Alla vigilia del Gran Premio d’Italia a Monza, Ferrari dedica un’edizione limitata speciale a quattro Gran premi e ad altrettanti circuiti iconici che hanno fatto la storia della Formula 1, di cui è brindisi ufficiale: Monza, Silverstone, Suzuka e Sochi.
In questa fase di apertura dei mercati, focus importante per la storica azienda fondata nel 1902, quando Trento era ancora una provincia dell’Impero Austro-Ungarico, è sul Maximum Blanc de Blancs, rilanciato un paio di anni fa e dedicato al canale horeca, una bollicina che sta riscuotendo un grande successo sul mercato. Un’etichetta che racconta lo stile Ferrari, la freschezza e finezza del Trentodoc, senza rinunciare a complessità e struttura che lo rendono abbinabile a tutto pasto. Intorno al vino, in tempi non sospetti, è stato creato il concept #tothemaximum, claim perfetto per pensare con ottimismo al post pandemia. “È l’etichetta che segna la voglia di rincontrarsi e di convivialità che si respira in questo periodo. Con uno storytelling indovinato, che vuole avere un senso per ciascuno di noi. Il massimo può essere qualcosa che fa la differenza nella nostra vita. Con Luna Rossa il massimo era la performance, la sfida a migliorarsi, ma maximum può essere anche un momento di intimità fra due persone, un risultato, una celebrazione, un momento di gratificazione personale o di spensieratezza”, racconta Matteo Lunelli, presidente e CEO di Cantine Ferrari, brand che ha saputo portare il Trentodoc a livelli di eccellenza qualitativa. Bollicine che da Trento a Palermo e nei migliori ristoranti del mondo si trovano in carta.

“Fino al Giulio Ferrari, apripista di un certo tipo di filosofia, di un nuovo modo di intendere il metodo classico italiano, che porta con sé un valore simbolico legato al valore prima che monetario. Una bollicina che non ha mai temuto di confrontarsi con i più grandi champagne e prima bollicina a confrontarsi con l’altitudine quando il contadino trentino coltivava la valle perché era meno complicato e le rese erano maggiori. La nostra azienda ha fin dall’inizio valorizzato le pendici dei monti e questo si è rivelato oggi, con il riscaldamento climatico in corso, la scelta migliore”, continua Lunelli.
Il Giulio Ferrari è, in effetti, la prima bollicina italiana a raggiungere voti di eccellenza da parte delle principali riviste internazionali, la prima ad essere portata da Wine Spectator alla Wine Experience o al Grand Tour, la prima bollicina italiana ad aver vinto più volte i Tre Bicchieri del Gambero Rosso. “Misuriamo noi stessi ogni anno prima di tutto sulla qualità e sulla costanza qualitativa. C’è una frase  di Aristotele, che utilizziamo come nostro slogan, secondo cui l’eccellenza non è un atto ma un’abitudine. Se diventa un’abitudine significa che ha permeato i gesti di  tutte le persone che fanno parte del team, dalla campagna alla cantina. Questo è ciò che permette di fare eccellenza in ogni singola bottiglia, anche di un non millesimato, che viene prodotto comunque in una quantità molto importante. Allora e solo allora diventa la forma mentis della cantina. Noi non abbiamo mai pensato che esistesse una Ferrari di serie A e uno di serie B, tutti i nostri vini sono vini di eccellenza, prodotti in un territorio di eccellenza che fa dell’eleganza una costante imprescindibile. Negli anni abbiamo ampliato la nostra gamma con delle chicche, con etichette che fanno invecchiamenti estremi, con una ricerca particolare sulla materia prima o con l’utilizzo del legno nella fermentazione. Sono riserve o millesimati particolari, ma questo non toglie che il nostro non millesimato debba avere una qualità riconoscibile anno dopo anno. Sono circa due gli anni di affinamento del Ferrari brut, la nostra  linea classica, trentasei i mesi del Maximum Blanc de Blancs, fino ad arrivare agli oltre dieci anni del Giulio Ferrari, che adesso è in commercio con l’annata 2008, sui lieviti dal 2009 al 2020. Il Giulio Ferrari Collezione ha raggiunto i diciotto anni di affinamento, per un uomo la maggiore età ma per una bollicina sono tanto tempo” spiega con una vena di orgoglio Lunelli.

 

“Giulio Ferrari è un cru ed è l’unica nostra etichetta con questa caratteristica. Il vigneto di Maso Pianizza, di circa tredici ettari e mezzo piantati a metà degli anni ‘60, intorno a un maso, è tutto circondato dal bosco. Quando è nato il Giulio Ferrari negli anni ’70 era il vigneto più alto. In questo lasso di tempo si è verificato un riscaldamento delle temperature medie che ci ha permesso anche di andare più alti di Maso Pianizza. L’ultimo vigneto che abbiamo piantato, Alto Margon, è un vigneto di montagna estremo. In Trentino siamo molto più a sud della Champagne ma compensiamo con l’altitudine e se guardiamo le temperature medie non siamo molti lontani. In territori  pianeggianti o collinari l’esposizione dei terreni e la loro conformazione tendono ad essere molto simili. In un territorio come il Trentino la variabilità è enorme, per esempio in Val di Cembra ci sono elementi più porfidici, in altre zone  più calcarei. A Maso Pianizza abbiamo indovinato i cloni, la tipologia di Chardonnay, con una produttività per ettaro che non è elevata e ci regala un’uva con una longevità unica. A una certa altitudine troviamo più ventilazione e un’aria fredda che scende dalla cima della montagna. L’escursione termica forte fra giorno e notte è uno dei segreti dello Chardonnay di montagna alla base del Trentodoc, ma anche del Pinot nero di montagna per i nostri rosé o i blanc de noir. Il Giulio Ferrari vince la sfida con il tempo: assume complessità, ma senza mai perdere freschezza e finezza. Anche un vino con dieci anni di affinamento o che si conserva dieci anni dopo la sboccatura nella propria cantina, quando viene aperto, rivela la complessità che solo il tempo regala senza perdere in verticalità. È un vino preciso nelle sue caratteristiche, quasi un rasoio, contestualmente molto ampio negli aromi, e questo porta bevibilità. Un’etichetta che è sempre stata un’icona della sfida verso l’eccellenza delle bollicine italiane. Ed è stata la prima bollicina italiana a presentarsi sul mercato con un affinamento sui lieviti così a lungo protratto nel tempo. Negli anni ’80 quando uscì il Giulio Ferrari tutti pensavano che lo spumante italiano dovesse essere bevuto giovane, fresco. Fu una grande scommessa perché le vendite di Ferrari venivano chiuse molto prima della fine dell’anno, la domanda di mercato era molto più ampia della produzione, quindi tenere delle bottiglie per un affinamento così estremo fu un atto coraggioso. Allora era mio zio Mauro Lunelli l’enologo delle nostre cantine. Ispirandosi ai grandi champagne, ebbe l’intuizione che si potesse fare una grande riserva, così mise da parte un po’ di bottiglie togliendole al mercato, e lo fece di nascosto da tutti. Lo confessò ai suoi fratelli dopo sette anni di affinamento e tutti concordarono che era una grande riserva, poi confessò di averlo fatto anche per i sette anni consecutivi. Da lì partì la storia del Giulio Ferrari, con la vendemmia del ’72.  È stato un pioniere ed è il vertice della nostra produzione, anche se mi piace quando qualcuno ci dice che preferisce la Riserva Lunelli o il Perlé Nero o il Perlé Zero”.

Un’azienda con un forte legame col territorio, con le famiglie locali. “Il tema della qualità si intreccia con quello della sostenibilità. Tutti i nostri vigneti di proprietà hanno la certificazione biologica, che non è una scelta banale perché la viticoltura di montagna è più complessa rispetto a  un vigneto in una zona calda dove le precipitazioni sono scarse. In montagna molti pensavano che fosse azzardato fare il biologico, invece abbiamo dimostrato che è possibile costruendo un equilibrio vegetativo adeguato nel vigneto. Successivamente abbiamo chiesto anche ai nostri conferenti di seguire questo percorso.  Oggi ci sono cinquecento famiglie in Trentino che seguono un protocollo di viticoltura sostenibile di montagna molto rigido, che abbiamo chiamato Vigneto Ferrari e che abbiamo certificato, con un team di otto agronomi che educano e controllano i nostri conferenti”. Un progetto culturale e di responsabilità sociale, di cui vi parleremo. Che non è poi così scontato nel mondo delle grandi bollicine.