Conoscere il vino attraverso l’architettura o viceversa. Il nuovo libro “Cantine storiche d’Italia” (edito da 24 Ore Cultura), di Margherita Toffolon e Paolo Lauria, è un viaggio appassionante, tra fotografia e testi molto curati, che ci porta nella storia di trentotto cantine antiche, datate fra il X e il XIX secolo, che meglio rappresentano, secondo gli autori, l’identità di un territorio. Il vino, profondamente influenzato dal luogo di produzione e conservazione, è il collante fra uomini e donne, sogni, visioni, passioni, epoche storiche. Il suo cammino si intreccia con la struttura della cantina in un determinato contesto territoriale e diventa testimonianza di un’epoca oltre che di una tecnica e di una famiglia.
“Dai miei studi ho scoperto che in Italia ci sono più di cinquecento aziende vitivinicole con cantine storiche”, spiega Margherita Toffolon. “Nel libro mi sono attenuta ad alcuni parametri che mi hanno portato a scremare in maniera significativa il loro numero. Era importante che la cantina fosse stata costruita prima del 1900, che fosse ancora in funzione, adibita almeno ad archivio delle bottiglie, che fosse al’interno di un contesto storico, paesaggistico e architettonico di pregio, perché abbiamo voluto mettere in evidenza l’influenza della vite sul territorio, non per ultimo con una qualità elevata dei vini. Abbiamo sempre cercato di evidenziare il genius loci, ossia quell’integrazione degli edifici all’interno del paesaggio assumendone i caratteri costitutivi. In molti casi le cantine sono di proprietà di famiglie che hanno avuto una importanza storica e culturale notevole. I vini con una tradizione secolare sono sempre più percepiti come sinonimo di alta qualità. Nel Lazio, nel territorio dei Castelli Romani, abbiamo raccontato Principe Pallavicini, viticoltori dal 1670, stirpe di papi, cardinali e uomini politici, in Basilicata Cantine del Notaio, della famiglia Giuratrabocchetti, dedita alla coltivazione della vite su suoli vulcanici da sette generazioni, nel Salento la tenuta dei duchi Guarini, che vivono in Puglia dal 1040 e che nei vari feudi che gli furono concessi sin dal XII secolo praticano l’agricoltura, in particolare la viticoltura, come testimoniato dai vecchi palmenti. Se ci spostiamo in Sicilia, Cantine Florio è una realtà che nasce nel 1832 a Marsala grazie a Vincenzo Florio, che fece edificare un baglio in pietra di tufo che oggi è uno dei suoi simboli. Sempre nelle terre siciliane di Marsala incontriamo Cantine Pellegrino, altra storica azienda fondata nel 1880 dal notaio Paolo Pellegrino. E poi ci sono realtà mozzafiato in Toscana, Piemonte, Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige”.
In Toscana la storia di Capezzana, dove si produce un eccellente Carmignano, si intreccia con quella della nobile famiglia Contini Bonacossi a partire dal 1920, ma la vite e l’ulivo sono coltivati qui già 1200 anni fa, come risulta da un contratto di affitto ritrovato nell’archivio di stato di Firenze e posto all’ingresso della tenuta. “Un tempo era una riserva di caccia di famiglie signorili”, racconta la Toffolon. “Capezzana, divisa in tre fattorie e più di 120 poderi, ha una cantina storica che si sviluppa per 1500 metri quadrati sotto il cortile dell’edificio storico. Nel tempo è stata ingrandita e oggi è una sorta di labirinto sotterraneo da visitare, oltre che un piccolo borgo. Gli edifici del fattore sono stati trasformati in parte in agriturismo. Davanti al frantoio si trova la vinsantaia, dove il vinsanto invecchia per cinque anni dentro i caratelli. La tinaia, costruita negli anni ’30 da Giovanni Michelucci, ha una struttura con capriate in ferro che è una delle prime realizzate in Italia dal noto architetto toscano e ne caratterizza lo stile. Inoltre la famiglia nel 1969 ha donato una ricchissima collezione di dipinti, alcuni del Bellini e del Goya, alla Galleria degli Uffizi, in cui occupa ben otto stanze. A Capezzana è conservata ancora una parte di patrimonio storico”.  
Toscana scrigno di tesori, di alcune delle più stupefacenti cantine italiane. Come Villa Le Corti, nel Chianti, della famiglia dei principi Corsini, che la acquistarono nel 1363. In ricordo di papa Clemente XII un imponente busto in marmo è collocato nel salone che porta il suo nome. “Meraviglioso esempio di architettura tardo rinascimentale a pianta quadrangolare con un parco secolare di oltre 30000 mq. Siamo a San Casciano in Val di Pesa. La villa, con corte interna racchiusa sui quattro lati da un loggiato ad archi a tutto sesto con volte a crociera e due torrette sulla facciata principale, veri e propri landmark del territorio, è costruita su un terrapieno sotto il quale si snoda un labirinto di cantine storiche su tre livelli. Da vedere anche l’orciaia e il frantoio. Dal 2014 nella villa è custodito il prezioso archivio storico con oltre dodicimila documenti, trasferito, dopo tre secoli, da Firenze. Mi hanno concesso di pubblicare un raro cabreo della fine del XVIII secolo in cui si vede com’era composta la proprietà ai tempi”.
Il racconto prosegue con Argiano, che da cinque secoli produce vino nella terra del Brunello di Montalcino, con la sua magnifica villa signorile cinquecentesca e la storia di varie proprietà che si sono avvicendate, fra cui la famiglia senese dei Pecci e successivamente donna Ersilia Caetani Lovatelli e la contessa Noemi Marone Cinzano. E ancora, Badia di Passignano, nel Chianti fiorentino, della famiglia Antinori, attiva nella produzione del vino fin dal ‘300, con il meraviglioso affresco dell’Ultima Cena di Domenico Ghirlandaio, risalente al 1476, prima prova del pittore sul tema del cenacolo. Badia di San Michele Arcangelo è un’antica abbazia fortificata fondata dai vallombrosani intorno all’anno Mille.
Ai piedi delle colline trevigiane, a Crocetta del Montello, luogo della memoria con i siti della Grande guerra, il racconto prosegue a Villa Sandi, una delle aziende di riferimento per il Prosecco, il cui edificio in stile palladiano risale al 1622. Palladio, che si basava fortemente sulla simmetria, sulla prospettiva e sui valori dell’architettura formale classica del tempio degli antichi Greci e Romani. La villa all’inizio del conflitto fu sede del commando militare italiano e proprio in quegli anni fu scavata una rete di cunicoli. Nella seconda guerra mondiale continuò ad avere parte nelle vicende belliche, prima come rifugio del collegio vescovile di Treviso e poi come deposito dell’esercito tedesco. Suggestivi i locali adibiti a barricaia e per l’invecchiamento dei rossi, che si estendono in un sotterraneo per oltre un chilometro e mezzo. Dal 1975 è guidata dalla famiglia Moretti Polegato. “La cantina e la villa sono un esempio molto ben riuscito di dialogo tra natura ed architettura. Tramite uno storico locale si è attestato che l’edificio è stato realizzato dall’architetto Andrea Cominelli. Uno stile classico con l’imponente pronao, quattro colonne ioniche che sostengono il timpano, due barchesse porticate ai lati, tipiche delle ville venete, che riportano all’epoca della Serenissima, le statue dello scultore veneto Orazio Marinali lungo l’elegante viale, il fasto degli affreschi interni. C’è anche una piccola chiesa. Un gioco di armonia delle proporzioni che rilassa lo sguardo e lo riempie di bellezza. Le stanze dalle tonalità pastello, ornate di stucchi, bassorilievi, lampadari di Murano, hanno accolto Napoleone, il Canova, scrittori e aristocratici”, racconta l’autrice. “La caratteristica è che hanno utilizzato una parte del bunker della prima guerra mondiale per farne una cantina. Così come accade in Friuli Venezia Giulia, dove abbiamo visitato Castello di Spessa, azienda di vini pregiati del Collio, con cantina medievale scavata a diciotto metri di profondità dove i vini affinano a una temperatura costante di 14° C. Anche questa era un bunker durante la seconda guerra mondiale”.
Non possono mancare le cattedrali di Canelli, tunnel scavati nel tufo calcareo fra il XVI e il XIX secolo, costruiti su più livelli, che scendono fino a trentadue metri di profondità attraversando l’intera collina astigiana per oltre venti chilometri, ideali per affinare vini e spumanti. Delle quattro cattedrali sotterranee sede di aziende vinicole blasonate, Bosca, Contratto, Coppo e Gancia, gli autori raccontano quest’ultima, storica realtà produttrice del primo spumante italiano metodo Classico nel 1865, pochi anni dopo l’unità d’Italia (anche se l’azienda nasce nel 1850 con Carlo Gancia). Le cattedrali sono Patrimonio Unesco dal 2014. “I fratelli Gancia ricevettero il regio stemma da Vittorio Emanuele II. Una storia di circa centosettanta anni che ci fa capire come il vino si intreccia indissolubilmente con il passato e in questo caso con gli italiani. La cantina occupa una parte sotterranea di quattro chilometri degli oltre venti totali”.
Sulle colline delle Langhe, a Serralunga d’Alba, Fontanafredda, risalente al 1858, era la proprietà di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia. “Era la tenuta di caccia che luì donò all’amante, ‘la Bela Rusin’, che insignì del titolo di contessa di Mirafiore e Fontanafredda e che diventò sua moglie quando rimase vedovo. L’attività commerciale iniziò però con il loro figlio, il conte di Mirafiore, che al vino diede un approccio moderno. Dal 2008 la proprietà è di Oscar Farinetti. Fra le curiosità, Fontanafredda, è stata la prima azienda agricola dove i contadini venivano pagati. Il primo salario fu dato proprio ai fittavoli che lavoravano qui. La cantina più antica della tenuta porta il nome di Mirafiore e fu costruita per contenere il vino a consumo personale del re e della sua famiglia. Le botti del re, che hanno una targhetta in ceramica, sono sostenute da un particolare sistema in mattoni sotto i quali i cantinieri accendevano un fuoco per favorire l’inizio della fermentazione malolattica del vino”.

PAOLO LAURIA, COAUTORE DEL LIBRO

Sommelier ed esperto in marketing del vino

“Il rapporto tra vino e architettura è più stretto di quanto comunemente si pensi. Il libro è stato scritto a quattro mani. Abbiamo degustato dei vini per raccontare una cantina e degli stili, non per dare dei giudizi. Oggi è più facile trovare belle cantine, un tempo l’architettura era funzionale a quello che serviva. Non tutti sanno che un vino importante come il Barolo era in passato un vino instabile. Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, quando venne in visita in Italia lo descrisse come un vino frizzante come lo Champagne perché era soggetto a doppia rifermentazione, però nello stesso tempo era strutturato e dolce. Questo era dovuto al fatto che le cantine non erano interrate, ma esposte agli sbalzi di temperatura. L’architettura ha aiutato molto a trasformare il Barolo da vino interessante a grandissimo vino, e questo emerge in particolare nella tenuta Marchesi di Barolo. Alcune cantine italiane come Gancia, ma anche in Champagne, sono state ricavate in antiche gallerie di tufo scavate dai Romani, che insegnavano già allora che il vino andava protetto dalla luce e dalla temperatura. Basti pensare alle anfore interrate ritrovate nelle antiche ville romane”.
Degustare un vino nel suo luogo di produzione e conservazione crea quell’allure intorno al bicchiere che ce lo rende indimenticabile e ne fa rivivere la storia. “Cambia tanto in termini di immersione nella degustazione. Nel momento in cui corpo, anima, testa e tutti i sensi sono concentrati in un determinato luogo e ne percepiscono gli umori facendoli propri è chiaro che nel bicchiere non c’è più solo un vino. L’esperienza è amplificata. Per esempio, degustare nel cuore della Valpolicella Classica il Vaio Amaron di Serego Alighieri suggestiona per la storia lunga e importante alle spalle: oltre 650 anni. Si sta parlando di una cantina fondata dal figlio di Dante Alighieri. Tutto ebbe inizio nel 1353 quando la tenuta fu acquistata da Pietro Alighieri, che aveva seguito il padre in esilio a Verona. Da ventuno generazioni i discendenti del Poeta fanno vino. Da toscano, è stata per me una sorpresa bere Ricasoli e scoprire come a Bettino Ricasoli si debba l’origine del disciplinare di quello che oggi è il Chianti Classico. Nei corsi da sommelier si parla di Bordeaux come della scuola degli assemblaggi dimenticando precursori come Ricasoli, che sperimentava assemblaggi di vitigni autoctoni. Altra esperienza emozionante è degustare il Marsala di Florio e con il vino la storia degli inglesi che arrivano in queste terre e capiscono le potenzialità del Marsala, delle uve grillo e della fortificazione. La cantina è impregnata di una serie di passaggi storici importanti che si amplificano nel momento dell’assaggio. Indimenticabile un Barolo di Marchesi di Barolo del 1982, di quarant’anni esatti e ancora di grande freschezza, che mi ha permesso di tornare indietro nel tempo e fare parallelismi con i fatti di cronaca di quell’anno, quindi con i mondiali di calcio, Thriller di Michael Jackson, il Nobel per la letteratura a Gabriel Garcia Marquez, E.T. l’extra-terrestre di Steven Spielberg e quant’altro. Bere un’annata storica è un viaggio nel nostro passato, o più indietro ancora, se siamo attenti, curiosi, sensibili. Il vino deve creare un’emozione. Purtroppo non succede sempre. Dipende da dove lo si beve, come lo si beve e con chi lo si beve”.