STOP & GO SPECIALE EMILIA-ROMAGNA
IL NOSTRO SOMMELIER INTERVISTA… DAVIDE FRASCARI
Siamo alla tredicesima tappa del nostro Stop&GO in Emilia e lo dedichiamo alla divulgazione delle nostre eccellenze. Incontriamo Davide Frascari, presidente del Consorzio Tutela Vini Emilia. Il neonato consorzio, creato nella seconda metà del 2020 dalla fusione dei rispettivi Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena, Consorzio per la Tutela e la Promozione dei Vini DOP Reggiano e Colli di Scandiano e Canossa e Consorzio di Tutela Vini del Reno D.O.C, è operativo dall’ 1 gennaio 2021. Scopi principali sono la tutela, promozione e valorizzazione della realtà vitivinicola dell’Emilia, l’informazione del consumatore e la cura della denominazione di origine. Si tratta sostanzialmente di mettere a sistema, oltre ogni divisione, un territorio che oggi produce 1,3 milioni di quintali d’uva su oltre 16.000 ettari vitati e che nel 2019 ha superato 42 milioni di bottiglie di Lambrusco DOC.
Presidente Frascari, in questo percorso con WineStop&Go stiamo dando spazio ai produttori piccoli e grandi che rappresentano al meglio il territorio vitivinicolo adottando il metodo classico e recuperando, con i cosiddetti ancestrali, la rifermentazione in bottiglia. Queste cantine stanno andando incontro al mercato che ricerca prodotti di qualità?
Si tratta di un percorso per alzare l’asticella. Devo ringraziare i piccoli produttori che sul territorio hanno colmato quel vuoto che si è creato per l’aumento di dimensioni dei grandi gruppi. Dato che oggi il mercato è il mondo, i grandi si sono adeguati ad avere le strutture per essere in grado di raggiungerlo. La nascita di piccole aziende e comunque lo sviluppo di aziende storiche (come ad esempio Casali, che incontreremo più avanti e che è sul territorio dal 1900, ndr), che lavorano molto su prodotti di alta qualità come i metodo classico e i rifermentati in bottiglia, è il segnale che il nostro territorio ha delle potenzialità ancora inespresse. La tendenza alla riduzione del consumo pro capite di vino è chiara, passando dai 100 litri di oltre un decennio fa agli attuali 34 litri; poi per fortuna negli ultimi tempi pare che la curva abbia smesso di calare, però la spesa media del consumatore di vino è aumentata. Quindi se siamo riusciti diminuendo i volumi a recuperare in marginalità, vuol dire che abbiamo venduto dei prodotti di qualità superiore.
A che punto siamo per quanto riguarda la rivalutazione del prodotto?
Il consorzio sta già lavorando sul disciplinare credendo fermamente nella biodiversità dell’Emilia. Le nostre uve sono certamente un segnale. Coltiviamo tutte le varietà autoctone di Lambrusco, ma spaziando da Piacenza a Bologna si vinifica il Trebbiano, la Malvasia aromatica di Candia, il Grechetto gentile del Pignoletto, la Spergola, la Barbera e il Sauvignon, lo Chardonnay e il Pinot nero fra i vitigni internazionali. Con ottimi risultati in particolare sulle colline, ove il biologico è largamente diffuso. Sappiamo anche che le bollicine oggi fanno tendenza ed è giusto sfruttarne la scia proprio con i nostri prodotti di eccellenza. Possiamo poi vantare una storicità unica, in fatto di bollicine. Già nel 1596 Andrea Bacci, nel suo De Naturali Vinorum Historia de Vinis Italiae et de Conviviis Antiquorum, scriveva che ‘sui colli, sottostanti all’Appennino di fronte a Parma, Reggio Emilia e Modena, si coltivano Lambrusche, uve bianche e rossicce che danno vini piccanti, odorosi, spumeggianti, veramente squisiti’. Dunque non ci mancherebbe proprio nulla per dar vita a una zona di bollicine per eccellenza, per giunta anche rosse. Sarebbero quasi le uniche bollicine rosse. Il lambrusco già di per sé è un qualcosa di molto variegato, perché può essere rosato, rosso, rosso intenso, addirittura vinificato in bianco.
Bisognerebbe stimolare il territorio, i produttori con un criterio di tutela specifico delle eccellenze, anche per avvantaggiare tutta la filiera virtuosa. Magari pensato proprio per valorizzare il metodo classico e i rifermentati in bottiglia. Si determinerebbe probabilmente anche un aumento del costo delle uve, a tutto vantaggio dei produttori. Ma si riesce a far sedere piccoli e grandi produttori intorno a un tavolo? Si riesce come consorzio a coordinare una realtà così diversificata?
Credo che l’impegno del consorzio debba essere anche quello. Fare sistema sul territorio. C’è da lavorare tanto. Dobbiamo riuscirci. Io non vedo alternative, è un percorso obbligato, nel rispetto dei ruoli. I grandi devono capire quanto sono importanti i piccoli per l’esplorazione, il contatto con il territorio. Al contempo i piccoli devono avere la consapevolezza che il ‘conto’ lo stanno pagando i grandi (dentro al consorzio). Anche il grande, poi, è fatto da una miriade di piccoli. Emilia Wine, per fare un esempio, è grande, non grandissima come le Riunite, però sono 730 viticoltori, con una media poderale di 2 ettari.
Un quadro certamente complesso, ulteriormente complicato dalla questione della sostenibilità…
Argomento che non si può ridurre al solo metodo di coltivazione. Se essere biologici può essere anche una scelta di vita, non dimentichiamo che l’Emilia è una eccellenza già da anni in fatto di percentuale di coltivatori in lotta integrata, lavorazione meccanica dei terreni senza uso di diserbanti come il glifosate. La sostenibilità è ambientale, economica e sociale. Quella economica significa una distribuzione equa dei margini fra produttori, imbottigliatori e commercializzazione. Si diceva del prezzo dell’uva. Del resto non è facile, tenendo conto che oltre il 90% delle uve reggiane e modenesi sono raccolte all’interno del sistema cooperativo. La sostenibilità ambientale è un tema che da anni sta a cuore a tutti. Ma non si è ancora arrivati a una certificazione ambientale di tutto il territorio emiliano.
Parallelamente, dopo gli sconvolgimenti mondiali del Covid, il mondo è cambiato e dobbiamo essere pronti a intercettare un turismo che vuole muoversi e ritornare. Confiniamo con Piemonte e Toscana che concentrano da decenni una parte molto significativa del turismo enogastronomico italiano, che necessariamente attraversa l’Emilia. Lo fa per il nostro straordinario Parmigiano-Reggiano, lo fa per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e di Reggio Emilia. Lo si deve dunque intercettare anche per il vino, mettendo in relazione le nostre etichette emiliane con il cibo.
Dobbiamo crederci di più. Gli emiliani devono essere i primi a credere nel proprio potenziale. Pensiamo nuovamente agli ottimi rifermentati in bottiglia da uve Lambrusco, ma anche Spergola e Barbera, in base alle province di appartenenza.
Ci sono piccoli produttori che escono in cantina a prezzi intorno ai 3,50 € a bottiglia, altri che con una immagine più rafforzata possono proporre un prodotto sempre d’eccellenza a 14 €. Una forbice troppo ampia che non aiuta il consumatore nella scelta. In questo senso è sicuramente necessario un coordinamento e il Consorzio Tutela Vini Emilia può aiutare.
Ci vuole più coalizione. Dobbiamo imparare dai francesi della Champagne, un territorio in cui c’è tanta solidarietà fra produttori, per il bene comune. Analogamente in Alto Adige, dove si è imparato che parlare bene del prossimo è solo un vantaggio. Si vendono più bottiglie e alla fine vale per tutti. Crederci di più significa questo. E significa creare un circuito di collaborazione con la ristorazione. In Emilia troviamo tantissimi ristoranti di cucina tipica che difficilmente offrono vini locali, ovvero strettamente correlati all’immediato territorio di appartenenza, a fronte magari anche di estese carte dei vini provenienti da tutte le regioni.
Secondo lei, è auspicabile che la recente fusione dei consorzi di Modena e Reggio porti a un’unione di tutte le realtà, da Piacenza, Parma a Bologna?
Parma aveva chiesto di unirsi nella prima fase. Intanto sono arrivati Reggio e Modena. Poi arriverà anche Parma… Dunque il percorso è tracciato. In questo quadro è significativo avere uno spirito di massima collaborazione con l’Enoteca Regionale Emilia Romagna. Non dimenticando l’APT (Azienda di Promozione Turistica della nostra regione). L’unione fa la forza.