi e di rosa, con sentori di frutti a bacca rossa come il ribes. Al palato è fine con una evidente nota acidula, persistente, lasciando una piacevole lunga nota sapida, tanto che fa pensare all’abbinamento del polpo con patate, secondo la più succulenta delle tradizionali ricette elbane. Il successo di questo vino è nei numeri, siamo intorno alle 50.000 bottiglie annue.
Analogamente a dosaggio zero e su lieviti autoctoni sosta il Grosso, il metodo classico nato nel 2008 con la collaborazione iniziale di Christian Bellei, figura di riferimento per lo champenoise emiliano. Il 2017 con sboccatura settembre 2020, nel bicchiere rivela un color rosa pesca con riflessi più intensi, all’olfatto è decisamente agrumato, con una delicata punta amarognola più evidente al palato, però più morbida con le note dei lieviti, chiudendo tra una piacevole rotondità di mandorle tostate e una delicata sapidità. La produzione del metodo classico non va oltre le 3.000 bottiglie annue per questo vino che inizialmente veniva venduto solo nelle magnum. Abbinamento perfetto direi una tartare di cavallo finemente condita con olio extra vergine d’oliva, pepe rosa e una delicata doratura di pinoli grattugiati, oppure, per gli amanti dei primi ricercati, un tortello di radicchio rosso all’olio crudo. Cercate le radici del Lambrusco? Sono qui, a Sorbara, da Paltrinieri.