Durante il lockdown andiamo in Sicilia, sorvegliata speciale ma che non dovrebbe cambiare colore con il prossimo dpcm, per capire come sta affrontando questo periodo una delle più grandi cooperative dell’isola, Cantine Settesoli, guidata da Giuseppe Bursi, ma che per lungo tempo ha visto come presidente il compianto Diego Planeta. Una cooperativa virtuosa e solida, che conta oltre seimila ettari vitati sulla costa sud-occidentale e più di venti milioni di bottiglie all’anno, votata a principi di sostenibilità ed etica, che sa mettere al centro il lavoro dell’uomo e la valorizzazione del territorio. In una Sicilia che secondo il rapporto SINAB è la regione italiana con più ettari di coltivazioni biologiche, con oltre 370,622 ettari, ben 104mila in più della seconda classificata, la Puglia. Di questi, 31mila ettari sono dedicati alla vite bio (24% del totale regionale, 29% del totale Italia). Sostenibilità ambientale e rispetto della natura sono radicati nel comune sentire e fanno parte del modo di essere siciliani. Coltivare, ma prima di tutto preservare l’immenso patrimonio ambientale e di biodiversità, che diventa così patrimonio culturale di inestimabile valore.

Bursi, avete da subito creduto nella certificazione Viva per la sostenibilità nella viticoltura. Ora è in arrivo un nuovo marchio. Un insieme di buone pratiche che vanno oltre il biologico…

Viva è stata per noi un punto di partenza. Etica comportamentale, sostenibilità e produttività sono i nostri focus. L’obiettivo attraverso il Consorzio è far sì che tutta la Sicilia diventi sostenibile. Partendo dalla viticoltura, che rappresenta una parte importante dell’agricoltura isolana, si spera che questi concetti passino a tutti. Con il Consorzio Doc Sicilia stiamo cercando di arrivare al marchio di sostenibilità Sustain Sicilia da apporre sulle bottiglie. Abbiamo appena fatto una riunione in merito, costituito una fondazione, ci sarà un organismo di certificazione, una società parallela che farà assistenza tecnica. La Sicilia è stata la regione pilota di diversi progetti di ricerca per il miglioramento della qualità della vita e del lavoro. Coltivare, ma farlo bene, è una grande responsabilità, prima che produttiva sociale ed etica. Vivere e lavorare in un ambiente sano, creare vini sani e sicuri, impattare il meno possibile sul territorio, approvvigionarsi di competenze locali, utilizzare materiali e prodotti ecocompatibili, ridurre gli sprechi, rispettare la grande ricchezza varietale che il nostro territorio possiede è un fatto culturale che fa parte della storia personale di ciascuno di noi. Consegnare al mondo un’isola sana che genera valori prima che valore è un traguardo che ci deve vedere impegnati tutti, non solo Cantine Settesoli, Tasca d’Almerita, Planeta e altri grandi produttori. Come Cantine Settesoli siamo arrivati a 900 ettari bio su 6mila. Equità, economia, rispetto devono viaggiare insieme. Così facendo creiamo qualità dentro e intorno alla bottiglia. Il futuro va in questa direzione. L’obiettivo minimo è che nel primo anno ci seguano in questo percorso almeno quaranta aziende. Siamo partiti ora, pian pano costruiremo la rete.

Avete creato anche una linea di vini biologici…

Sì, la linea Jummare, che in gergo significa palma nana. Stiamo partendo con questo progetto in un periodo complicato, ma consapevoli che dobbiamo scommettere sempre di più sul bio e sulla sostenibilità. Nel Nord Europa c’è un crescente interesse per i prodotti biologici. Abbiamo appena concluso un contratto anche in Giappone, non sono grandi numeri ma è un piccolo segnale di ripresa.

È vero che vorreste puntare sui vini rossi in una regione con una piattaforma ampelografica bianchista?

È il mercato che decide. E il mercato è più orientato ai vini rossi. Nero d’Avola e catarratto sono le due varietà più presenti. Anche gli internazionali sono ben coltivati, come cabernet, merlot, syrah e chardonnay. A mio giudizio abbiamo troppi ettari dedicati al catarratto, e questo è il mio cruccio. Il catarratto ha poca richiesta sia in Italia sia sui mercati internazionali, va meglio il grillo. Oggi abbiamo una piattaforma ampelografica orientata ai bianchi per il 65%: spero di arrivare a un 50%.

Qual è stato l’impatto della pandemia sulle vostre vendite?

Siamo presenti per l’84% nella gdo e per il 16% nell’horeca. Da questi dati è chiaro che soffriamo meno di altri che fanno solo ristorazione. Con la parte relativa all’horeca siamo andati sotto del 24%, in estate abbiamo registrato un recupero e adesso siamo fermi di nuovo. In linea generale dall’ 1 gennaio a oggi direi che la perdita si attesta sul 10-12%, non proprio male se consideriamo che ci sono aziende abbondantemente sopra il 20%. Nella gdo abbiamo segnato un +5%. Il problema è cosa accadrà dal 3 dicembre in poi con il nuovo dpcm. Se si dovesse alimentare ancora la situazione delle zone rosse con ristoranti chiusi sarà un problema. In termini di fatturato siamo tra le prime realtà cooperative dell’isola. A giugno 2019 eravamo sui 48 milioni di euro. La cooperativa più grande è comunque la Colomba Bianca, che ha assorbito varie cantine.

Come commenta la vittoria americana di Biden?

Gli Usa per noi non sono il mercato principale, a differenza dell’Inghilterra. Ci sono aziende che più di noi stanno soffrendo e hanno sofferto la pandemia e i continui tira e molla di Trump relativi ai dazi. Dazi poi non applicati all’Italia ma che hanno creato un clima psicologico di tensione, di incertezza sul futuro. Quello di Trump è stato un atteggiamento aggressivo che non ha facilitato le vendite. Mi auguro che in Europa ci siano d’ora in poi meno tensioni e preoccupazioni. Spero che si evitino questi scontri che non fanno bene a nessuno. Biden è il secondo presidente cattolico, ha origini europee. Confido che ci siano risvolti positivi in Uk, anche se Johnson ha un bel caratterino, simile a Trump. Il mercato inglese è per noi storicamente fondamentale.  Settesoli ha sempre esportato in Uk, nell’off-trade ma non solo, avevamo un importatore per la grande distribuzione, ora invece siamo indipendenti, e uno per l’horeca. Altri mercati target sono Norvegia, Svezia, Olanda e Germania, poi Giappone e Usa.

Non è facile aggiudicarsi i tender nel Nord Europa…

Perché puntano al prezzo più basso più che alla qualità. Settesoli non è in grado di competere con altri che vendono a prezzi stracciati.

Prossime mosse per la ripartenza?

Durante il lockdown non ci siamo mai fermati, non possiamo farlo. Quindi e-commerce a tutta forza, accordi con aziende che fanno delivery. Stiamo portando avanti vari progetti. I nostri prodotti sono distribuiti in Italia e all’estero con i marchi Settesoli, Mandrarossa e Inycon. Abbiamo fatto un restyling delle etichette di Settesoli e di Inycon che è il nostro brand per l’estero sulla grande distribuzione. Siamo convinti che quando si sbloccherà la situazione ci sarà una ripresa. Si è visto durante l’estate con l’allentamento delle misure. Dobbiamo essere pronti a cogliere la ripartenza. E ovviamente occorre investire nella promozione. Partecipiamo al progetto di Assovini relativo all’Ocm vino e anche alla misura 3.2 del Psr.

José Rallo (Donnafugata) è stata nominata nel cda dell’Ice. Cosa vi aspettate dalla vostra conterranea?

Che abbia un occhio di riguardo per la Sicilia, ma sarà sicuramente così.  José conosce molto bene il mondo del vino anche a livello internazionale. Spero che sia uno stimolo a fare meglio.

Non posso non chiederle un ricordo di Diego Planeta, storico presidente delle Cantine Settesoli dal 1973 al 2011…

Diego Planeta rappresenta la storia della Sicilia enoica. Un grande presidente ma anche e soprattutto un grande uomo e un grande siciliano. Lo dicevo pochi giorni fa in assemblea che se noi eravamo lì lo dovevamo esclusivamente a Diego Planeta. Cantine Settesoli senza di lui non sarebbe quella che è oggi. Lui ha fatto sì che l’economia di Menfi facesse un salto in avanti. Proprio per questo abbiamo deciso di dedicare all’interno del nostro bilancio una pagina in suo ricordo. Oggi continuiamo a fare il nostro meglio possibile. Settesoli è una realtà industriale che genera lavoro, una delle poche realtà in Sicilia che garantisce il reddito a duemila viticoltori e quindi a duemila famiglie, creando un indotto. Durante il mio mandato, che scade a dicembre, sono riuscito a incrementare il prezzo delle uve. Anche quest’anno e seppure con il covid che ci ha penalizzato enormemente siamo riusciti a raggiungere i risultati di budget previsti grazie alle vendite nella grande distribuzione. Stiamo remunerando le uve in una maniera più che dignitosa. Abbiamo garantito gli stessi prezzi dell’anno scorso e su alcune varietà come cabernet, merlot syrah chardonnay, moscato, che hanno avuto riduzioni di resa, abbiamo incrementato il prezzo lanciando un segnale chiaro di solidarietà. È giusto che la cooperativa, se può, intervenga a tamponare le perdite di produzione aumentando i prezzi della materia prima.

Voi siete l’esempio emblematico di una cooperativa del Sud Italia che lavora con grande attenzione e qualità…

Nell’immaginario collettivo, purtroppo, essere una cooperativa al Sud non sempre è sinonimo di creare buoni vini, e questo è uno dei miei crucci.  Nel Nord Italia ci sono molte cooperative, che non sono percepite come tali, che producono buonissimi vini. Noi sfatiamo questo modo di pensare con la qualità dei nostri prodotti. Anche nella grande distribuzione abbiamo una qualità alta che ci è stata riconosciuta. Con il nostro Cartagho, un  Nero d’Avola in purezza del brand Mandrarossa, abbiamo vinto per 7 volte su 11 i Tre Bicchieri. Anche con i vini dell’Etna abbiamo portato a casa premi importanti e siamo usciti sul mercato con un Passito di Pantelleria di alta gamma. Ci dobbiamo presentare al mondo con un rapporto qualità-prezzo eccezionale. È l’unico modo per affermarci.  E rivendico la nostra capacità tecnica e tecnologica di poter fare grandi vini. Abbiamo una qualità generalizzata e dei top wine territoriali di contrada, come li chiamiamo noi, che proponiamo anche alla ristorazione che conta. Siamo pronti per poterci confrontare con le migliori aziende private. Chi meglio di noi può selezionare i grappoli migliori? Con seimila ettari,  trentadue varietà diverse, suoli di tutti i tipi, un clima ottimo tutto l’anno, una grande tecnologia, enologi bravissimi cosa mi manca per fare grandi vini? Dico sempre che grande è bello. Riusciamo a prendere il meglio che c’è sul territorio. Bisogna far capire al mercato che i luoghi comuni sono da sfatare. Spero in un altro mandato e che Settesoli con il suo marchio Mandrarossa possa affermare sempre di più la sua qualità. Dopo il covid ripartiremo con una squadra organizzata meglio. Abbiamo ancora tante potenzialità inespresse. E lì andremo a lavorare.