IL NOSTRO STOP & GO SPECIALE EMILIA ROMAGNA PROSEGUE NELL’OASI FAUNISTICA DEL CONCA

Un Sophienwald accompagna il sorso con eleganza. Nella parte centrale della bocca sale la Rebola, tesa, salina, di grande pulizia espressiva, senza macerazione: sa di ginestra, agrume croccante e fini erbe aromatiche, di piacevole balsamicità nel finale. Ma nel bicchiere non c’è solo la Rebola, c’è molto di più, c’è un contesto. Ed è questo che rende un’ottima Rebola un’esperienza caratterizzante. Quel suo invitante giallo paglierino denso, brillante sembra dirti: “Come mi bevi qui, da nessun’altra parte”. Ed è così. È questo il genius loci, che intercetta il gusto e ti conduce lì. Il servizio andato in onda su Melaverde – tra Cattolica e Rimini, qualche giorno prima del nostro arrivo – rende bene l’idea: dalla foce del Conca, a Portoverde, frazione di Misano Adriatico, all’entroterra c’è una Emilia Romagna che sta allungando il passo lavorando con grande attenzione e rispetto della biodiversità in vigna, che poi si traduce in un risultato di stacco qualitativo nel bicchiere.

Winestopandgo percorre l’oasi faunistica della Val Conca, tra Morciano e la foce  – una luce e un verde magnetici – per una estensione di 702 ettari, con Davide Lorenzi, winemaker alla guida con il fratello Massimo e i cugini Marco e Milena della cantina Enio Ottaviani. Un’azienda di famiglia da tre generazioni, i cui 12 ettari in proprietà all’interno del parco naturale, vitati a sangiovese, chardonnay, bombino bianco (pagadebit), cabernet sauvignon e merlot, si perdono a vista d’occhio. Un piede in vigna e uno nell’Adriatico, come ci racconta Davide. Altri quindici ettari sono in gestione nel raggio di 10 chilometri. E altri, chissà, ne arriveranno in Val Ventena, insieme a qualche camera per l’ospitalità. “Se ci sono terreni vocati perché no, anche se cercheremo di allargarci sempre di più nell’oasi. I grandi territori del vino sorgono sempre vicino a un fiume”.

Siamo a San Clemente di Rimini. Cantina e degustazioni per enoturisti sono immerse nell’oasi in un totale silenzio, solo un venticello caldo scompiglia i capelli “portando in giro” il profumo delle ginestre che a macchia di leopardo puntellano il lungo tratto del torrente. L’oasi si può visitare percorrendo le due piste ciclopedonali che affiancano le due rive fluviali. Una decina di chilometri, più o meno, e si arriva al mare, fra vigneti, una diga, cascate, aironi che nidificano. L’osservatorio ornitologico, sulla sinistra del bacino artificiale del Conca, è sede di riproduzione di varie specie di rallidi, anatidi, trampolieri e passeracei. La sveglia sarebbe all’alba per avvistare specie rare protette, come la cicogna bianca, il pellicano, l’airone bianco, il martin pescatore. I tempi sono stretti, sarà per la prossima volta, motivo per ritornare. Ci accontentiamo di veder scorrazzare lepri, fagiani e di tanto in tanto qualche daino che fugge impaurito fra i filari del Sangiovese. Sono terreni di medio impasto, con una matrice franco-argillosa – le cosiddette “genghe”- con presenza di limo e sabbie, ricchi di fossili di origine marina che risalgono al Pliocene (5-7 milioni di anni fa). “La vicinanza del mare apporta mineralità e sapidità nei vini. Mi piace la coerenza e lavoro con grande pulizia”, spiega Davide. Vini come il cru di Romagna Sangiovese Dado, il Sangiovese Superiore Caciara, il Pagadebit “Strati” e la cuvée Clemente I da Sauvignon blanc, Riesling e Bombino bianco. La vigna del Pagadebit è storica, del 1982. “Pagadebit in quanto le rese sono sempre state alte e il vitigno dava garanzie”, spiega. “Questa uva la raccolgo sempre a metà ottobre, dopo il cabernet, perché non ho problemi di muffe”.
Enio Ottaviani produce circa 140mila bottiglie, per il 60% sono vini bianchi, come gli autoctoni Pagadebit e Rebola e gli internazionali Sauvignon Blanc e Riesling, sui quali non si fa macerazione, mentre il restante 40% è diviso fra Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon. “Tutti i miei vini nascono in vasche di cemento. Il legno grande lo preferiamo alla barrique per avere uno stile più snello. Il legno deve essere ben dosato visto che fermentiamo a temperature più basse anche i rossi. La cessione di una barrique non è così performante come quella molto più lenta di una botte grande, su cui continueremo a investire”. Uno solo lo spumante, metodo charmat, prodotto. I mercati guardano a Oriente, dove si realizza il 30% del fatturato, ma anche Europa, Stati Uniti e Canada sono solidi.
Nello showroom di recente creazione si degusta in accompagnamento con prodotti tipici locali e musica romagnola in sottofondo. “Facciamo vino per gli amici, per la convivialità e il vino è l’espressione massima della gioia a tavola”, sottolinea Davide. Sulle bottiglie campeggia la scritta “We make wine for friends”. Una joie de vivre autentica, e terapeutica direi, sottolineata anche da un altro mostro sacro della Romagna del valzer, Raoul Casadei. Convivialità e – finalmente!- vini che sono pronti per una piccola grande rivoluzione culturale. Anche in questo angolo di Romagna.