Recupero delle tradizioni, sostenibilità, unicità, eccellenza, rispetto dei luoghi, vivere all’italiana. Arti e mestieri dei territori nel loro significato più autentico, forse l’unico che gli appartiene, acquisiscono un valore culturale quando sono espressione di veri e propri beni culturali viventi, un’immagine forte che racchiude in sé l’eccellenza delle “artigianie” italiane, del saper fare, dove il focus è sempre e solo l’uomo, il suo lavoro, ma anche il suo modo di pensare, la sua memoria, la sua vita e un’idea personale di futuro che ridisegna i territori intrecciando innovazione e tradizione, connubio indispensabile per il progresso del mondo in chiave green. Una cultura materiale, dall’agricoltura alla meccanica, dalla moda al design, che rappresenta un patrimonio gigantesco. Perché, come si legge nel libro “L’Italia fatta a mano: beni culturali viventi”, di Davide Rampello e Antonio Carnevale, testo di riferimento per tutto il tema dell’artigianato italiano, “sarebbe un errore pensare ai beni culturali solo in termini di oggetti d’arte. Beni culturali non sono solo la pittura, la scultura e l’architettura, che secoli di storia ci hanno lasciato in eredità e che si aggiungono alle creazioni di artisti del presente. Esiste un altro patrimonio, meno conosciuto e valorizzato, che merita questa definizione, ed è il lavoro manuale dell’uomo: quell’insieme di attività che ha trasformato il territorio in frutti dell’agricoltura e in risultati dell’allevamento, che ha fatto rivivere i materiali in prodotti dell’artigianato, che ha saputo coniugare l’innovazione con la tradizione, attraverso i secoli, fino a oggi. E forse l’Italia dei beni culturali è oggi soprattutto questo…”
Una premessa doverosa per inquadrare il senso dell’incontro all’università Iulm di Milano organizzato in questi giorni da Davide Rampello, professore del corso Beni culturali viventi, manager culturale noto al pubblico per la rubrica di Striscia la notizia “Paesi, paesaggi…” dedicata alle eccellenze paesaggistiche, alimentari e dei mestieri dell’Italia. Una lectio magistralis con due relatori d’eccezione: Albino Armani per il vino e Mario Morandini per l’olio. “Ho invitato due beni culturali viventi, due modelli virtuosi. Albino Armani è uno straordinario artigiano nel senso vero della parola, un agricoltore e vignaiolo che ci crede ed è credibile in tutto quello che fa. Mario Morandini coltiva ulivi a cavallo del 46° parallelo, il punto più settentrionale al mondo per l’ulivo, la piana di Arco, nel territorio di Trento. Il vino e l’olio insieme all’acqua sono i liquidi sacri per eccellenza nella storia della cultura occidentale”, spiega Rampello. “Albino Armani ha creato sul confine fra Veneto e Trentino un progetto unico di recupero dei vitigni autoctoni rari e in alcuni casi estinti, la Conservatoria. Con lui abbiamo parlato delle varietà ancestrali e autoctone della Vallagarina, oggi sempre più in armonia con l’ambiente, sostenibili, ma anche in Friuli sta recuperando dei vitigni antichissimi. A fine lavori abbiamo degustato il Foja Tonda 2004 a confronto con l’annata 2017 e la Nera dei Baisi 2015. Mario Morandini, che produce un olio extra vergine di oliva superiore denocciolato, è un altro personaggio incredibile, un produttore raffinatissimo, un contadino ingegnere che ha progettato anche macchinari per una frangitura sempre più rispettosa e sostenibile e ha creato un progetto, con la collaborazione della Fondazione Mach di San Michele all’Adige, in cui non si butta via niente, al contrario si sfruttano tutte le componenti del frutto: i noccioli trovano nuova vita come fonte di energia alternativa e il seme viene spremuto a freddo per ottenere olio di semi di oliva, un eccellente antiossidante, con proprietà importanti nella cosmesi e nella cura probiotica”. Due esempi di economia circolare. “Parlare con un artigiano, con un falegname o un contadino di economia circolare è quasi ridicolo perché da sempre la fanno, non sono concetti moderni. Non esiste la cultura dello spreco per loro, questa nasce con l’avvento della società industriale”.
“L’agroalimentare ha bisogno di divulgatori, di comunicazione”, spiega Albino Armani. “Ho visto studenti interessati al concetto del riciclo e sensibili alle tematiche green. Alla domanda quando un vino è grande rispondo che un vino è tale quando rispetta il suo territorio e la varietà, quando è veramente sostenibile a 360 gradi, quando porta nel bicchiere un concetto di rispetto, fatica e appartenenza, quando è coerente con i luoghi della memoria da cui prende le mosse. E quando chi lo fa è coerente con se stesso. Gli sprechi della società consumistica, quel modello si è esaurito. Una nuova coscienza sta prendendo posto o, forse, si ritorna a una coscienza antica, da sempre insita nelle cose”.
Presidente della Triennale di Milano dal 2003 al 2011, percorso concluso perché chiamato dall’Expo Milano 2015 a curare e progettare il padiglione zero, Davide Rampello dal 2013, anno in cui ha proposto ad Antonio Ricci la rubrica televisiva sul tema del cibo, è nell’immaginario visivo collettivo “l’uomo con la sedia”, che lui posiziona nei vari territori perché “la sedia è legata al concetto di casa, insieme al tavolo che diventa tavolo per lavoro o tavolo per mangiare. Mettendo la sedia quel luogo diventa per un giorno casa, racconto, focolare domestico. Non ho una visione accademica, ma ne ho una concreta, vado sul campo, vivo i rapporti. E questo è il valore aggiunto che cerco di trasmettere ai ragazzi in università, ai quali al di là dei concetti porto degli esempi. Una lectio magistralis è stata tenuta da Maurizio Valli che oggi, scomparso Gianni Frasi, è il più grande connoisseur di caffè che abbiamo in Italia. Sul cioccolato, invece, memorabile la relazione di Guido Castagna”.
Tante le storie di questa Italia fatta a mano che l’uomo “con la sedia” ci porta nelle case. “Sono stato in Liguria a visitare l’azienda A Trincea, un’agricoltura tanto impervia quanto sostenibile su terrazzamenti disposti ad anfiteatro nell’estremo ponente ligure, chiamata così perché ancora oggi sono presenti postazioni in pietra che i militari prima e i partigiani poi utilizzavano come base per il controllo della valle sottostante. Un contesto unico al mondo, creato da un altro straordinario uomo, Dino Marsala, costruttore di case che innamorato della sua terra ha costruito venticinque chilometri di muretti a secco, realizzati a mano con pietra colombina, dove ha messo a dimora più di quarantamila viti e tremila o quattromila piante di ulivo. Produce un vino rosso molto minerale, il Roccese, secondo un antico sistema di coltivazione ligure dove la fatica disegna il paesaggio”.
Quando lo raggiungiamo telefonicamente Rampello è appena rientrato dalla Sardegna. “Ho conosciuto un pastore in un paese nel sud della regione, a Escalaplano, che produce un formaggio chiamato Axridda, a lunga maturazione, lavorato a crudo con argilla e olio benefico di lentisco, secondo la tradizione dei pastori nuragici. Nella sua azienda, la Fossada, ovini di razza sarda brucano le erbe spontanee fra la macchia di timo, mirto, rosmarino, lentisco ed elicriso. A Sant’Antioco ho scoperto un mastro d’ascia, il cosiddetto falegname delle barche, che non solo le costruisce ma anche le restaura e a Solarussa un altro artigiano eccellente crea abitazioni con un intreccio particolare di canne”.
Davide Rampello e i suoi relatori invitano a riflettere su due concetti base: “Italia fatta a mano” e “beni culturali viventi”. Siamo in grado di capirne veramente la portata?