Siamo in quell’area del Piemonte chiamata Astesana, sullo spartiacque del Tanaro e del Borbore. Per la precisione a San Martino Alfieri, crocevia fra Monferrato, Langhe e Roero. Qui si coltiva (con ottimi risultati nel bicchiere) il pinot nero. E lo si coltiva storicamente, anche se pochi lo sanno perché alla storicità non ha mai fatto seguito una grande diffusione locale del nobile vitigno originario della Borgogna. O meglio, l’enologo Mario Olivero, il cui arrivo nel 1999 alla tenuta vitivinicola Marchesi Alfieri ha coinciso con prestigiosi riconoscimenti ottenuti dalla Barbera d’Asti Superiore Docg Alfiera, fiore all’occhiello dell’azienda, ha deciso di scommettere, rischiando, anche sul pinot nero in una terra (molto) vocata alla produzione della Barbera e del Terre Alfieri, una nicchia enologica, da pilastri quali nebbiolo e arneis, che lega il proprio nome al noto poeta e drammaturgo astigiano. “Questa oggi è la terra della Barbera, un vino che da qualche tempo ha conosciuto una vera e propria esplosione sul territorio. Fu Camillo Benso conte di Cavour, la cui nipote prediletta Giuseppina aveva sposato Carlo Alfieri di Sostegno, a dare un impulso alla produzione vinicola della famiglia Alfieri introducendo il pinot nero in Piemonte a metà ‘800. Pinot nero che esiste in Borgogna dicono da duemila anni, sicuramente dal ‘500. In Italia arriva prima in Alto Adige, in Toscana, in Oltrepò Pavese e, un pochino dopo, in Piemonte su sollecitazione dello statista Cavour e del suo consulente enologico nonché esperto di rossi bordolesi Louis Oudart, che inizia a sperimentare nella sua tenuta di Grinzane vitigni francesi. Con lui cresce l’attenzione per la viticoltura nella nostra regione”, ci spiega Mario Olivero davanti a un calice di Metodo Classico “Blanc de Noir” annata 2018, degorgiato ad agosto 2022. Un extra brut gastronomico con soli 2 g/l di zuccheri residui (quasi un pas dosé) che vanno ad equilibrare l’acidità ancora pronunciata (“perché il 90% delle volte il vino non fa la malolattica”). “Il Metodo Classico in azienda è una mia introduzione. Quando sono arrivato in Marchesi Alfieri il pinot nero si vinificava solo in rosso. A dirla tutta, ero inizialmente incerto se farlo o meno perché qui non siamo in quota, al massimo arriviamo a 270 metri slm. E il vitigno è particolarmente esigente. Richiede molta umiltà nell’approccio. Per un Pinot nero di struttura, che sia in grado di esprimere i caratteri varietali e sia piacevole già dopo due o tre anni bisogna accontentarsi di produrlo solo in annate favorevoli quanto a disponibilità idrica, sole e altre mille variabili. Il pinot nero è un enfant terrible perché è un’uva complessa, dalla maturazione precoce e molto sensibile al terroir, quindi estremamente difficile da vinificare bene, ma al tempo stesso è un’uva eccezionale da cui si ricavano i grandi rossi di Borgogna e le grandi basi spumante per lo Champagne. Un vitigno a bacca rossa che sa essere duttile con risultati allo stesso modo straordinari sia sui bianchi sia sui rossi. Motivo per cui è facile intuirne l’unicità. Una sfida per qualsiasi enologo che si rispetti”, spiega Olivero.
Il progetto dello spumante nasce nel 2012, prima annata la 2014 (“abbastanza fresca”). “Siamo partiti con un affinamento minimo di 24 mesi sui lieviti, perché da qualche parte bisognava pur incominciare, e oggi siamo arrivati a oltre quaranta. Una piccola produzione che varia da quattromila a settemila bottiglie all’anno”, spiega. Al Metodo Classico è riservato l’affinamento nelle antiche scuderie degli Alfieri, risalenti al XVIII secolo, sotterranee per il 70 per cento. “Qui riusciamo a fermentare ad aprile, quando facciamo il tiraggio del vino base e inizia la vera e propria spumantizzazione in bottiglia, a 12,5 gradi, con una fermentazione molto lunga, oltre il mese, per un perlage e profumi più fini. “Quest’anno la maturazione dell’uva è in ritardo per via della siccità. Rispetto alla Langa c’è stata la metà dell’apporto idrico qui da noi. Comunque avere un ciclo più disteso non ci preoccupa. Vedremo la qualità delle uve. In genere da cento chili otteniamo 50-55 litri di mosto, una quantità davvero ridotta”.
Pinot nero che come ci racconta Jancis Robinson nell’Atlante Mondiale dei vini trova una localizzazione perfetta nella Côte d’Or, in Borgogna, dove cloni selezionati e tecniche ben applicate di viticoltura e vinificazione possono regalare vini in grado di esprimere le molteplici sfumature del terroir di origine.
La storia sul territorio di San Martino Alfieri è quella della vinificazione in rosso. Il Pinot nero San Germano prende il nome dalle attuali proprietarie della tenuta, Emanuela, Antonella e Giovanna San Martino di San Germano. “Dedicano il loro cognome a qualcosa che ha radici storiche e su cui puntano”, commenta Olivero. È lui a dirigere la Marchesi Alfieri, con i suoi 150 ettari di terreno e 120-130 mila bottiglie annue in produzione, forte di un’eredità storica, culturale e vitivinicola di oltre trecento anni. Una proprietà che Casimiro San Martino di San Germano, padre delle tre sorelle, eredita nei primi anni ‘80 da una cugina che non ebbe figli.
“È un pinot nero che non esce tutti gli anni sul mercato ma che produciamo ormai da tanti anni, solo quando l’annata ci consente di realizzare un grande vino. Il Pinot nero non si svela subito, non lo si capisce finché ha svolto la malolattica. Durante la fermentazione tradizionale non si ha ancora un’idea di ciò che uscirà, a differenza del Nebbiolo e della Barbera”, puntualizza.
L’ultima annata prodotta è la 2020, ormai esaurita. “Nel 2021 una grandinata ci ha bloccati e nel 2022, che degusteremo nel 2024, abbiamo selezionato solo una piccola porzione, per un totale di una ventina di ettolitri, a nord del vigneto più vecchio, perché le viti non avevano ancora recuperato integralmente, come quest’anno del resto. Quando le grandinate sono forti, come è successo poco tempo fa in alcune zone del Roero, il danno non è solo nell’anno sul prodotto finale ma anche sul legno, sulla pianta che non riesce a identificare i tralci per la potatura dell’anno successivo. In genere occorre un triennio affinché la vite recuperi la sua funzionalità”. Continua: “Nonostante la 2022 fosse una delle annate più calde, il versante nord ha premiato perché il vino ha caratteristiche di ciliegia, lampone, fragolina tipiche delle annate calde, a differenza di quelle fresche dove sono più la menta, la foglia di pomodoro, la ciliegia e il mirtillo che esprimono il Pinot nero, però, e ne sono rimasto stupito, non sa di surmaturo, di cotto, non è ‘seduto’ come si dice in gergo tecnico. La 2022 è stata una delle annate più siccitose insieme alla 2007 e alla 2003. Gli assaggi di botte rivelano struttura, intensità di colore ma anche freschezza”.
Noi, in via del tutto eccezionale, degustiamo l’annata 2005. Come riporta la retro etichetta “da uve pinot nero della vigna scelta dal conte Camillo Cavour su indicazione dell’enologo francese Oudart per l’introduzione di questo vitigno in Piemonte”. Un vino complesso, di struttura, intensità, ma ancora con una buona freschezza dopo quasi vent’anni. Chapeau!
Il Pinot nero è portato avanti studiando cloni, suoli, esposizioni migliori, sperimentando di default. Nella parte più alta del terreno le sabbie giallastre astiane, deposito di mare superficiale con alto contenuto di fossili, datato Pliocene medio-superiore, si sovrappongono alle argille grigio-azzurre di Lugagnano, marnose. “Il limo è quella parte inferiore ai due millimetri che a seconda delle sedimentazioni susseguitesi nelle varie ere può contenere più o meno sostanza organica. L’argilla, invece, è la componente più plastica, che troviamo tra un metro e mezzo e i tre metri di profondità nella parte più bassa delle colline, dove c’è stato un minor dilavamento”, spiega.
“A metà anni ’80 le proprietarie chiamano un esperto, il consulente enologo Carlo Scaglione, che guiderà l’azienda fino al mio arrivo, per studiare una vecchia vigna, centenaria, di cui abbiamo ancora alcune decine di piante. Scoperto che si tratta di pinot nero, decidono di puntare sul vitigno come eccellenza della casa, anche perché trent’anni fa non c’era tutta questa attenzione per la Barbera. Parallelamente, negli anni, si porta avanti il progetto dell’Alfiera, della vinificazione separata di ogni vigna. Tornando al Pinot nero, identificata la vigna storica si decide di piantarne due ettari e mezzo, pensando a una vinificazione in rosso. E così si parte. Qualche anno fa io ho deciso di piantare anche una porzione a nord, visto il cambiamento climatico e quest’anno ne introdurremo una ulteriore, in tutto poco meno di un ettaro, sempre a nord, sulla collina Quaglia, nella parte più ombreggiata e fresca. Nei prossimi due anni proseguiremo a spostare una parte dei due ettari e mezzo iniziali in un’altra collina, sempre sul versante nord. Le situazioni climatiche estreme e la piovosità ci portano ad affinare il tiro. Non voglio però trasferire tutto il pinot nero completamente a nord perché non conta solo il versante ma anche il terreno. Se cerchiamo un ritardo di maturazione ovviamente l’esposizione gioca un ruolo importante, però i grandi vini escono da un suolo vocato. Non basta spostare tutto nella parte più fresca per ottenere qualità”.
Non serve neanche il diradamento. “Una vite di pinot nero potata a guyot porta naturalmente sedici grappolini del peso di 70-80 al massimo 100 grammi l’uno, quindi un chilo e mezzo di uva. Il pinot nero ha grappoli e acini piccoli, quindi ha già in sé i contenuti qualitativi per grandi vini”.
La raccolta è a fine agosto. “Nell’annata 2022 c’è un’aggiunta del 15-20% di uva intera, una tecnica utilizzata anche in Borgogna per aumentare un po’ la speziatura, il fruttato, creando per quella piccola parte non pigiata una sorta di macerazione carbonica. La macerazione a contatto con le bucce dura da sette a dieci giorni. Il vino passa in tonneaux di secondo e terzo passaggio per completare la fermentazione e lì resta, con batonnage, il più a lungo possibile. Viene imbottigliato dopo circa dodici mesi di permanenza in legno”.
Conclude: “Siamo produttori di vini rossi. Ci siamo lasciati attrarre dal Blanc de Noir perché è il Pinot nero nelle sue diverse sfaccettature ad incuriosirci. Pinot nero che ci permette di far conoscere la storicità della nostra azienda”.