Alessandro Cellai è un orgoglio tutto toscano. Che fosse un winemaker di razza, consulente per realtà di primissimo piano, oltreché produttore in proprio a Castellina in Chianti lo sapevamo, ma con due vini nello stesso anno piazzati tra i primi cento di Wine Spectator, bibbia del vino statunitense che detta le direttive mondiali del settore, non immaginavamo. Cellai è il primo enologo a riuscirci. Soddisfazione doppia perché trattasi di due Chianti Classico, quindi di due vini prodotti nella “sua” Toscana: uno di Vallepicciola, azienda vitivinicola della famiglia Bolfo a Castelnuovo Berardenga, dove è approdato nel 2019 come direttore generale (“non avrei mai immaginato che Vallepicciola potesse fare un salto così importante in così poco tempo, per la precisione con l’annata 2021, la prima che ho seguito per intero”), e l’altro di Castellare, realtà di cui fino all’entrata in Vallepicciola era ceo e che gli ha permesso di farsi conoscere al grande pubblico grazie a quello che ha saputo diventare uno dei capolavori dell’enologia italiana, i Sodi di San Niccolò, un sangiovese di cui sono stati scelti i migliori cloni, e la cui ricerca in vigna continua con la produzione di barbatelle selezionate per il rinnovo dei vigneti.
“È un riconoscimento che indubbiamente mi inorgoglisce ed emoziona. La rivista ha una dimensione planetaria ed è un punto di riferimento autorevole. Mi complimento con tutto il mio team: lavorare con me significa dedicarsi, sposare un progetto, uno stile, rompere con il passato, mettersi continuamente in discussione. Metodo, rigore, cura del dettaglio, scienza ma anche sensibilità, intuizione e fare un vino identitario che sappia stare sulle tavole importanti  in tutto il mondo: qui vedo l’impronta del mio grande maestro Giacomo Tachis”, commenta Cellai, che ha sempre detto che “in ogni vino devono essere riconoscibili territorio, vitigno e stile di chi lo ha creato” e che “ogni enologo concretizza con il proprio lavoro i suoi punti fermi e le sue caratterizzazioni”.
Decisivo negli anni ’90 del secolo scorso l’incontro con Giacomo Tachis, enologo del Sassicaia e del Tignanello, che Cellai, allora giovane universitario, conobbe durante gli studi di Chimica a Pisa quando, durante un seminario sui tannini,  gli pose alcune domande: da lì sarebbero nate “un’amicizia e una sintonia durate vent’anni”.
Un sogno? Forse tre vini nello stesso anno tra i primi cento di Wine Spectator? “Sicuramente realizzare un grande Pinot Nero in Australia, un continente che mi affascina, e dalle potenzialità ancora inespresse”.
Sul futuro del settore, oggi fortemente in crisi perché si è interrotta la trasmissione generazionale di cosa significhi consumare vino, conclude: “Si berrà meno ma meglio e la sfida consisterà nel fare sempre di più grande qualità. Il vino non è un liquido ma un vettore culturale. Bere un calice di Chianti Classico così come di Brunello, di Barolo, di Barbaresco o di Etna, per citarne alcuni, è un atto culturale ed è indubbio che la forza di una denominazione è data dall’identità costruita intorno al suo territorio da persone capaci e lungimiranti”.