“Perché? Semplicemente perché ci siamo innamorati del Pinot nero, della sua nobiltà, della sua eleganza. E, non secondariamente, di questo luogo e di questa casa padronale, circondata da ventidue ettari vitati a corpo unico, un tempo appartenuta alla nobile famiglia dei marchesi Sauli di Genova, successivamente ai Perdomini. Tutto ha un suo fascino: il foliage, perfino la nebbia in lontananza. E poi ci piacciono le sfide, quei territori in cui nulla è scontato, in cui bisogna mettere alla prova le proprie capacità”.
Un amore, questo il motivo, come ci racconta Michela, per cui dei langaroli di Castiglione Falletto nel 2019 decidono di riscrivere la loro storia in Oltrepò Pavese, a Santa Giuletta, in località San Giorgio, in quello che un tempo era il Vecchio Piemonte. Nuove pagine da raccontare ai figli e ai figli dei figli. Lassù, in cima alla collina, in quella sorta di “panettone” naturale dove le vigne sviluppate tutt’intorno godono di esposizioni differenti. Il cambiamento? “È una straordinaria opportunità di crescita”.
A Castiglione Falletto i Cordero possedevano un’azienda storica che nel 2016 è stata venduta. “La famiglia cercava di rimettersi in gioco, ma non voleva più restare in Langa all’ombra del passato. Dopo varie esperienze di vendemmie in giro per il mondo tra Oregon, Nuova Zelanda, Borgogna, per citarne alcune, si sono innamorati sempre più di questo vitigno e alla fine l’Oltrepò è stata una scelta voluta e obbligata al tempo stesso, perché è la zona più vocata in assoluto, in Italia, per produrre Pinot nero, terza in Europa dopo Champagne e Borgogna. È anche a un’ora da casa”.
Michela è la compagna di Lorenzo Cordero, enologo dell’azienda insieme al fratello maggiore Francesco, con la sorella Caterina titolari dell’azienda Cordero San Giorgio.
Un “piede” in Piemonte, però, è rimasto. A Castiglione Tinella – conteso tra Langhe e Monferrato – producono non uva qualsiasi ma Moscato d’Asti. “Sono sette ettari e mezzo, vigne di famiglia che abbiamo ripreso per omaggiare la tradizione enologica piemontese”.
Torniamo all’Oltrepò. Vigneti sostenibili, a basso impatto ambientale, vitati a pinot nero, chardonnay, barbera, croatina e pinot grigio. Nel 2020 sono stati estirpati e reimpiantati tre ettari “perché erano vigne non più in produzione, tutto il resto cerchiamo di preservarlo, rimettendolo a regime”, continua Michela, che in azienda si occupa della parte commerciale (“insieme a mia cognata Caterina”).
A Santa Giuletta i suoli sono principalmente calcarei, ideali per il Pinot nero. “Laggiù – mi indica col dito – abbiamo preservato un bosco secolare di querce e ciliegi. Ai nostri lati, nella parte più fresca puoi vedere il Pinot nero – mi indica sempre, mentre camminiamo in una stradina immersa nei vigneti che divide due versanti opposti – e nell’altra lo chardonnay”.
E il Riesling? Riesling che in Oltrepò occupa circa 1300 ettari, con un passaggio sempre più importante dall’italico al renano. Tenuto conto che il comune di Santa Giuletta è sfiorato dalla cosiddetta Valle del Riesling, una zona particolarmente vocata a questo vitigno, qui portato dagli austriaci. “Abbiamo fatto una prova ma non ci ha entusiasmati. E lo abbiamo estirpato. Sui nostri suoli troviamo più interessante lo Chardonnay, di cui stiamo testando diverse vinificazioni. Lo abbiamo chiamato Rivone perché proviene da una vigna molto ripida accanto al bosco, che in passato era chiamata da tutti gli abitanti del posto proprio in questo modo, il rivone”. La vigna del Rivone ha una resa bassissima, meno di quattromila bottiglie. Così come quella del Pinot grigio Ramé, di sole duemila”.
Nel 2020 l’azienda ha affittato ulteriori 17 ettari e mezzo più in alto, a Rocca de’ Giorgi, a 440 metri slm, dove i terreni sono vocati alla produzione di vini bianchi. “Lì faremo le nostre basi spumante e parte del nostro Pinot grigio. Intanto è in arrivo il primo spumante, 100% da uve pinot nero. Il primo tiraggio lo abbiamo fatto nel 2020 e probabilmente usciremo alla fine del 2023, dopo 36 mesi sui lieviti. Stiamo sperimentando per capire come e dove realizzare un grande prodotto”, continua Michela.
Questo desiderio di ricerca e sperimentazione, dai materiali alle tecniche di vinificazione, è confermato dalla presenza in cantina di anfore di terracotta. “Abbiamo provato anche l’uovo di ceramica, che ha una permeazione di ossigeno diversa. Anfore e uovo li utilizziamo per lo Chardonnay, che segue una vinificazione particolare che prevede l’utilizzo del legno per un terzo della massa. Alla fine dell’affinamento in contenitori diversi per forma, dimensione e materiale realizziamo l’assemblaggio. Dallo scorso anno abbiamo aggiunto una nuova botte, l’ovalina, specifica per i bianchi, che stiamo testando sempre sullo Chardonnay. Lavoriamo con nove tonnellerie differenti di rovere francese”.
Il Pinot nero è l’amore di una vita. Quello d’entrata, il Tiamat, si è aggiudicato il Tre Bicchieri. Giocato più su frutto e freschezza, con una parte della massa che affina in barrique di secondo passaggio e una parte in acciaio, il Tiamat rivela lo stile dell’azienda. Gli altri due Pinot nero prodotti sono una riserva, che è una selezione delle migliori uve dei vari appezzamenti intorno alla tenuta, da cui il nome Partù (“dappertutto”, assonanza tra dialetto locale e francese “partout”), e il cru SG ‘67 edizione limitata, proveniente dalla vigna più vecchia, del 1967 appunto, con etichetta d’autore disegnata da Simone Verdi. Viti vecchie che sono il patrimonio reale dell’azienda: il parco vigneti ha in media un’età di 35-40 anni.
Tutte le vigne sono state parcellizzate, soprattutto per quanto riguarda il Pinot nero. “Al momento abbiamo individuato nove parcelle con precise caratteristiche, tutte vinificate separatamente, anche per il Tiamat. Alla fine dell’affinamento, come ultima fase, si fa l’assemblaggio”, spiega.
L’anno prossimo alla linea tradizionale si aggiungerà un nuovo Pinot nero, il quarto per Cordero. “È una vigna con una esposizione diametralmente opposta all’SG ‘67. Sarà un Pinot nero più fresco e delicato, giocato più sull’eleganza che sulla potenza. L’SG ‘67 è molto più macho”, spiega Lorenzo Cordero.
Durante la vendemmia sono utilizzati container refrigerati per lavorare le uve a freddo. La prima selezione si svolge tra i filari, dove la raccolta è manuale. La seconda in cantina, prima della lavorazione, su pedana vibrante.
In totale sono ottantamila bottiglie, ma con un potenziale di parco vigneti maggiore, considerato che molte vigne non sono a regime. La croatina è vinificata come rosso fermo e rosato. “Il rosato da croatina è l’unico nostro vino non a denominazione. Noi lavoriamo solo con monovitigni, che non sono previsti dalla Doc Oltrepò per quanto riguarda la tipologia in rosa. Detto questo, crediamo che la Doc sia necessaria per far crescere un territorio. Crediamo nel gioco di squadra”, commenta Lorenzo, che subito dopo averci raggiunte riscappa in vigna.
Katari, Piasa e Tiamat, ossia il Pinot grigio, la Croatina e il Pinot nero, sono nomi di dragoni leggendari. “Tiamat, che nella mitologia babilonese simboleggia la madre di tutto il cosmo, è il nostro vino d’entrata ed è anche la madre del nostro progetto sul Pinot nero”, racconta Michela. “La leggenda narra che San Giorgio, forte e bellissimo cavaliere errante, avesse ucciso il drago. Nel nostro logo aziendale l’iconografia classica è stravolta: San Giorgio è piccolino come noi, a piedi, perché simboleggia la nostra sfida in Oltrepò con il Pinot nero, invece il drago è un gigante. Il tempo deciderà se dovremo ingrandire San Giorgio e rimpicciolire il drago, o tenerli così come sono ora”.
Una storia da costruire. Partendo da due ingredienti: l’amore e la sfida. Vi pare poco?