Val d’Orcia, alta concentrazione di bellezza, tanto da essere inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dall’Unesco. Sangiovese emblema del territorio. Annata 2016 strepitosa. La 2015 forse un po’ sopravvalutata, considerato anche il fatto che veniva dopo la disastrosa 2014. Alla masterclass in diretta streaming con Hong Kong del Brunello di Montalcino, tenutasi a Palazzo Bovara, nell’ambito della Milano Wine Week, degustiamo il Brunello di Montalcino 2016 e la Riserva 2015. Versanti con orientamenti diversi, dalla marcata modulazione delle colline, con scarti altimetrici importanti che creano tanti microambienti, si fanno sentire nel bicchiere, con uno stacco tra terreni a nord e a sud di Montalcino percettibile. L’annata 2016, definita la migliore di sempre, conta pochissimi vini sotto l’eccellenza. Relativamente fresca, con uno sviluppo più armonico della vite, una stagione di maturazione più lunga che ha consentito una maturazione uniforme ed equilibrata delle uve rispetto alla 2015 più calda e potente. Vini pronti, buonissimi da subito: Lambardi, San Guglielmo, Pinino, Fanti – che apprezziamo di più nella 2016 che nella riserva – Podere Casisano, della famiglia Tommasi, Roberto Cipresso, Fossacolle e Sassodisole. Vini che nella parte a nord di Montalcino si presentano meno alcolici, con minor colore, più trasparenti, floreali, con un fruttato fresco, tannini fini e finali sapidi, giocati più che sulla potenza sull’eleganza, soprattutto sulla collina di Montosoli.
Degustiamo anche le riserve 2015: Camigliano Gualto, Fanti Vigna le Macchiarelle, Talenti Pian Di Conte, Sassodisole, Palazzo, Argiano, Col D’Orcia Poggio al Vento.
Qualche numero? Nove milioni di bottiglie per il Brunello, il vino principe del territorio, di cui il 68% viene esportato (principalmente Stati Uniti e Germania), per un totale di 250 produttori (il Consorzio ne riunisce quasi la totalità, il 98,2%) con una superficie media per azienda di 12 ettari. Segue il Rosso di Montalcino, a quota 4 milioni e mezzo di bottiglie, il Sant’Antimo con 400mila e il Moscadello con 40mila. Qualche altro numero? 31200 ettari di territorio, 3500 vitati di cui poco più di 2000 a sangiovese per la produzione di Brunello di Montalcino, 700 mm di precipitazioni medie annuali, ottima insolazione e ventilazione, che garantiscono le condizioni migliori per la salute delle piante, estrema variabilità dei terreni per costituzione e struttura, dovuta anche al fatto che il territorio si è formato in ere geologiche diverse. Così troviamo aree ricche di calcare frammisto a scheletro, costituito da scisti di galestro e alberese, altre più argillose, altre ancora composte da detriti alluvionali. Montalcino, 40 km a sud di Siena, delimitato dai fiumi Orcia, Asso e Ombrone, clima mediterraneo, una distanza dal mare di 40 km, la vicinanza del monte Amiata che crea una protezione importante da nebbie, gelate o brinate tardive. E pensare che solo cinquant’anni fa Montalcino era un’area depressa dove la mezzadria era la principale forma di conduzione. La svolta con la famiglia Biondi Santi, responsabile del suo sviluppo e del riconoscimento del Brunello nel mondo come grande vino. Clemente Santi, che era farmacista a Montalcino e che acquistò la fattoria Il Greppo dove iniziò a produrre vino, aveva selezionato i cloni di sangiovese grosso. La sua discendenza – come non ricordare Tancredi Biondi Santi e Franco il “filosofo del vino” – porterà il Brunello a vette qualitative importanti. Nel 1966 il Brunello di Montalcino è la prima doc rossa italiana. L’anno successivo viene fondato il Consorzio con 25 produttori. Altra data importante è il 1978 con l’arrivo dei fratelli Mariani che fondano la cantina Banfi. Importatori di vino in America, accelerano il processo di esportazione negli Stati Uniti, ancora oggi primo mercato di riferimento.