I Righeira – ricordate il loro tormentone estivo dei primissimi anni ‘80 “Vamos a la playa”? – si sono messi a fare vino, reinventandosi una vita in campagna a distanza di quarant’anni. O meglio, Stefano Righi, in arte Johnson Righeira, musicista torinese, è diventato da non molto vignaiolo (“ma sono appassionato di vino da sempre”).
È lui che sarà tra i protagonisti della prossima edizione della Douja d’Or ad Asti, la storica rassegna del vino che lo vedrà raccontare il suo progetto tra le colline moreniche del Canavese, ad Agliè, il 14 settembre, ospite d’onore al talk promosso dalla Camera di commercio.  Sì, perché nella frazione San Grato di Agliè si è trasferito tre anni fa e da una vigna in affitto a Cuceglio, dove i vigneti di Erbaluce sono alternati a boschi di castagno, produce un Erbaluce di Caluso in anfora (“fuori dagli schemi come sono io”). L’obiettivo dell’uso dell’anfora è un’amplificazione delle caratteristiche varietali del vitigno più che lo sviluppo di aromi terziari,  questi ultimi derivanti dall’affinamento in botti di legno.
“Qualche tempo fa stavo cercando un’alternativa in campagna ai weekend a Torino. Degli amici mi hanno parlato di un cascinale nel verde, a una quarantina di chilometri. Me ne sono innamorato. Complice anche il lockdown ho deciso di restare qui”, ha raccontato. Dove “qui” significa nel Nord del Piemonte, in un territorio di origine alpina ricco di corsi d’acqua e laghetti, dimora di ghiacciai ormai disciolti che hanno arricchito i terreni di sabbie minerali e sassi.
Per ora la produzione di Erbaluce è risicata, solo seicento bottiglie, ma il prossimo anno si  conta di arrivare a millecinquecento. Senza tralasciare lo spumante, perché questo antico e autoctono vitigno si esprime al meglio non solo come vino fermo ma anche nella variante metodo classico (“L’anno scorso ho messo via un po’ di Erbaluce con l’idea di fare una bolla”).
L’Erbaluce si chiama Kutu. In etichetta il nome della casa discografica dell’artista, Kottolengo. Ma Stefano Righi, che non perde occasione in pubblico di citare il territorio in cui vive, sta già pensando a un rosso, “magari un uvaggio di barbera e nebbiolo”.
Vedremo.