Prosegue il nostro stop & go nel Piemonte a bacca bianca. All’Enoteca di Canelli – Casa Crippa, prima sede dell’enoteca regionale, già cantina di deposito per il vino che veniva spedito dalla vicina stazione ferroviaria, (“c’è ancora la rampa che sale”, ci dicono), incontriamo una figura di riferimento nel mondo del Moscato di Canelli, Gianmario Cerutti, produttore vinicolo, agronomo delle cantine Coppo (e di altre realtà importanti), presidente dell’associazione Moscato Canelli. E fra i fondatori della Fivi, la cui fiera è in questi giorni in corso a Piacenza. “Ho conosciuto persone come Leonildo Pieropan, Costantino Charrere. Si entra da vignaioli, ci si arricchisce umanamente strada facendo. Quando ho concluso il mio ciclo era come se mi mancasse un pezzo di me stesso”, racconta Cerutti. A proposito della giovane associazione Escamotage che vinifica il Moscato secco, da ”padre” del Canelli la sua è comunque una posizione di apertura: “Ci sono scambi reciproci. Il Moscato è un’uva che dà vini effervescenti e che rispecchia anche un’effervescenza del territorio. È un vino con tanto potenziale e unicità e questi ragazzi hanno deciso di esplorare la strada della versione secca, magari esplorata in altre zone d’Italia, non solo con il vitigno moscato bianco ma anche con il moscato rosa e quello giallo. Loro hanno un progetto e tutto quello che è espressione di un territorio e di gente che lo vive è una cosa positiva. Noi con la nostra associazione abbiamo deciso di elevare o comunque di nobilitare quello che già c’era, una parte del Moscato d’Asti e riportarlo al vertice della denominazione, partendo da un forte attaccamento al vigneto. Loro hanno lavorato con una espressione diversa, da giovani, con voglia di scommettere. Ci sono produttori che fanno entrambe le versioni”, continua Cerutti, la cui associazione, nata nel 2011 da un gruppo di una ventina di aziende, credendo fortemente nella sottozona Canelli ha avviato un progetto importante di valorizzazione del Moscato, che sfocerà nella creazione di una Docg indipendente. “Ci siamo fatti promotori di un nuovo disciplinare, a maglie più restrittive, già pubblicato sulla Gazzetta, che adesso è al vaglio dell’Europa. Nei prossimi quattro o cinque mesi la partita dovrebbe essere chiusa. Praticamente dalla vendemmia 2022 ci sarà una denominazione indipendente che si chiamerà Canelli Docg o Canelli Docg Moscato”, spiega. “La denominazione Asti è ampia e complessa e tiene dentro tante identità, tante interpretazioni. C’è una componente rappresentata dalle cantine storiche e spumantistiche, le grandi realtà dell’agroindustria. Hanno tutte una funzione, perché novemila ettari e novanta milioni di bottiglie hanno bisogno di gente e figure che facciano cose numericamente importanti per sostenere il reddito del sistema, però c’era una parte del Moscato che si rispecchiava nelle piccole aziende vitivinicole, che voleva mettere la vigna al centro. Il prossimo step, dopo il riconoscimento della Docg, sarà una mappa per individuare le vigne del Canelli”.
A Cassinasco, nell’Astigiano, Gianmario Cerutti è la quarta generazione. “Sono nato nel mondo del Moscato. Oggi facciamo anche Alta Langa perché questo è un territorio che offre alle aziende la possibilità di diversificare. Nel raggio di dieci chilometri abbiamo il terroir per la Barbera, saliamo in Langa astigiana o nella Langa cuneese e abbiamo la possibilità di fare i bianchi, Pinot nero e Chardonnay per l’Alta Langa, Moscato. L’aromaticità è intrinseca nel vitigno ma poi ci vuole il terroir per esprimerla. Ho una vigna ad Agliano, patria del Barbera, cuore del Nizza, che insiste su suoli di limo, argilla e poca sabbia, dove le colline sono più basse, la temperatura più calda, ebbene qui il Moscato si esprime diversamente che a Cassinasco, dove metà dell’azienda è coltivata a Moscato, le colline sono più alte, l’escursione termica fra giorno e notte più forte, il terreno di sabbia, limo e argilla”.
Canelli, nuovo vertice del Moscato. “L’area del Moscato d’Asti prende 51 comuni, è molto ampia. Va dalla provincia di Alessandria fino a Cuneo. Ci sono tre sottozone, Santa Vittoria, Strevi e Canelli, ma Canelli è quella che si è evoluta. Abbiamo fatto lo stesso percorso del Nizza, che nasce come sottozona del Barbera d’Asti e diventa Docg indipendente. Faremo sempre parte del Consorzio ma avremo un nostro comitato di denominazione per cui certe decisioni prese sulla nostra denominazione dovranno passare al vaglio di una sorta di parlamentino del Canelli. Potrebbe essere il vertice del Moscato d’Asti. A produrre il Canelli siamo diciassette comuni della fascia collinare a destra del fiume Tanaro. Si va da 500 metri di altitudine, limite massimo, a 165, il minimo per produrre il Canelli. Fino a 400 metri, dove c’è una collina più moderata, sono accettate tutte le esposizioni, oltre questa altitudine i nord vengono esclusi perché siamo andati a cercare la luce. Abbiamo considerato valli, crinali, formazioni geologiche, quindi abbiamo ricamato un’area ristretta. Se l’area del Moscato d’Asti è di 9-10mila ettari, noi al massimo potremo stare sui 2mila, quasi il 5% della denominazione e circa cinquecentomila bottiglie, che per il 70% prendono la via dell’estero, Stati Uniti e Sud Est Asiatico soprattutto. Sviluppando tutto il potenziale ci attesteremo sui 5-6 milioni di bottiglie. Non è prevista solo la versione classica, d’annata, ma pure la riserva che potrà uscire a circa 30 mesi dalla vendemmia, di cui 20 passati in bottiglia”.
Nell’anno della pandemia l’esportazione del Moscato è aumentata del 30%. “Il Moscato di Canelli non è solo un Moscato dolce. Il microclima e i suoli portano ad ottenere una componente acida importante che bilancia il gusto dolce. Questo significa che si può giocare con gli abbinamenti a contrasto, ad esempio con il prosciutto crudo, un blu o del foie gras con le versioni più invecchiate del Moscato, o con abbinamenti gourmet. È un vino che sa essere divertente a tavola”.