Festeggiano i dieci anni di attività i fratelli Pierangelo e Alberto Ruggerone a Montegrosso d’Asti, nel Monferrato dei colli astiani, una delle tre aree (con Nizza e Tinella) vocate alla produzione della Barbera. Imprenditori nel settore della plastica – il padre Giuseppe insieme ad altri soci ha fondato negli anni ’60  la Mobil Plastic Spa in Lomellina – i Ruggerone hanno trasformato un vecchio cascinale piemontese in mattoni a vista, con cantina dismessa e annessa, in una accogliente realtà vitivinicola, La Badia, rispettandone il carattere rurale e ricavandone una parte importante dedicata all’ospitalità, nei progetti  a medio termine anche una piccola spa. “A casa nostra, a Robbio, terra di riso, era tradizione acquistare le damigiane e imbottigliare a casa il vino per uso domestico. Una passione che ci ha trasferito nostro padre e che ancora, in ricordo del nostro passato, manteniamo acquistando lo sfuso a Castellinaldo, nell’Albese”, raccontano i fratelli Ruggerone, buongustai a tavola, laboriosi  e genuini come la gente di Lomellina sa essere. “Dieci anni fa, in un’ottica di diversificazione degli investimenti, abbiamo deciso di farci il nostro vino. L’occasione si è presentata quasi subito. Il nostro obiettivo da una parte è valorizzare la Barbera, dall’altra far vivere al turista un’esperienza slow nel Monferrato contadino più autentico”.
E la colazione? Per chi si ferma in una delle sei camere dell’agriturismo è con vista sulla bottaia e con materie prime di primissima qualità a chilometro zero (o quasi). Una coccola il miele e i formaggi (super) artigianali. Il salame, ci fanno notare, è prodotto “da chi ha i campi e alleva il maiale”.
Per raccontare il decennale un evento con la stampa di settore. In degustazione le referenze dell’azienda, dalla Barbera allo Chardonnay (che su questi suoli trova il suo “bel” perché), passando per il Sauvignon Blanc, l’anno scorso alla prima raccolta, e per chiudere in bellezza la giornata, in cui non è mancata una visita nei vigneti, cena alla Locanda del Boscogrande, un fascinoso cascinale ristrutturato, con piscina panoramica, dove la vista si perde sulle colline circostanti. Sullo sfondo Barbaresco.


La Barbera ha slancio, più o meno in tutte le tipologie presentate dall’enologo (e socio) Ivon Picollo, arrivato in azienda nove anni fa, precedentemente nel team di Gianfranco Cordero. La filosofia è quella Fivi, dei vignaioli indipendenti, che nei numeri e nel riconoscimento stanno crescendo: si segue tutta la filiera di produzione, coltivando le proprie vigne, vinificando la propria uva, imbottigliando il proprio vino e curandone personalmente la vendita.  “I Fivi non fanno compravendita né di vino né di uva. Noi produciamo 25mila bottiglie, ma in un’ottica di sviluppo non andremo oltre le 50mila. Vogliamo restare piccoli e fedeli alla nostra filosofia di lavoro. Questo per gestire al meglio la campagna e la cantina. Noi enologi, al massimo, roviniamo ciò che la vigna ci regala”, spiega Ivan Picollo. “Siamo in regime di viticoltura sostenibile. Seguiamo un progetto dell’Unione europea controllato dalla Regione Piemonte e dall’anno prossimo apporremo in etichetta il marchio Sqnpi, la certificazione di qualità sostenibile, l’apetta per intenderci”.


Sei le varianti di Barbera d’Asti nel portfolio, che degustiamo. Si parte col Monferrato Chiaretto, 100% Barbera, con solo dodici ore di macerazione sulle bucce, si prosegue con l’accattivante Barbera d’Asti vinificazione classica, la Ninssola, fresca, beverina e molto varietale, vinificazione, malolattica e affinamento sempre in cemento, e con la Barbera d’Asti Superiore, l’Anfiteatro, vinificata in cemento e con più di un anno in botti di rovere, che tira fuori al naso e al palato tutta la complessità delle vigne vecchie (del 1940), veri e propri monumenti sul crinale della collina. Fuori dal coro il Metodo Classico extra brut da uve barbera, un rosé vsq 36 mesi sui lieviti, in cui esce bene sia la varietà sia il terroir, pensato per un bere non omologato, quindi l’approccio del consumatore deve essere non quello (poco premiante) del paragone con altri Metodo Classico di più antico “lignaggio”, ma culturale, della diversità arricchente, della ricerca di un sorso particolare, perché con l’uva barbera si può fare anche questo.
Interessante il vino aromatizzato dolce, ovviamente a base Barbera, con erbe officinali ed essenze botaniche, e la grappa di Barbera – perfetta con un sigaro a fine pasto – ricavata dalle vinacce della Ninssola e dell’Anfiteatro, che dopo la distillazione riposa in piccoli fusti di legno di ciliegio.
Una nota a parte per lo Chardonnay, I Gelsi, prima annata di produzione la 2016, vinificato un po’ in acciaio e un po’ in botticelle di legno, che ci fa capire la vocazionalità del territorio alla coltivazione di questo vitigno, lo stesso dei grandi bianchi di Borgogna, storicamente coltivato qui dai tempi del marchese Leopoldo Incisa, uno dei massimi ampelografi ed enologi del suo tempo, che lo portò in quest’area a metà ‘800, in epoca prefillosserica.
E il Sauvignon perché? “Perché ci piaceva”, sorride Picollo. “È una varietà bisbetica, difficile, anche una bella sfida. L’alternativa sarebbe stato il cortese”.


Quattro e mezzo gli ettari di vigneto in un territorio dove cinque milioni di anni fa c’era un mare profondo non più di 200 metri. Montegrosso era al centro di questo bacino marino. Nel corso dei millenni l’accumulo di sedimenti portati dai corsi d’acqua ha causato l’innalzamento del fondale e il formarsi di depositi di sabbia, di cui sono ricchi numerosi rilievi collinari e che ancora oggi danno l’impronta ai vini. “I movimenti tettonici hanno fatto emergere strati diversi. La Langa è caratterizzata da marne calcaree, nella zona dell’Arneis e del Moscato troviamo la sabbia di Asti, qui nel Monferrato gli strati sono molto più sottili e portano con sé una variabilità enorme”, spiega Picollo.
Riassunto della giornata? Che anche due pavesi possono raccontare un Monferrato pieno di senso, senza tradirne la storia. “Inoltre sono tifoso del Torino”, conclude Pierangelo Ruggerone. “Le pare poco?”.