Un viaggio tutto su rotaie nei luoghi simbolo del capoluogo meneghino alla scoperta dei sapori autentici della Val d’Orcia. #nefftram è stato uno degli eventi enogastronomici più attesi del Fuorisalone di Milano, che ha riunito su un tram storico ATM di inizio Novecento, ripensato dal punto di vista del design e dell’arredamento come un vero e proprio casale toscano, giornalisti e appassionati di vino e made in Italy di tutto il mondo. Sul tram, riallestito dall’omonimo leader europeo degli elettrodomestici, protagonisti i vini e gli aneddoti dell’enologo e scrittore Roberto Cipresso, l’olio del Frantoio Franci di Giorgio Franci e uno storico panificio di Milano, Davide Longoni, che in un cooking show ha mostrato l’arte di fare il pane, o meglio il pane “sciocco”, perché privo di sale come da tradizione toscana.
“In questo viaggio vorrei portarvi all’ esperienza del vino, non a un semplice momento euforico, rilassante dove disquisire degli aromi. Vorrei condurvi mentalmente in un luogo preciso, la Val d’Orcia, attraverso vini di terroir”, esordisce Roberto Cipresso, produttore anche a Montalcino, che da anni studia assemblaggi particolari e realizza bottiglie sperimentali in edizione limitata, lavorando sul concetto di terroir diffuso, dove il focus è sulle coltivazioni “allineate su uno stesso orizzonte”. Il suo vigneto in Toscana è snodato su una linea immaginaria. “Nel terroir il parallelo conta di più del meridiano. Come l’olio che abbiamo assaggiato, ci sono vini precisi e ripetibili, molto vicini alla cultivar di appartenenza, ma ci sono anche vini che riescono ad emozionare, a raccontare un’altra storia. Questi ultimi sono i vini dell’anima, vini che diventano attori drammatici capaci di portarti in un altro luogo, in un’altra avventura. I primi sono i vini che soddisfano perché sono coerenti, quindi Sauvignon che sanno di Sauvignon, Cabernet che sanno di Cabernet, i secondi ci trasportano fisicamente in un altrove, ci fanno sognare. E questo accade quando assaggiando un bicchiere alla cieca si riesce a capire se quel vino viene dal Nuovo o dal Vecchio Mondo, dalla collina o dalla pianura, da terre fertili o difficili, da terre calcaree o argille”.
Sono vini che riportano in etichetta il parallelo di appartenenza, il 43, lo stesso che attraversa i luoghi che hanno dato origine alla vite, quindi la Georgia caucasica, o carichi di energia come Santiago de Compostela, Assisi, Lourdes, l’Oregon.
Il primo, Pigreco, annata 2019, è un Sangiovese in purezza della Val d’Orcia, imbottigliato da quindici giorni. Ancora molto giovane, tannino asciutto, quasi salato. Al naso, dove risaltano le caratteristiche marcate dell’uva, la fine speziatura, gli aromi mediterranei, la salivazione già si muove, mentre in bocca a dominare è il nervo, l’acidità rinfrescante, che è la colonna vertebrale e riesce a equilibrare molto bene il frutto. “La terra calcarea fa sì che i tannini riescano a maturare. Prima incontriamo note amare, verdi, vegetali, ma quando i tannini evolvono restituiscono un effetto croccante, morbido nella chiusura del vino”, spiega Cipresso.
Il secondo, La quadratura del cerchio, prima annata prodotta la ’95, seguendo le intuizioni dell’enologo russo André Tchelistcheff, è un Sangiovese con un 5% di Sagrantino e una parte di Montepulciano. Il naso è più fruttato, le sensazioni tattili più cremose e voluminose. “Il Sagrantino apporta tannini e persistenza, il Sangiovese l’acidità, una bella sfida”.
Sono vini in cui conta il terroir, la geometria, la mano dell’uomo, la cabala, un blend che sa rendere magico un vino, sicuramente unico e irripetibile a se stesso.