Ritorniamo alla terza edizione di Oltrepò Terra di Pinot Nero, dopo avervi raccontato, la settimana scorsa, la declinazione di questa uva nel Metodo Classico con la prima delle due masterclass alla Tenuta Pegazzera di Casteggio.
La masterclass condotta magistralmente da Filippo Bartolotta è stata l’occasione per degustare otto bottiglie selezionate all’interno della DOC Pinot nero dell’Oltrepò Pavese, dal 2022 al 2018, in questo caso con etichette non alla cieca.
Primo in batteria il Fioravanti di Calatroni, frutto di un cru divenuto di proprietà dell’azienda negli anni ’90, ora completamente in biologico. Questo rosso riceve il 15% del vino dall’annata precedente che matura in botti di rovere austriaco, entrando nella cuvée, dopo aver svolto una malolattica spontanea, per un affinamento finale di 3 mesi in bottiglia. Dalla gioventù di questo Pinot nero si passa a Conte Vistarino presente con Costa dei Neri 2021: un anno in più già si apprezza verso il cammino di maturazione piena di questo vitigno internazionale che in Italia è sinonimo di Oltrepò Pavese e Trentino Alto Adige, ma che nel mondo trova alcune fra le più significative eccellenze in Borgogna. Anche in questo caso le uve sono raccolte a mano, provenienti da più appezzamenti intorno ai 300 m slm, a differenza dei cru Bertone, Pernice e Tavernetto dedicati alle rispettive etichette con appezzamenti di circa due ettari e una quota altimetrica intorno ai 400 metri. Conte Vistarino, oltre ad aver fatto la storia dell’Oltrepò Pavese e non solo, vanta ancora oggi una tenuta agricola vastissima. In cantina c’è un plastico che la mostra ed è impressionante vedere una valle intera e indivisa di proprietà della stessa famiglia.
Con l’annata 2020 sono state presentate due bottiglie: Cà di Frara Losana, che ben rappresenta il territorio e la sua forza, con uve che crescono al di sotto dei 200 metri, esposte a sud-ovest, in forte pendenza, con una sosta di 12 mesi in barrique e altrettanto in vetro; il Cordero San Giorgio SG67, la cui storia è tutta nel nome per una vigna storica che risale – pensate! – al 1967, che prevede la fermentazione malolattica nei 10 mesi di affinamento in barrique, cui seguono altri 10 in bottiglia.
Si passa all’annata 2019 e vengono presentati La Genisia Centodieci e Travaglino con il suo Poggio della Buttinera: entrambi sono il risultato di un affinamento in legno di circa un anno, poi dai sei mesi a un anno in bottiglia. Le uve del Centodieci derivano da vigneti esposti a nord-ovest e sud-est, a 250 metri di altezza, quelle del Poggio della Buttinera sono a sud-est, sostanzialmente alla stessa quota. Entrambi ben rappresentano le aspettative classiche del Pinot nero, con note di fiori d’agrumi iniziali, dettagli balsamici armonizzati con note di piccoli frutti rossi. Centodieci riverbera piacevolmente dettagli di frutto croccante, vivace e sentori di earl grey, mentre Poggio della Buttinera, per certi versi più austero, dopo un elegante e ricco olfatto concede rotondità e tannini non così eccessivi.
Sempre del 2019 anche Tenuta Mazzolino con il suo Noir, che in questo frangente risulta il più pronto in rapporto all’annata, stimolando un terziario già strutturato fra note di tabacco e cuoio, ma anche foglia di alloro, prugna e flavour di caffè. L’affinamento in legno di 12 mesi si fa sentire, ma il finale di buona acidità invoglia al secondo calice.
La degustazione con Filippo Bartolotta si conclude in casa Frecciarossa con il loro Giorgio Odero 2018. Anche in questo caso siamo di fronte a una cantina con una storia importante e Odero è il nome della villa che risale al 1860, mentre Giorgio, che regala il nome a questa etichetta di Pinot nero, ne rappresenta la seconda generazione. Siamo proprio sopra Casteggio, sulle prime ripide colline. L’esposizione delle vigne a nord-ovest e nord-est compensa in freschezza i filari in posizione non particolarmente alta e un’annata per certi versi persino troppo potente. Come gli altri rossi, Giorgio Odero viene lasciato in affinamento 12 mesi in botti di legno da 25 hl, poi rimane altrettanti mesi in bottiglia. È un vino che scalda, a tratti formoso, ma certamente in equilibrio in tutta la parte finale del palato.
Oltre alla degustazione, che fra l’altro è stata anche l’occasione per vedere il piano superiore e gli interni curati della splendida villa nella Tenuta Pegazzera di Casteggio, questa giornata in Oltrepò ha messo a confronto la maggior parte dei produttori del territorio, sotto le tre ali porticate dell’edificio risalente ai primi del ‘700. Ecco dunque che fra i banchetti vi è stata la possibilità di degustare le tante prestigiose bollicine di Metodo Classico, per tornare a rinfrescarsi dopo gli assaggi dedicati ai rossi fermi. Fra i produttori, oltre ai già citati Bruno Verdi, Cà del Gè, Calatroni, Alessio Brandolini, Montelio, Tenuta Mazzolino, Castello di Cigognola e Quaquarini, oggetto dell’articolo della settimana scorsa sulla prima masterclass, è stato piacevole fermarsi all’azienda agricola Pietro Torti, in particolare per il suo Cruasé Brut 2019. Analogamente di pregio le sensazioni trasmesse da La Bolla Rosé Cruasé 2018 di Cantine Cavallotti e Manuelina Rosé Brut “145” – come il numero della parcella – un vino relativamente generoso nel dosaggio (7 gr/l) rispetto a tanti brut nature, che lo rende estremamente versatile, in particolare nell’annata 2016 messa a disposizione dalla famiglia Achilli.
Last but not least è certamente Prime Alture con i vini di Roberto Lechiancole, fra cui il suo brut Io per te del 2018, che fra l’altro è premiato dalla sboccatura a distanza adeguata (febbraio ’22 con 40 mesi sur lies), cosa non sempre scontata, in particolare quando ci si confronta con etichette di poche migliaia di bottiglie.
Se volessimo tirare le somme di una giornata così piacevole in Oltrepò Pavese, una è la certezza che questo territorio mi trasmette: eleganza e longevità, con etichette mai banali.