Alberto Fiorini, il Lambrusco rifermentato e una storica verticale
Nel visitare cantine, l’appassionato più smaliziato (e più preparato) desidera spesso trovarsi di fronte a bottiglie anche di vecchie annate. Il più possibile significative, ovviamente. Ma sappiamo bene che questo non è sempre fattibile. Vuoi perché le aziende vitivinicole più piccole hanno difficoltà a conservare le bottiglie, soprattutto le grandi annate, molto richieste, vuoi perché all’opposto, i grandi produttori avrebbero troppe richieste, allora determinati millesimi devono necessariamente essere dedicati a presentazioni per gli addetti ai lavori non al normale consumatore, per quanto esperto. Oltre a considerare che non sempre il costo può essere adatto a tutti, pensando in particolare a vini, e territori, come ad esempio il Barolo, il Barbaresco, il Brunello di Montalcino o l’Amarone della Valpolicella, dove l’affinamento in bottiglia di decenni porta a un valore aggiunto decisamente importante. Guardate solo le carte dei vini di certi prestigiosi ristoranti: c’è da lasciarci gli occhi (oltre che il portafoglio)!
Dunque si tratta di eventi particolari, elitari, è bene dirlo, praticamente sempre su invito, in cui le degustazioni più mirate si trasformano in verticali, cioè quel piacevole percorso temporale a ritroso di apertura delle bottiglie dalle più giovani alle più datate. È quella che si chiama evoluzione di un vino, dalla sua gioventù all’essere pronto, come lo definiscono i sommelier Ais, poi maturo, quindi – da evitarsi – vecchio.
Tutto si complica se entriamo in zone dove non ci si riferisce a bianchi o rossi fermi, ovvero i vini destinati alle verticali per antonomasia. Certo, Oltralpe magari ci si può imbattere in una prestigiosissima verticale di Champagne, cosa che potrebbe accadere anche in Italia all’interno di una masterclass professionale. Ma se pensiamo all’Emilia? Avreste mai creduto che nella terra del Lambrusco, frizzante e sbarazzino, servito freddo, potesse esistere una verticale?
La maggior parte dei consumatori di questo territorio è abituata a vini bevuti giovanissimi, a produzioni di grandi numeri, cioè autoclave e metodo Martinotti, tutt’al più Charmat lungo. Ebbene, non voglio creare ulteriore suspense. Posto che anche in Emilia si lavora con Metodo Classico e che i rifermentati in bottiglia o ancestrali ora vanno molto di moda, cioè che esiste vino di grandissima qualità, tutto quello che poteva sembrare un sogno impossibile è divenuto realtà da Alberto Fiorini, omonimo proprietario di una realtà vitivinicola molto interessante, Poderi Fiorini.
In particolare, ci troviamo sulle colline tra Modena e Bologna, con uno sguardo sulla pianura, perché la storia del Lambrusco è stata scritta anche qui, a Poderi Fiorini, dal 1919, fra Gargallo di Carpi e Ganaceto di Modena, con Ugo, seguito dal figlio Giuseppe, che scherzando andava dicendo di essere nato in una botte. Di generazione in generazione si arriva ad Alberto con la moglie Cristina, attivi in vigna e nell’accoglienza, aiutati dalla quinta generazione, Matteo, che completa lo staff sotto la guida enologica di Enzo Mattarei e Marco Gozzi.
Dal 2011, sopra Savignano sul Panaro, nel sito della Torre dei Nanni, si trova la nuova cantina ipogea, realizzata con criteri di eco-sostenibilità. Le altre tenute sono fra Sozzigalli e Le Ghiarelle. Per un totale di circa trenta ettari, l’azienda coltiva Pignoletto, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Barbera, Sangiovese, Riesling e Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, oltre alla coltivazione del Lambrusco di Sorbara nella sede storica di Ganaceto (5 ettari vitati in pianura).
Questa verticale d’eccezione di Fiorini, con bottiglie in formato magnum, ha come focus, in particolare, le etichette Le Ghiarelle, 100% Grasparossa – da uno storico vigneto a piede franco nel letto del fiume Panaro, con terreni ghiaiosi che hanno consentito alle vigne di resistere all’aggressione della fillossera agli inizi del secolo scorso – e Vigna del Padre, 100% Lambrusco di Sorbara, annate 2021, ’19, ’17, ’16, ’15 fino alla 2009, che ancora era etichettata come Vigna del Caso e non era monovarietale. Tutto sotto il prezioso contributo organizzativo dell’AIS Reggio Emilia e l’accurata conduzione di Flavio Spotti, sommelier internazionale che ha conseguito il Master Alma AIS.
Vigna del Padre 2021
Iniziamo la verticale con un Lambrusco come ce lo potremmo aspettare usualmente, quindi relativamente giovane (anche se nel 2023 sarebbe più scontato bere la 2022), ricordandoci che il Lambrusco di Sorbara presenta il suo caratteristico colore rosso scarico, quasi fosse un rosé con riflessi lievemente arancioni/porpora. È una delle sue caratteristiche – i modenesi lo sanno bene – e in questo caso è un ottimo esempio di ancestrale, così chiamato il vino a doppia fermentazione, con la seconda in bottiglia. Semplificando, si distingue dal Metodo Classico che, alla fine del ciclo di trasformazione degli zuccheri in alcol etilico e anidride carbonica, subisce una fase di rotazione delle bottiglie raccogliendo i residui dei lieviti nel collo della stesse, poi congelati, estratti solidi, ragion per cui si procede alla sboccatura, quindi all’aggiunta del cosiddetto liqueur d’expedition, che prevede un dosaggio di zuccheri (oltre a tante ricette segrete tipiche del mondo degli Champagne metodo Champenoise). In questo caso, invece, la parte dei lieviti rimane in sospensione, una volta completato il suo ciclo di vita, per questo il vino rifermentato in bottiglia si presenta torbido, creando due filosofie di bevuta: c’è chi preferisce avere le particelle sospese, equamente distribuite nel liquido, quindi con mani sapienti esegue un lento, delicato doppio ribaltamento della bottiglia, servita a temperatura di cantina, e poi procederà con cautela alla sua apertura e alla mescita (facendo chiaramente attenzione a che il vino non “scappi”); altri invece preferiscono ottenere un risultato nei calici il più possibile limpido, cioè approssimarsi a un Metodo Classico, agitando il meno possibile la bottiglia in modo che la parte dei lieviti residui rimanga sul fondo, da cui banalmente il nome stesso dei cosiddetti vini “con fondo”. Certo è che gli ancestrali, per loro natura, sono vini senza trucchi, in buona sostanza non dosati, cioè facenti parte dei cosiddetti “dosaggio zero”, che in tanti spumanti prendono il nome di “Brut Nature”. Per questo, da alcuni anni sono anche sinonimo di vini naturali. È bene sottolineare, però, che questa categoria si è molto evoluta, nell’ultimo decennio in particolare, eliminando tutte quelle connotazioni negative che si portava appresso il vino definito “del contadino”, come ad attribuirne un’accezione di genuinità non sempre corrispondente a verità. In primis, non solo il vino non era riconoscibile da un anno all’altro, ma spesso nemmeno da una bottiglia all’altra!
Non è questa la sede per dilungarsi, ma in passato i vini non filtrati e con lieviti autoctoni, senza osservare scrupolosamente un ciclo del freddo e un controllo dei residui di ossigeno in bottiglia, generavano sgradevoli “puzzette” che hanno in parte attribuito ai vini naturali stessi una storia – ormai per fortuna svanita nel passato – che agli inizi non gli ha affatto reso onore.
Il risultato è che un vino rifermentato in bottiglia da uve Lambrusco è tutt’altro che banale; siamo di fronte a un vino, annata 2021, che esprime già una interessante evoluzione, con ancora un olfatto di uva pura, frutto fragrante con note agrumate e di fiori di viola. Al palato si amplifica la sensazione olfattiva finale delle ciliegie di Vignola. Fra i presenti alla verticale, vista la piacevole schiettezza sapida che spesso questi vini si portano appresso, qualcuno aggiunge un descrittore molto connotativo del Lambrusco di Sorbara non dosato: una elegante spremuta di sale e melograno. Parafrasando, un vino verticale, vigoroso e sapido che esprime tutta l’eleganza delle fini bollicine in una cremosità avvolgente e persistente.
Vigna del Padre 2019
Potremmo anche raccontare ogni vendemmia, ogni anno che poi entra in bottiglia, fra aspetti climatici e tutto il resto, ma una verticale purtroppo non può diventare un romanzo, per quanto l’esperienza sia complessa e degna di approfondimento.
Con la 2019 cambia tutto. Già il colore rosso più intenso sta aprendo un nuovo capitolo. L’olfatto è più territoriale, pieno, carico con sentori di frutti rossi decisamente più maturi. Se fossi un poeta, quale non sono, potrei dire che all’orizzonte compaiono piccole scintille ossidative, ma si tratta di sentori passeggeri, nessun difetto se non l’essere assai vicini al momento dell’apertura. Quando alcuni dettagli che avevano lievemente punto il naso se ne vanno, trovano spazio sentori più dolci e riverberi aromatici caldi, dettagli di erba officinale, con note agrumate ora di pompelmo rosa, ora di bergamotto, e con quel pizzico lievemente amaricante che non guasta per niente, anzi lascia intuire la forza dei lieviti.
Vigna del Padre 2017
Siamo vicini alla perfezione, ricordando solo che questa fu un’annata molto calda, siccitosa. Il vino si presenta di colore rosso aranciato con riflessi terra di Siena bruciata. Ed è molto fruttato, suadente con echi esotici, fino alla banana candita e miele di eucalipto. Se fossimo stati in una degustazione alla cieca, la sua complessità unita al perfetto equilibrio dell’acidità e della sapidità nel corpo, lo avrebbero potuto far passare per uno Champagne Rosé. Con sempre una “scioglievolezza” delle bollicine fini che prolunga il piacere. Non occorre aggiungere altro.
Vigna del Padre 2015
Altra storia, altro colore. La frutta rossa matura ora si mischia a note di prugna disidratata, duroni scaldati dal sole. Questo vino regala una grande coerenza fra olfatto e palato, conturbante fino alla fine nel veicolare frutti e spezie dolci. La parentela con i fratelli più giovani si delinea, anno dopo anno, così comprendiamo anche la filosofia che sta dietro a questo vino. Come dicevamo prima raccontando dei vini naturali, una cosa è la diversità caratterizzante di ogni annata, cioè l’impronta di madre natura, favorevole o controproducente che sia, per cui l’abilità dell’enologo è proprio quella di saper fare un buon vino ogni vendemmia, ma senza trucchi, altra è la riconoscibilità. Qualcuno direbbe “soprattutto riconoscibilità”. Da un anno all’altro lo stile, la continuità è una firma, pur lavorando con lieviti autoctoni con sempre una certa percentuale di imprevedibilità, seppure stabilizzati sul frutto, nell’aria e in cantina, a parità di microclima e ambiente. In altre parole, un vino deve essere figlio dell’uomo, oltre che del terroir. Quello che andremo a bere anno dopo anno deve essere la Vigna del Padre di Poderi Fiorini: questa è l’aspettativa di un affezionato cliente e questo è sinonimo di un gran vino.
Annata questa che correttamente ci riconduce nuovamente al territorio, alla ciliegia di Vignola, mentre al palato gli 8 anni si fanno tutti sentire. La complessità cresce, pur mantenendo la riconoscibile schiettezza sapida, di nuovo sottilmente evidenziata dalla latente nota amaricante, che poi è pure rinfrescante e che trasmette giovinezza, senza mai avere, con coerenza fra tutte queste annate, pesanti riflessi tannici. Qualcosa di lievemente salmastro vorrebbe infine prosciugare le bollicine, ma la loro forza resiste bene agli anni.
Vigna del Caso 2009
Altra storia ancora. Ora davvero ci vuole coraggio. Se facessimo per un secondo tornare in vita un nostro avo, vedendo che beviamo un Lambrusco che ha 14 anni ci prenderebbe per pazzi. Questo vino dal nome diverso era anche diverso nella cuvée, con circa il 50% di uve Lambrusco Salamino. All’olfatto la prugna disidratata diventa la parte centrale che coinvolge il naso. Arriva anche una nota mentolata che apre a un palato grasso, voluminoso, ampio e fruttato, con note di malto e ciliegia sotto spirito e infine una latenza di liquirizia. A malincuore abbandoniamo La vigna del Padre.
Le Ghiarelle 2019
Eccoci al Lambrusco Grasparossa. Ora un reggiamo come me si sente già più a casa. Ricordiamoci che abbiamo a che fare con una vigna storica, sopravvissuta alla fillossera, cioè a piede franco. Si parla di 237 piante – pensate – con filari degli anni ’20. Siamo nel letto del torrente Panaro. Questa annata al colore è ombrosa, di un rosso porpora cupo. Si rivela subito un olfatto complesso, pieno, lievemente tannico, certamente altrettanto fruttato, con note di prugna disidratata e bacche di ginepro. Olfatto e palato sanno di mora e mirtillo, con una certa astringenza, mentre le bollicine sabbiose e l’essere un vino dritto, di sobria eleganza, ne delineano il carattere, che ci servirà per tracciarne lo stile, così da comprendere le annate precedenti. Finale acido, in equilibrio.
Le Ghiarelle 2017
Annata calda, già lo sappiamo. I colori sono simili al precedente, non ci si discosta dall’impenetrabile rossore di queste uve. Si delineano subito dei particolari interessanti, fra cui lo spettro fruttato ampio, che si miscela bene con spezie e aroma di china. Appare sapido e ribelle, seppure con tannini già arrotondati, certamente più in equilibrio dell’annata 2019. Una delicata nota di viola appassita si specchia nel quadro articolato di un vino eccezionale. Probabilmente unico. Complice anche l’unicità delle viti da cui nasce. Un vino di carattere che non solo si berrà negli anni a venire, senza timore di trovarlo stanco, ma che si presta a tantissimi abbinamenti della cucina reggiano-modenese. Fate la vostra scelta.
Le Ghiarelle 2016
Una conferma. Olfatti simili ai precedenti, palati diversi. Alberto Fiorini, andando verso la conclusione appare tanto contento quanto noi. Il risultato di questa annata si svela probabilmente in quei contrappunti erbacei che non abbiamo trovato nei fratelli minori. I tannini sono levigati, prevale l’eleganza e l’equilibrio, sempre con una spuma adeguata, persistente. Al palato i dettagli erbacei si fanno lievemente dolciastri, con un nuovo sentore al naso che sfiora erbe officinali e canapa. Fino al rabarbaro, che con una sua punta amarognola arriva al palato.
Degustazione finita. Verticale storica, questo è certo. Tutto ciò, però, ha uno scopo: comprendere che le nostre bollicine nobili emiliane non temono l’età. Metodo Classico e rifermentati in bottiglia da uve Lambrusco possono accompagnarci per anni, perché sono vini ben fatti. Sono spumanti rossi, unici. Ma soprattutto sono molto buoni. L’ho detto!