STOP & GO OFF
… NEL CUORE DEL MONFERRATO
Montemagno, il XLV parallelo nel segno della tradizione vitivinicola piemontese
E i chilometri sono più lunghi perché
È grigia la strada ed è grigia la luce
E Broni, Casteggio, Voghera son grigie anche loro
C’è solo un semaforo rosso quassù
Nel cuore, nel cuor di Stradella
Che è quella città dove tutte le armoniche di questa pianura
Son nate e qualcuno le suona così…
Così canta Paolo Conte, in una delle sue canzoni più intense e intrise di nostalgia. E dalle nebbie padane, lungo l’A21 ascoltando quelle note delicate si arriva ai primi colli, dopo Tortona, poi Alessandria e verso le Langhe. Prima di Asti si devia e si inizia a inerpicarsi per queste dolci colline ove lo skyline si delinea fra antichi cascinali e castelli medievali.
Sicuramente un paesaggio unico al mondo, tanto l’Unesco lo ha decretato nel 2014: i Vineyard Landscape di Langhe, Monferrato e Roero sono meritevoli del riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità. La Langa del Barolo, il Castello di Grinzane Cavour, le colline del Barbaresco, Nizza Monferrato e il Barbera, Canelli e l’Asti spumante, infine il Monferrato degli Infernot, i locali scavati nel sottosuolo utilizzati per la conservazione delle bottiglie.
Salendo per le tortuose stradine, sale anche l’emozione di trovarsi qua e nel punto esatto ove passa il XLV parallelo inizia a intravedersi Tenuta Montemagno. Cento ettari di poggi, salite e ridiscese, terreni coltivati a vigna e noccioli, ma anche boschivi a perdita d’occhio; con al centro, nel punto più alto, il grande casale del XVI secolo acquisito dalla famiglia Barea all’inizio del terzo millennio, fondando poi l’azienda agricola nel 2005, dopo il lungo e rispettoso restauro. L’edificio è circondato da 20 ettari di vigne, da est a ovest, a circa 400-450 metri slm.
La famiglia di Tiziano e del fratello Flavio, provenienti dal mondo della tecnologia nel settore tessile, aveva pensato a Montemagno come alla tenuta di campagna; ben presto però dalla semplice produzione di vino solo per i Barea si sono prestati al mondo vitivinicolo con una progressiva crescita degli impianti, oltre le esistenti preziose storiche vigne. Soprattutto, grazie all’ampliamento delle cantine nelle strutture limitrofe, sono arrivati a produrre intorno alle 170.000 bottiglie, con il traguardo massimo delle 200.000, per mantenere sempre un profilo di altissima qualità e selezione. Tutto con un criterio di produzione sostanzialmente biologico, con un bassissimo contenuto di solfiti, fra l’altro sempre dichiarati in brochure.
Nell’azienda è entrata la seconda generazione, Vanessa e Simone, che ci accompagna nella visita e nella degustazione. Fanno parte del team l’enologo Gianfranco Cordero e l’agronomo Maurizio Cerrato, ma il casale, oltre alle sale di degustazione e allo shop interno, è stato dedicato espressamente all’accoglienza turistica con il relais comprensivo della spa e il ristorante La civetta sul comò, condotto dallo chef palermitano Giampiero Vento, lungamente trapiantato nell’astigiano, sempre alla ricerca di materia prima locale di altissima qualità per una cucina raffinata, ma di tradizione, abbinata alla selezione dei vini di casa.
Le etichette di Montemagno sono 12, di cui 6 ottengono un punteggio alto nella guida Ais 2021 e in particolare alcuni sono stati inseriti nella Top 100 dei migliori vini d’Italia. Tutta battezzata da nomi latini, la linea è divisa nei Classici con il Monferrato Bianco Doc Nymphae, da uve Sauvignon e Timorasso, e Musae, 100% Sauvignon; il Ruber Grignolino d’Asti DOC, 100% Grignolino, e il Nobilis, entry level nei monovitigno di Ruchè con la denominazione Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG; il Violae Monferrato Rosso DOC, taglio di Barbera e Syrah, quindi l’Austerum, da uve Barbera 100%. Con la particolare denominazione Malvasia di Casorzo DOC, Montemagno produce il Dulcem, un rosso dolce fermo e un piccolo gioiello venduto nella sola bottiglia da 375 ml, il Nectar ottenuto dall’appassimento naturale delle uve in pianta. Un vino questo che a fine pasto si sposa benissimo con un torrone di Visone del Canelin, al secolo Giovanni Verdese, che dal 1948 prepara questa eccellenza italiana vicino ad Acqui Terme.
Queste sono terre di eccellenze, dalle nocciole langhigiane al tartufo bianco d’Alba, ma in fatto di vino le DOCG Barbaresco, Barbera e Barolo – che elenco in rispettoso ordine alfabetico per non fare torto a nessuno – hanno un posto in primo piano fra i rossi ai vertici mondiali. Per questo la famiglia Barea ha voluto il suo Soranus, un Barolo il cui nome è di un legionario romano loro remoto antenato. Sono le uniche uve fuori dalla tenuta, un solo ettaro in affitto lavorato con dedizione a La Morra, ottenendo dal 2013 un Barolo non scontato: il 2015 (14% Vol.) è un vino complesso, caldo, ma mai sgarbato, dall’inconfondibile rosso granata delle uve Nebbiolo. All’olfatto è intenso, con note di mora, ribes nero e mirtillo, rosa canina e sentori classici di liquirizia e tabacco Virginia, fino a una sottile tostatura. Al palato rivela dei tannini vibranti, seppure mai eccessivi, ingentiliti dall’affinamento in botti medie e grandi per 24 mesi. Chiude lungo, diretto e speziato, in buon equilibrio con una fresca acidità che l’annata molto buona ci concede. Fa pensare all’abbinamento di un secondo classico, il filetto di manzo al pepe verde ed è un vino pronto, potremmo definirlo un Barolo contemporaneo che non richiede lunghi affinamenti in bottiglia.
Nella stessa linea denominata Selezione c’è il Mysterium, Barbera d’Asti Superiore DOCG prodotta dalle più vecchie vigne della tenuta, mediamente ben oltre i 50 anni di vita. Il 2016, ottima annata in Piemonte, si presenta di colore rosso rubino intenso, con affinamento del vino ripartito 1/3 in barrique, 1/3 in tonneau e 1/3 in botti grandi per circa 20 mesi, prima che il blend passi in bottiglia. Anche questo è un vino intenso, complesso, all’olfatto ricco di sottobosco e note di amarene sciroppate, sentori di noce moscata e una finale balsamico ristoratore. Al palato è certamente tannico, nella sua predestinata longevità, concedendosi a una lunga persistenza ricca di acidità e in parte sapida. Dunque un vino che si presta a piatti ricercati soprattutto nella ricchezza aromatica, come un coniglio alla senape.
Completano la linea Selezione due vini di grande territorialità: l’Invictus (invincibile). l’altro Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG, in questo caso da uve di vendemmia tardiva che trasmettono grande struttura e, tradizione per tradizione, certamente è l’abbinamento ideale per i tipici agnolotti al sugo d’arrosto; infine il Solis Vis 2018, Timorasso 100%, 14%. Vol, un vino bianco di corpo, con note fossili e di pietra focaia, fino a un quasi impercettibile tratto smaltato, però sempre fresco e sapido. Ancora giovane, ma di lunghissima persistenza, è il vino ideale per un vitello tonnato piemontese, cercando proprio una ricetta ricca di acciughe e capperi.
Tutta la linea si presenta nelle bottiglie bordolesi con spalla alta, un altro tocco di prestigio oltre alle etichette, eleganti e rigorose, un po’ come del resto sono i piemontesi; riportano sempre una breve storia del vino, con lo stemma esteso della tenuta Montemagno per la linea dei Classici e in sigla TM per la Selezione, dentro al sigillo centrale ad effetto cera lacca.
Per completezza di produzione, la famiglia Barea si dedica anche a 2 metodo classico a dosaggio zero di Barbera 100%: il TM Brut 24, tanti sono i mesi di sosta sui lieviti, dal colore rosa tenue dovuto alle 4 ore a contatto con le bucce; il TM Brut 36, per altrettanti mesi sui lieviti, che acquisisce un colore più intenso, tipico da rosato stando a contatto fino a 8 ore con le bucce. Entrambi pensati per accompagnare antipasti di affettati oppure delicati preparati di pesce. Infine c’è il TM Roses, uno spumante dolce rosé metodo Charmat, da uve Malvasia di Casorzo.
Dunque non resta che lasciarsi cullare dalle splendide camere della cascina, curate in ogni dettaglio e, dopo un tuffo in piscina, farsi condurre dallo chef fra i suoi piatti, come la battuta di Fassona, maionese al limone, polvere di acciuga, uovo di quaglia e tartufo estivo.
Non rimane che il ritorno a casa, nelle nebbie – ma è solo un arrivederci – di nuovo cullati dalle note di Paolo Conte:
Cos’è la Pianura Padana dalle sei in avanti
Una nebbia che sembra di essere dentro
A un bicchiere di acqua e anice…