Le saline, alcune originali dell’epoca romana, scavate a scacchiera direttamente nella roccia sulle scogliere lungo il mare, raccontano di generazione in generazione storie di famiglie caparbie che fin dal sorgere del sole ogni mattina, principalmente nei torridi mesi estivi, racco lgono il sale marino (in maltese melh) come facevano gli antenati.
Le vigne, dall’altra, raccontano storie di viticoltori caparbi che tra i filari lottano contro temperature altissime e punte di umidità che portano a maturazioni precoci dell’uva, già a fine luglio. Viticoltori caparbi che hanno salvato dall’estinzione i vitigni autoctoni di girgentina e gellewza.
Sono vigne che entrano nel mito. Nell’Odissea si racconta di una vite attorcigliata alle rocce all’ingresso della grotta di Calipso, sull’isola di Gozo (alias l’isola omerica di Ogigia) dove la ninfa fece di Ulisse un prigioniero d’amore per sette anni.
Sono vigne “testarde”. La vite sarebbe stata introdotta nell’arcipelago maltese dai Fenici: recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce una serie di strumenti per la produzione del vino risalenti al 500 a.C. La cultura del vino ha resistito anche alla dominazione araba, che piantò cedro e cotone dall’anno 870 al 1091, grazie al recupero che ne fece il successivo dominio normanno e soprattutto grazie ai Cavalieri Ospitalieri, diventando quasi un elemento costitutivo e identitario dello skyline come le rocce.
Dopo il Friuli Venezia Giulia, uno di quei territori che all’UlisseFest, a Pesaro, abbiamo cercato di intercettare nella sua identità di confine  (https://winestopandgo.com/news/il-collio-allulissefest-cucina-e-vini-di-confine/), il racconto delle destinazioni turistiche sostenibili procede con Malta, 315,6 chilometri quadrati, stato membro più piccolo dell’Unione europea, oltre settemila anni di storia, dove a lasciare un segno sono stati  Romani, Fenici, Cavalieri di San Giovanni, Inglesi e persino Napoleone.
Malta, questo arcipelago nel cuore del Mediterraneo, distante solo 80 km dalla Sicilia, crocevia di popoli, culture, scontri e incontri ci ha fatto venire voglia di metterci in viaggio. Persino l’apostolo Paolo trovò rifugio qui dopo un naufragio. Ma perché visitare Malta? Per tanti motivi – e qui la natura e le attività outdoor, come kayak tra i fiordi, trekking con tuffo finale, diving tra relitti sommersi, giocano un ruolo importante – ma ciò che più mi ha impressionata è l’effetto macchina del tempo: hic et nunc ma anche altrove. Camminare e sentirsi nelle strade di una cittadina inglese, poi in una kasbah marocchina, poi in Sicilia. A testa in su ad ammirare le gallarijas delle facciate degli edifici (le più instagrammate), verande lignee pensili dai colori sgargianti che estendono lo spazio abitativo interno, di influenza ispano-moresca. E ancora, i battiporta dei portoni colorati che oltre a essere simbolo di ricchezza di un’abitazione servono per dare informazioni ai passanti: per esempio, in caso di lutto si toglie il battente e si spranga la porta. E ancora, lo sapevate che Gozo, l’isola più piccola, solo 67 chilometri quadrati, è ritenuta l’isola di Calipso? Gozo con le sue abitazioni in roccia globigerina, dalle tonalità color miele, formata dai resti di organismi marini.
A Malta si ricompongono tanti pezzetti di una storia universale – e del mito – di cui noi siamo il prodotto. Templi megalitici, fortezze, palazzi nobiliari, suoli rocciosi coltivati con il sistema dei terrazzamenti con muretti a secco, pochi ettari dedicati alla vite che grazie all’irrigazione assistita sopravvivono a tremila ore di sole all’anno, con una produzione di vino risicata, quasi esclusivamente per un mercato locale. La Valletta, la capitale, è una città fortezza patrimonio Unesco costruita su rocce a picco sul mare. Mdina, la città del silenzio, ex capitale medievale di Malta, dove ora abitano poche centinaia di persone, è un museo a cielo aperto che racchiude dentro le mura residenze storiche della nobiltà maltese, mentre fuori la vista scorre sulla campagna con le vigne.
Commistioni tra cultura inglese, araba e mediterranea, a cominciare dal maltese, una nuova lingua costruita a partire dall’arabo maghrebino, raccontano un tempo che fu. L’invasione di Malta e Gozo per motivi di saccheggio e per catturare schiavi caratterizzò l’avanzata arabo-musulmana, un dominio, quello islamico, lungo due secoli. E ancora, sapete dell’Hal Saflieni Hypogeum, un complesso sotterraneo, risalente al 4000 a.C. circa, di sale e camere mortuarie, uno dei tre siti nell’isola dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità?
Anche a Malta il viaggio esperienziale enoturistico ha un senso. Nonostante la produzione di vini bianchi e rossi sia modesta. La vigna prende spazio intorno a Mdina (a Malta) e a Victoria (nella più piccola e rocciosa isola di Gozo): meno di mille ettari (di cui una cinquantina a denominazione a Gozo), con un piccolo export in Belgio. La bassa escursione termica fra le stagioni e fra il giorno e la notte unita a un terreno povero per la viticoltura, a punte di caldo e umido e a una vendemmia precoce contribuiscono a rendere le isole poco adatte alla produzione di vini di altissima qualità, anche se negli ultimi anni si assiste a qualcosa di più interessante.
Accanto alle varietà internazionali, veri e propri wanderers che dominano l’arcipelago maltese dagli anni ’90 (merlot, syrah chardonnay, cabernet sauvignon ne sono un esempio), le varietà autoctone rimaste – prima della fillossera erano 120 – sono girgentina e gellewza: dalla prima si ricava un vino bianco, dalla seconda un rosso.
Le Dok Malta e Gozo (Denominazzjoni Ta’ Origini Kontrollata) nascono quando a partire dal 2007 si avvia il sistema di certificazione secondo il modello europeo. Accanto alle Dok, l’Igt Maltese Islands. Nella vinificazione lo sguardo è all’Italia e alla Francia. Qualche nome? Marsovin, con diverse tenute fra Malta e Gozo (suo l’unico Metodo Classico di Malta, il Cassar de Malte, da uve chardonnay della tenuta di Wardija vendemmiate a metà luglio, solo poche migliaia di bottiglie, dai 15 mesi sui lieviti all’edizione limitata Long Lees Ageing), Emmanuel Delicata (che ha dedicato una linea di vini monovarietali di pronta beva a compositori italiani, la Collezione Classica, tra i primi vini monovarietali introdotti a Malta), le piccole cantine Ta’ Mena a Gozo (anche agriturismo con prodotti tipici e ottimi come l’olio d’oliva) e Ta’ Betta a Malta (dove degustare, con vista spettacolare sul vigneto e sulla città di Mdina, vini da viti importate dalla Francia ma che rispecchiano fortemente il territorio e con un potenziale di invecchiamento) e, non per ultima, la cantina di Mark Cassar con approccio olistico alla biodinamica, vigneti nella posizione più alta di Malta (240 metri slm) e vino naturale che affina nelle qvevri, anfore coniche, fatte a mano da George Kopadze in Georgia, di argilla del Caucaso con una percentuale di oro, argento e magnesio (“il vino ha migliorato la mia vita”, dice). Di Marsonvin da provare anche la linea 1919 (anno di fondazione della cantina) con gli autoctoni girgentina e gellewza in blend con vitigni internazionali.
Ogni metro quadrato dell’isola porta con sé una storia speciale. Fra tradizione e contemporaneità che ritroviamo anche nel bicchiere.