“Dobbiamo essere sostenibili. Abbiamo in tutto 70-80 cm di humus sopra il  massiccio marnoso arenaceo appenninico. Se questo sottile strato non viene gestito in maniera appropriata, alla prima pioggia crolla tutto. Non si può pensare di coltivare questi pendii come se fossimo in pianura”, spiega Renzo Maria Morresi, titolare della cantina La Casetta dei Frati e presidente dell’associazione “Modigliana, stella dell’Appennino”. A Modigliana, piccola enclave all’interno dell’Appennino tosco-romagnolo, che stiamo imparando ad apprezzare per la sua cifra stilistica precisa, chiara, figlia dell’altitudine, dei terreni sciolti originati dall’arenaria e per l’abbondante presenza boschiva, si è appena concluso l’evento annuale (5ª edizione) della presentazione dei vini, con focus sull’annata 2018. Un Sangiovese di Romagna, quello di Modigliana, che in questa annata calda non raggiunge la straordinaria complessità della 2016 ma riesce comunque a cogliere le eleganti sfumature del territorio nelle sue tre valli (Ibola, Acerreta, Tramazzo), con originalità e un forte legame con il territorio, marcatore di tutti i vini degustati. Fra le chicche, nella degustazione condotta da Nelson Pari, l’introvabile Ronco del Casone 1980 dell’azienda Castelluccio, prima realtà vitivinicola a lavorare con qualità sul territorio già negli anni ’70 e oggi condotta da Paolo e Aldo Rametta.
Un terroir unico che si stacca dal resto della Romagna. “Inerbire è indispensabile. L’erba la seminiamo in sinergia con la vigna affinché si formi un tappeto erboso che impedisca a quella più alta di arrivare al grappolo portando umidità e oidio. Lavoriamo sul trifoglio, per esempio, lo tagliamo in modo da arricchire l’humus per azotare il terreno senza concimarlo. Questa sostenibilità non è figlia di un concetto, ma di una disciplina, di un modo di resistere. È una quotidianità che ci porta ad essere virtuosi altrimenti si è puniti in maniera talmente terribile che perdiamo la vigna, che così diventa calanco sterile. Oggi abbiamo più bosco che coltivazione. L’anno scorso c’è stato un recupero di 80 ettari boschivi in un anno, il che significa abbandono, il bosco che prende il sopravvento. Per noi non è così negativo, di soliti vengono abbandonati gli appezzamenti più difficili da coltivare. Questi terreni non sono persi ma guadagnati al bosco che riprende possesso di quello che è sempre stato suo”.
“A una prima lettura tutti i vini di Modigliana descrivono questo contesto, che ci racconta quanto sia montuoso il territorio. Nella nuova mappa abbiamo voluto dar risalto agli elementi topografici, geologici, come le altitudini a cui ci troviamo, la presenza dei tre fiumi principali”, spiega l’agronomo Francesco Bordini, titolare di Villa Papiano. “I nostri tre capisaldi sono il bosco, l’altitudine e la sabbia, che ci donano vini sottili, luminosi, caratterizzati  da acidità importanti, salate ma mai aspre. Il bosco descrive il frutto piccolo, il ribes, il melograno e nelle vallate più aperte l’arancia rossa. Tante caratteristiche omogenee ma che le singole vallate prefigurano con sfumature differenti. L’Ibola è la vallata più stretta e restituisce vini più nervosi, verticali. La vallata centrale, Tramazzo, caratterizza il comune di Modigliana e rappresenta una sintesi tra i due estremi, con vini molto bilanciati. L’Acerreta regala più tannino, è più aperta, sale molto in quota altimetrica anche se il cuore della produzione vinicola è tra i 300 e i 500 metri slm”.