Autunno e ripartenza del settore vitivinicolo dopo il lockdown e alla luce delle nuove possibili restrizioni dettate dall’acuirsi della situazione pandemica a livello mondiale. Mercati, export, turismo esperienziale in una stagione che si profila ancora bollente sul fronte economico. Ne parliamo con il manager della finanza e imprenditore vinicolo Massimo Gianolli, che sulle colline della Valpantena, con La Collina dei Ciliegi, ha trasformato la sua passione per il vino e la terra in un progetto imprenditoriale di 53 ettari di proprietà, di cui 30 vitati a corpo unico. Il suo “piccolo paradiso” a Grezzana, in quella valle prealpina a nord-est di Verona che occupa la parte centrale dei monti Lessini. Un anfiteatro naturale che fa parte del comprensorio enologico della Valpolicella (le famose sette vallate), ma che gode dello status di vero e proprio cru per le peculiarità delle sue uve.
Con un sogno ambizioso, il Super Valpantena e il suo sviluppo su diversi mercati target. Una carriera votata al successo ma soprattutto una rete intensa di amicizie e condivisione di obiettivi che costituisce per lui “il vero valore e il motore dell’intero progetto”.
Massimo Gianolli, innanzitutto come sta andando la vendemmia?
Fino alla fine del mese di agosto possiamo definirla eccellente. Dal 5 settembre un clima un po’ pazzerello, con diverse tempeste che hanno toccato in parte la Valpantena, ma per fortuna non La Collina dei Ciliegi, ha richiesto più lavoro in vigna e in cantina e una maggior selezione delle uve, che peraltro è già a maglie strette perché le nostre rese sono basse. Non sarà un’annata eccellente e non passerà alla storia come la 2015 e in particolare la 2016, ma non andrà a discapito della qualità visto che pensiamo a produrre poco e bene e a tale scopo abbiamo improntato tutto il lavoro. Da tre settimane abbiamo finito la raccolta della corvina, del corvinone e della rondinella che sono andate in appassimento, quindi tutta la parte dedicata al Recioto e all’Amarone è già in essiccatoio. Andiamo avanti con la corvina fino a quando il tempo ci permetterà di raccogliere, ancora per due settimane come minimo.
Entro tre anni puntate a vendere il 75% della vostra produzione del cru “Ciliegio” con la formula en primeur. Chi sono i vostri clienti?
Il club en primeur è nato tre anni fa. A oggi sono entrati trentacinque investitori e ne abbiamo in ingresso altri cinque nelle prossime settimane. Il parterre è molto variegato: banchieri, amministratori delegati delle banche, semplici appassionati di vino e del nostro brand, calciatori, avvocati, sceicchi, giornalisti. È un club che nasce dal cuore dell’amicizia, dal piacere di frequentare belle persone, condividere valori ed esperienze, che durante i nostri convegni vengono sviluppati, ma anche cene, degustazioni ed assaggi di botte durante tutto l’anno. È questo il senso del progetto. Il cru Ciliegio è la nostra collezione più nobile. Sono poche migliaia di bottiglie, massimo 12mila all’anno, di cui oggi seimila sono vendute en primeur attraverso l’acquisto di botti, ma contiamo di arrivare a un massimo del 70-75% destinato a en-primeuristi e il restante alla vendita diretta in bottiglia. Una barrique costa 15mila euro. Ma la nostra è un’esperienza che va oltre il vino. È un insieme di relazioni che si costruiscono negli anni. E il raduno è ogni volta un momento di ritrovo e di convivialità importante.
Per quanto riguarda le nuove etichette, state lavorando da tempo a un ambizioso progetto di caratterizzazione territoriale nei vini, il Super Valpantena, che sta arrivando in dirittura d’arrivo…
Sì, e avremo anche un grande bianco veronese. I nostri attuali vini bianchi resteranno in produzione come completamento di gamma, penso, per esempio, al bianco da uve garganega e al brut metodo Martinotti da chardonnay e garganega della linea Classica. Con il brut non abbiamo preteso di rubare niente a nessuno, né al Prosecco né al Trentodoc: è un vino simpatico, beverino, a volte scambiato per un metodo classico ma senza nessuna pretesa. Con i primi ettari impiantati ci siamo concentrati sui rossi da invecchiamento, sulla gamma di prodotti che uno si aspetta di trovare in questo territorio, quindi Amarone, Valpolicella Superiore, Ripasso e Recioto. Il lavoro svolto sta dando i frutti sperati perché il brand è riconoscibile, ha un’identità forte. L’obiettivo di creare una linea di vini della Valpantena che si differenziasse dal mondo della Valpolicella classica è stato raggiunto con il progetto Super Valpantena, i venti ettari messi a dimora a distanza di diversi anni, che sarà declinato in un rosso e in un bianco. Contiamo di uscire sul mercato nel 2022 con un primo grande bianco atto all’invecchiamento, a base di garganega, pinot bianco e chardonnay, ma la colonna vertebrale sarà la garganega al 60 per cento. Abbiamo deciso di creare due grandi vini igt, fuori, quindi, dalle regole del disciplinare, che valorizzeranno il terroir della Collina dei Ciliegi. Il bianco ragionevolmente si chiamerà Le sponde, che è il nome del cru da cui deriva. Il rosso sarà un blend di corvina, l’autoctono che farà da spina dorsale, e al 40% di teroldego. Un lavoro svolto insieme a due grandissimi agronomi francesi, Lydia e Claude Bourguignon, con cui collaboriamo da cinque anni, e con Vivai Rauscedo, per un totale di cinquecento prove di micro vinificazione che hanno dato ragione al mio progetto.
Come mi faceva notare Riccardo Illy in un’altra intervista, il Covid ha dimostrato tutta la bontà degli investimenti sui grandi vini rossi da invecchiamento, vero paracadute in caso di crisi pandemiche e lockdown…
Poter lasciare il vino in botte ad invecchiare, non svenderlo, non doverlo distillare né lasciare l’uva in vigna è una fortuna. Ma qual è lo svantaggio? L’aspetto finanziario. Per aspettare si devono avere le spalle coperte con la struttura finanziaria adeguata. È un investimento diverso dai vini d’annata, un po’ come investire in diamanti e in materiali deperibili. Noi non abbiamo vini deperibili e il lockdown, se non per aspetti di mancate fatturazioni e tutti i guai che ne sono derivati per qualsiasi azienda, non ci ha impattati negativamente sul magazzino, che è nobile: più il tempo passa più si accresce il valore. Tutto il nostro investimento è su una fascia alta di vini, il Super Valpantena è una gamma icona. Ho preso spunto dai grandi toscani di qualche anno fa che sono usciti dalle regole del disciplinare e hanno creato prodotti straordinari lasciando carta bianca ad enologi ed agronomi, come ho deciso di fare io. Al mio team ho espresso il desiderio di creare un vino che rappresentasse in modo straordinario il valore del terroir, il prezzo dipenderà poi dalla qualità del prodotto. Per far questo mi sono slegato dalle briglie della doc, dove spesso c’è disallineamento fra produttori che fanno grandissima qualità e altri che non la fanno. È un progetto pensato per realizzare una grande azienda vitivinicola nel tempo. Mi sveglio al mattino con la consapevolezza che tutto questo non l’ho fatto per me, ma per chi verrà dopo di me. Ed è la cosa più bella che lega il mio cuore a questo posto.
Avete subito limitazioni delle rese?
Qualsiasi limitazione non ci tocca perché abbiamo rese bassissime. Se si riferisce al Super Valpantena, è impostato per 40 quintali ad ettaro, mentre nell’area della doc e docg arriviamo a 50-60 quintali. Vogliamo produrre pochissimi grappoli di qualità. Quello che non è buono resta in vigna a fare humus.
Lei è presidente di Generalfinance Spa. Ha salvato diverse imprese vitivinicole dalla crisi?
Mi occupo di finanza di impresa da 30 anni. E forse mi intendo più di finanza che di vino, dove dopo dieci anni mi considero ancora un pivello a confronto, anche se un po’ di esperienza e una visione sul futuro ce l’ho. Il mio lavoro nella finanza è bellissimo e creativo, creatività che ho messo poi pienamente a frutto nel settore agroalimentare. Ho creato una boutique della finanza per gestire il circolante delle imprese e dal 2006 l’attività si è specializzata nel mondo degli stress degli utp e quindi nel gestire aziende in crisi finanziaria in modo da rendere il percorso di risanamento più virtuoso e veloce. Le aziende spesso hanno problemi di crisi finanziaria ma non di crisi del valore dell’azienda stessa. Tutti i giorni leggiamo sui giornali che nei prossimi mesi aumenteranno gli utp in banca ed è abbastanza chiaro che le imprese che hanno subito quest’anno delle traversie avranno dei problemi a rimborsare i finanziamenti. Abbiamo concluso da poco un accordo commerciale con Prelios che ha in pancia decine di miliardi di utp per poter intervenire sul suo portafoglio e favorire attraverso nostre linee il risanamento aziendale. Io sono l’allenatore di un team eccezionale di più di 90 persone, ma loro sono quelli che mi fanno vincere le partite. Nel portfolio abbiamo anche aziende vitivinicole e molte della filiera distributiva, dell’agroalimentare, della meccanica, dell’automotive. L’Italia è uno scrigno di saperi ed eccellenze e tutti ce lo riconoscono. Però bisogna avere gli strumenti atti per prender coscienza di una crisi d’impresa. Con la consapevolezza che un’azienda malata può essere curata, importante è scegliere il medico giusto e la medicina giusta.
Oggi si investe nel vino?
Ci sono opportunità notevoli. Questo periodo potrà accentuare nei prossimi mesi le situazioni di crisi finanziaria. Molte aziende devono ancora capire se allearsi, ristrutturarsi o cedere a qualche gruppo italiano o straniero che vuole entrare nel capitale. Non credo che ci sia niente di vergognoso nell’aprire il capitale, fare una joint venture come quella che abbiamo fatto noi qualche mese fa insieme ai soci di Advini, con cui stiamo creando una piattaforma per investire nel settore vitivinicolo italiano.
La scelta di un partner strategico come Advini, forte sui mercati esteri e colosso in Canada, è stata lungimirante…
Sì e il Covid ha velocizzato l’accordo, permettendoci di lavorare con ritmi serrati, improponibili in condizioni lavorative normali, intensificando le riunioni online, probabilmente saremmo stati ancora in alto mare. Questa operazione la stavamo studiando da tre anni. Advini Italia Spa è una newco strategica nata il 27 luglio e partecipata al 51% da Advvini SA e al 49% da La Collina dei Ciliegi Srl, il cui presidente è Antoine Leccia, io sono l’amministratore delegato. È uno strumento nato per esportare i nostri vini, perché Advini è presente in cento mercati e ha sette società di distribuzione in giro per il mondo oltre ad essere leader in Canada. Con 300 milioni di fatturato è quotata alla Borsa di Parigi. Nel contempo noi saremo gli importatori delle loro collezioni di vini francesi in Italia. Advini è un colosso con circa tremila ettari vitati e svariati chateau fra Francia e Sudafrica. Sto finendo di visitare il loro patrimonio in Francia. Cerco di allearmi con chi è in gamba e i francesi lo sono dal punto di vista distributivo, del marketing e della qualità. Gli italiani sono bravissimi per quanto riguarda l’arte, la cultura, la tradizione, la qualità, ma non lo sono altrettanto sul fronte del marketing e della distribuzione. Io e il mio socio siamo convinti che da questa alleanza ne derivi un successo per tutti e due i paesi. I nostri ragazzi stanno presentando in Italia il portfolio completo dei vini della Collina dei Ciliegi più Advini e l’horeca dà risposta immediata.
La vostra nuova etichetta “Il Borgo dei Ciliegi” sarà presentata a novembre a wine2wine?
Sì. È un brand nuovo che si basa sulla collaborazione con le cooperative, dove mettiamo insieme a lavorare enologi italiani e francesi. L’obiettivo è lanciare un progetto, che parte dal Veneto, per la grande distribuzione italiana e internazionale e che vede la valorizzazione delle cooperative con cui siamo alleati e dei soci conferitori per creare una nuova linea di prodotti italiani che hanno un tocco internazionalità.
Ma lei riesce anche a dormire?
Poco. Non ho trovato ancora la ricetta per restare sveglio, ma se la trovassi sarei la persona più felice del mondo. Il segreto è che ho una fame incredibile di fare e quello che faccio mi appaga.
Quali son i paesi in cui sarete maggiormente presenti?
Questa operazione ci ha portato ad avere una distribuzione mondiale che prima non avevamo. Advini è una potenza in Canada, dove è l’unico gruppo al mondo che ha la società di distribuzione insieme al monopolio. Poi è forte negli Usa, in Giappone, in Cina e in Europa, in particolare in Francia.
I recenti dati comunicati dall’Osservatorio Vinitaly Nomisma evidenziano negli Usa vendite di vino made in Italy a +2,3% contro la Francia a -25,7%. Non è andata così male…
Il bilancio complessivo bisognerebbe però spacchettarlo e andare a vedere dove il vino di alta gamma ha subito i danni maggiori. Bisognerebbe entrare nel merito cantina per cantina, dove ci sono dinamiche diverse, considerando che i vini entry level hanno sicuramente subito danni minori, però tutto sommato sono ottimista e dico che poteva andare peggio. Noi abbiamo avuto tre o quattro mesi durissimi, da febbraio a giugno, prevalentemente sul fronte horeca Italia, dove siamo abitualmente forti. Fortunatamente è andata bene fino ad oggi la parte relativa ai clienti privati ed è in continua crescita, seppur rimanendo una nicchia, quella online. Ma io continuo a pensare che il peggio è passato. I segnali positivi li vedo anche attraverso Generalfinance. Da settembre abbiamo messo la quinta e le aziende italiane stanno recuperando le posizioni perse. Se non capiteranno altre crisi irruenti questa fine dell’anno potrà lenire i danni passati. A settembre siamo riusciti anche a portare Mediaset e Donna Avventura, che generalmente seleziona paesi esteri, alla scoperta della Valpantena e del turismo enogastronomico locale, un’esperienza che mi sono goduto con mio figlio Edoardo.
A proposito di turismo esperienziale, un impulso notevole ve lo offre Advini con la messa in rete del vostro resort fra le esperienze uniche al mondo da vivere. “Joie de vivre” dicono i francesi…
Sabato ero a Saint-Emilion e ovunque mi girassi era un vero spettacolo. Noi e Advini ci siamo sposati perché c’è un filo conduttore nella realizzazione di quello che loro chiamano chateau. La Collina dei Ciliegi è un piccolo chateau: c’è il resort, il ristorante, la cantina, il punto vendita, i cavalli, le carrozze. Ho creato un luogo dove vivere bene intorno al vino. La filosofia di Advini è la stessa, sia in Sudafrica sia in Francia. E ora anche Ca’ del Moro Wine Retreat, il nostro resort, è in rete nel percorso esperienziale di Advini con i suoi sei resort e cinque ristoranti meravigliosi immersi nei vigneti.
Il vino italiano ha ancora margini di crescita sui mercati mondiali?
Se un gruppo francese si è alleato con un gruppo italiano un motivo ci sarà. La maturità del vino francese lascia spazio alla crescita dei vini italiani nel mondo e ormai tutti ne sono convinti. Ci sono mercati che non sono assolutamente maturi per il vino italiano, ad esempio la Cina, dove siamo il quinto paese fornitore senza nessun senso logico a causa prevalentemente dell’incapacità di chi ci ha sempre governato e della burocrazia italiana che è riuscita a frammentare ogni investimento e il modo di comunicare. Un po’ di colpa è anche di noi imprenditori, che siamo frazionati. Il brand Italia deve presentarsi unito per vincere la sfida globale. In Medoc, per esempio, i vigneron non si attaccano l’uno con l’altro, ma si definiscono tutti bravissimi perché sono francesi. Chateau Margaux vicino a una cantina di quinta fascia la rispetta. I francesi hanno un senso di squadra e appartenenza territoriale invidiabile. Quanto al mercato credo che ripartirà e che il vino italiano avrà un grande futuro. Mi auguro che nei prossimi mesi riaprano le linee aeree e che ci sia la possibilità di fare incoming, fiere, incontrare persone. Spero che wine2wine, cui abbiamo aderito per motivi affettivi con Veronafiere, sia una primissima pedina per l’inizio di questo percorso virtuoso che ci aspetta. Attraverso la nostra joint venture abbiamo una piattaforma internazionale. Agli amici imprenditori italiani dico di pensare alle alleanze, di fare qualcosa di bello.
Conte è pessimista su un accordo tra Ue e Regno Unito. Come vanno le vostre vendite su quel mercato?
Il Regno Unito è un paese che per noi si è inchiodato. Ha avuto parecchi problemi, il Covid poi non ha favorito la situazione e la Brexit non la favorirà. Bisogna capire come reagire, sicuramente non gettando la spugna, ma trovando semmai accordi commerciali alternativi, guardandosi intorno. In quel paese il vino italiano è molto apprezzato e probabilmente si troverà un equilibrio, un riassetto sui prodotti di alta qualità.
Si stanno avvicinando le elezioni americane…
Quando vedo gli show americani mi accorgo di come gli Usa siano un paese particolare. Credo che vincerà ancora Trump perché parla alla pancia di una determinata parte del paese. Io amo gli americani e ho tanti amici americani, ciò non toglie che per noi del vecchio continente, abituati a logiche diverse, siano un popolo curioso. Comunque sono sereno, sto a vedere cosa combinano. Un imprenditore deve essere sempre sul pezzo e intuire come muoversi e sviluppare i rapporti. Stiamo reagendo alla pandemia, una circostanza straordinaria e imprevedibile di proporzioni enormi, quindi sono fiducioso che sapremo reagire anche di fronte ad altri eventuali scossoni. Le lezioni ci mettono alla prova e fanno parte del nostro percorso lavorativo e umano.