Su Famiglia Cristiana e su Credere (ed. San Paolo), abbiamo parlato delle abbazie italiane impegnate nella produzione di vino e del ruolo plurisecolare dei monaci nella salvaguardia di vitigni autoctoni che altrimenti si sarebbero estinti. Le abbazie hanno dato un contributo straordinario alla ricostruzione della viticoltura negli anni bui del Medioevo, dopo la caduta del Sacro Romano Impero e l’arrivo in Europa delle orde barbariche. I monaci hanno preservato la vite dall’estinzione e con essa la straordinaria biodiversità, raccontata anche da Luigi Veronelli e Mario Soldati, di cui è ricco il nostro paese come nessun altro. Un potenziale vitivinicolo di oltre seicento vitigni, di cui in produzione oggi sono circa trecento.
Se ne è parlato nella prima edizione di “Vini d’abbazia”, evento con focus sul vino monastico come atto culturale, ideato dal giornalista Rai Rocco Tolfa nel complesso abbaziale di Fossanova (Latina), nel cuore dell’agro pontino, uno dei più antichi esempi di arte gotico-cistercense in Italia insieme all’abbazia di Casamari. Visto il grande afflusso di appassionati che idealmente si muovono lungo direttrici di turismo spirituale ed enogastronomico, la manifestazione è già stata confermata a giugno 2023, con una collaborazione importante che guarda Oltralpe.
La provincia di Latina sta crescendo in termini produttivi ma anche culturali, grazie a una strada del vino, dell’olio e dei sapori particolarmente attiva e coinvolta nell’evento di Fossanova con produttori d’eccellenza locali (come Marco Carpineti, Giangirolami e Casale del Giglio) accanto alle abbazie protagoniste. Il turismo enogastronomico ben si salda con quello religioso e artistico ma serve un racconto che crei valore. “Il ritorno alla terra riequilibra i ritmi, fa bene al corpo e alla mente. La nostra è una cultura agricola, siamo direttamente o indirettamente tutti figli di contadini. Oggi grazie al mondo del vino l’agricoltura è tornata al centro del dibattito”, commenta l’autore e conduttore televisivo Marcello Masi. “Ai francesi siamo secondi solo nella comunicazione e nel marketing, non nella qualità dei nostri vini”.
Il vino oltre ad essere un simbolo sacro nel rito eucaristico diventa nel corso della storia la principale fonte di sostentamento dei monasteri, che alla preghiera affiancano sempre di più il lavoro agricolo e in molti casi l’artigianato di qualità, soprattutto Benedettini, operosi, e Cistercensi, ingegnosi.
Tre gli esempi di abbazie e cantine che abbiamo trattato su Famiglia Cristiana, in primo piano Muri Gries (Bolzano), San Masseo (Assisi) e Valvisciolo (Latina).
“Il vino è una risposta all’Ora et labora di san Benedetto, che diede una svolta al lavoro, lo nobilitò. Il lavoro dei monaci non era più quello degli schiavi che venivano reclutati al tempo delle guerre romane, ma li santificava. San Benedetto sosteneva che il monaco era tale se si procurava il cibo con le proprie mani”, racconta il priore Andrea Rossi dell’abbazia di Valvisciolo, a Sermoneta. Da quattro ettari vitati l’abbazia produce quasi quarantamila litri di vino, principalmente venduti al dettaglio, di cui un migliaio di bottiglie annue con tre bianchi in purezza (Chardonnay, Moscato e Malvasia) e un rosso (Merlot) che si stanno vendemmiando in questo periodo, più tremila ulivi.
Vino e olio si producono anche nei monasteri San Masseo ad Assisi, dove si registra la produzione maggiore, e Santa Scolastica a Civitella San Paolo (Roma), entrambe fraternità di fratelli e sorelle facenti capo al monastero di Bose (Biella).
San Masseo è stato fondato nella seconda metà dell’XI secolo e abbandonato dopo il sisma del 1997. Una decina di anni fa la comunità monastica di Bose ha restaurato questo luogo riportando la vita monastica e riprendendo il lavoro della terra sulla scia di quanto li ha preceduti. Per tutti questi secoli, anno dopo anno i monaci hanno bonificato e dissodato le terre, costruito sistemi di raccolta delle acque intorno al monastero, coltivato l’ulivo e impiantato la vite. La coltivazione della vite è stata migliorata producendo tre vini: l’Assisi Grechetto Dop Bio ottenuto con uve di Grechetto, varietà di Todi; il Masseo Assisi Grechetto Dop Bio, sempre da uve di Grechetto varietà di Todi ma con fermentazione in barriques di rovere francese e lavorato con il metodo del batonnage; il Rubeum Rosso Umbria Igt Bioo, da uve merlot.
A Santa Scolastica si coltiva il vigneto del monastero da oltre cinquant’anni con la massima cura, raccogliendo a mano ogni grappolo da cui si ottiene il Quam Bonum Bianco Lazio Igt Bio, da uve malvasia, trebbiano e garganega.
Le giornate si svolgono fra preghiera, lavoro, accoglienza degli ospiti e vita fraterna secondo una propria regola che trae ispirazione da san Benedetto per l’Occidente e da san Basilio e Pacomio per l’Oriente. “Cerchiamo di vivere con il nostro lavoro, che svolgiamo in prima persona”, spiega Michele Badino, che si occupa della gestione del monastero insieme ad altri sei confratelli.
Lavoro in cantina e vita monastica convivono nel cuore di Bolzano, a Muri Gries. È il 1845 quando l’abbazia dei monaci agostiniani a Gries, oggi prestigioso quartiere della città altoatesina ma un tempo comune autonomo, viene donata dall’imperatore d’Austria ai Benedettini di Muri, in Svizzera, che rilevano l’antico complesso del XII secolo con la cantina e iniziano a coltivare la vigna seguendo la regola dell’ Ora et labora.
In questi giorni è in corso la vendemmia nei trentacinque ettari lavorati direttamente, di cui diciotto coltivati a Lagrein. Storico il cru Klosteranger, quasi tre ettari proprio all’interno delle mura del monastero, una vigna iscritta al catasto già quando Bolzano era in territorio austroungarico. Un cambio di direzione qualitativo che negli anni ’90 porta l’Alto Adige a scommettere su questo vitigno autoctono. “Valorizziamo la qualità e la tipicità del Lagrein, non solo come Rosé ma anche come vino Riserva, tramite la selezione massale e lo sviluppo dei singoli vigneti. Da una accurata cernita abbiamo individuato dei biotipi pregiati con cui sono stati gradualmente reimpiantati i singoli appezzamenti”, spiega Christian Werth, enologo della cantina da più di trentacinque anni, che del suo lavoro risponde all’abate.
La cantina è perfettamente integrata nel complesso monastico e molti locali dell’edificio sono utilizzati per la vinificazione e l’affinamento dei vini. L’approccio adottato, pragmatico e lontano dagli eccessi, consente di conservare l’autenticità di questi luoghi senza però dover rinunciare all’innovazione tecnologica in campo enologico. “Siamo particolarmente orgogliosi dei nostri due appezzamenti di punta, 8,2 ettari all’interno dello storico quartiere di Gries-Moritzing, area verde da sempre dedita alla viticoltura e luogo d’origine del Lagrein, alle porte della città di Bolzano”, spiega Werth. “Una vera e propria gemma nascosta è il vigneto del convento racchiuso nell’area dell’abbazia e protetto dalle sue imponenti mura, il vigneto Klosteranger, registrato dal 2014 come vigneto singolo. Qui ho trovato le condizioni perfette per il mio Progetto Vigna, che prevede la vinificazione separata dei singoli appezzamenti. Dall’inizio degli anni ’90 conduco numerose ricerche in vigneto e in cantina insieme a Walter Bernard, il responsabile della viticoltura, sempre con l’obiettivo di conservare e custodire per il futuro le vecchie e preziose viti di Lagrein. Questo processo di selezione, durato diversi anni, ha dato vita a speciali biotopi dai quali la cantina convento produce oggi i suoi migliori vini come il Lagrein Riserva Vigna Klosteranger, la cui prima annata, la 2014, è stata presentata nel 2018. Altro fiore all’occhiello della cantina è il Lagrein Riserva Abtei Muri”.
Christian Werth negli ultimi trent’anni ha contribuito in maniera decisiva a posizionare e a rendere competitivi, sul mercato nazionale ed internazionale, i vini di Muri Gries. “Il messaggio che deve passare è sicuramente culturale e storico, ma anche qualitativo. Abbiamo sempre puntato all’eccellenza”.
Considerati anche i conferitori, la superficie vitata comprende un totale di 60 ettari collocati all’interno della DOC Alto Adige a Bolzano e in Oltradige, 35 dei quali sono lavorati direttamente dalla cantina convento.
La forma di allevamento è per l’80% guyot e 20% pergola e le varietà principali sono lagrein, pinot nero, schiava, pinot bianco, pinot grigio, gewürztraminer, chardonnay, moscato rosa. “A Bolzano abbiamo terreni con materiale porfirico in profondità coperto da uno strato di materiale alluvionale ghiaioso e sabbioso, ad Appiano suoli di ghiaia calcarea”, continua Werth.
Oggi Muri Gries produce per l’80% vini rossi, di cui il 55% sono Lagrein, per una produzione annuale di circa 650.000 bottiglie. Werth ha fin dall’inizio creduto nelle potenzialità del Lagrein, tanto che già nel 1989 la cantina convento si cimenta in qualcosa di nuovo e per la prima volta dà vita ad un Lagrein Riserva. Ne risulta un vino estremamente espressivo e di alta qualità che è stato considerato un punto di riferimento della categoria dalle più importanti guide del settore e ha segnato l’inizio della linea premium dei vini Muri Gries. Il successo di questo cambio di direzione a favore della qualità ha coinvolto tutto l’Alto Adige. Il risultato è che la superficie coltivata a Lagrein inizialmente ha raggiunto i 260 ettari, ma alla fine degli anni ‘90 si è poi assistito ad un’ondata di nuovi impianti che ha portato a 472 ettari la sua superficie totale (2018).
Accanto a un Lagrein per tutti i giorni, simbiosi fra modernità e tradizione, i Lagrein Riserva di Muri Gries rappresentano la massima espressione di questa varietà, del terroir dal quale nascono.