Vibrazioni di confine (e transfrontaliere). Inseguendo il vino.
L’UlisseFest, evento culturale organizzato a Pesaro dalla Lonely Planet, con laboratori di scrittura di viaggio, dibattiti, concerti, è stato un modo per conoscere destinazioni turistiche che inevitabilmente trascinano con sé il cibo, il vino e tutto ciò che serve per contestualizzare un territorio e renderlo unico e irripetibile nel mondo. E il Collio friulano, a cavallo fra la provincia di Gorizia e la Slovenia, terreni di ponca (un’alternanza di marna e arenaria), è sicuramente una meta che vale il viaggio. Luoghi i cui sapori te li porti a casa con il loro carico di contaminazioni. Terra, vino e cucina di confine, con un respiro più ampio che diventa melodia di una stessa canzone: questo il tema del coking show che ha visto la chef Chiara Canzoneri proporre interessanti commistioni di culture e mondi diversi seppur vicini, addentrandosi nel Nord-Est, al confine con la Slovenia. In vista di Nova Gorica (in Slovenia) e Gorizia (in Italia) capitale europea della cultura 2025.
Ed ecco che la ricetta diventa subito pretesto per sconfinare con la fantasia o, come dice Chiara, “per trovare al di là dei confini ciò che ci serve, ci nutre, ci rende più ricchi”. Ippolito Nievo nel 1858 scriveva che il Friuli “è un piccolo compendio dell’universo, alpestre, piano e lagunoso in sessanta miglia da tramontana a mezzodì”. Un piccola grande moltitudine di paesaggi e culture che soprattutto nella sua area più orientale, tra le province di Gorizia e Trieste, si rispecchiano nella ricchezza enogastronomica.
Il benvenuto, fra piatto e bicchiere, è idealmente a Gorizia, nel Collio e sul Carso, dove antiche ricette e altrettanto ottimi vini  raccontano secoli di storia in un Friuli vitivinicolo di tradizione bianchista ma che anche su alcuni rossi – come il Merlot per esempio – dice molto bene la sua.
La chef ci coccola. È un trionfo dell’esperienza gustativa in un clima dove chi cucina, essendo originaria di quei luoghi che “mette” nei piatti, ti porta visivamente in Friuli Venezia Giulia con la sua frittata alla goriziana (“l’altezza e la morbidezza sono frutto di una particolare lavorazione delle uova in cottura che vengono continuamente mescolate in un tegamino dai bordi alti e stretti”), con il saporitissimo frico in bottone, simbolo per antonomasia della cucina di confine (“uno di quei piatti senza ricetta, impegnativi da raccontare, morbido o croccante, con le patate crude o cotte, naturale o arricchito”), con il Liptauer, una cremosa miscela di formaggi della cucina della Mitteleuropa (“l’aroma piccante è dato dal formaggio pecorino, dalla paprika, dall’aggiunta, a gusto, di acciughe, capperi e cumino”) e con gli gnocchi di susine, un dolce che qui diventa un primo piatto grazie a un morbido impasto di patate farcito con mezza susina acidula e pruinosa, bolliti e poi ripassati con burro, cannella, pangrattato (“e nella versione moderna, con lo zucchero”).
In accompagnamento i vini del Collio. Per me un piacevole ritorno in Friuli Venezia Giulia – che considero un po’ la mia seconda casa – così come un piacere è ritrovare Muzic, cantina a San Floriano, con il suo vino da uve autoctone, un uvaggio bianco, tradizionale, storico, con sapidità e mineralità in progressione ed equilibrio tra morbidezza e acidità. Da uve tocai friulano, con aggiunta di malvasia  istriana e ribolla gialla, questo bel vino territoriale affina sulle fecce nobili “sur lie” in tonneaux di rovere, con continui batonnage. Muzic fa parte – ricordiamolo – di un piccolo gruppo di produttori che si è dato regole più restrittive per la valorizzazione dei tre vitigni autoctoni con l’obiettivo di ridefinire l’identità del bianco che si beveva anticamente nel Collio.
Collio con le sue affascinanti asperità, i suoi confini in movimento, i vigneti terrazzati che si alternano a frutteti, campi e boschi. Collio e Brda, due denominazioni che nelle rispettive lingue indicano lo stesso paesaggio collinare a cavallo del confine fra Italia e Slovenia, dove le due comunità sono bilingui da sempre, dove i contadini italiani hanno continuato a coltivare su territorio sloveno e viceversa, tanto che durante il regime comunista i valici confinari secondari, aperti di giorno, venivano chiusi solo di notte.
Collio, Doc dal 1968, significa oggi appena 1500 ettari di filari, in un clima influenzato dalle Alpi e dal mare Adriatico che ne ha nutrito la ponca. Qui i vitigni internazionali hanno imparato a esprimersi in maniera identitaria, con un comune linguaggio di confine. In Friuli Venezia Giulia si capisce molto bene cosa sia il terroir, quella combinazione magica di suolo, clima, vitigno, tradizione, esperienza.
La strada del vino, che diventa Strada del Vino e delle Ciliegie, è un modo per l’enoturista per scoprire il Collio goriziano, vinicolo e frutticolo, che sussurra storie dolorose della Grande Guerra. Affacciandosi dalle oltre trenta finestre georeferenziate la vista si perde. Un modo per regalarsi del tempo. E per calarsi in un contesto con anima e corpo.
La presentazione del territorio è ben riassunta in pochi e chiari concetti: “Fai un respiro profondo, rilassati, affacciati. Godi di quello che lo sguardo abbraccia oltre quella Finestra. È la nostra terra, sono le nostre vigne, è la nostra vita. Il viaggio ti porterà a cavallo del confine fra Italia e Slovenia: un tutt’uno frutto di una natura amica che l’uomo ha saputo preservare e modellare, di una lunga storia in comune. Ti sorprenderà, ti farà innamorare”.
Con la scusa del vino.