Aspre falesie e scogliere che si stagliano su un mare Adriatico che si fa turchese. In un paesaggio dall’anima decisamente “wild”, stretto tra mare e montagna. I Ripari di Giobbe sono una delle due riserve naturali ad Ortona, lungo la scenografica costa dei Trabocchi. Una vera  e propria perla del litorale chietino. Trenta abitanti, una parete rocciosa a picco sul mare, baia ad anfiteatro, l’ideale per chi ama immergersi in una natura senza tempo. Su questo promontorio in piena luce, i vigneti sembrano raccontare un’altra storia. Alle spalle la Majella innevata. Davanti a noi il mare. Uno scorcio di Abruzzo forte e gentile, come diceva Primo Levi, dove la vite armonizza l’energia vitale trovando il suo equilibrio perfetto fra vento, acqua e montagna, i soli in grado di rompere il silenzio. In Abruzzo, regione ad alta vocazione naturalistica, circa un terzo del territorio è costituito da aree protette nazionali e regionali.


“Questo punto in cui ci troviamo, di grandi contrasti, descrive molto bene l’enologia abruzzese. Qui abbiamo il nostro vigneto di pecorino, un vitigno a bacca bianca che ormai si è adeguato bene al territorio. Di solito si vendemmia a cavallo tra la prima e la seconda settimana di settembre, ma, essendo questo un vigneto giovane, l’anno scorso la raccolta è stata leggermente in anticipo”, spiega Rino Santeusanio, uno degli enologi di Fantini, realtà abruzzese con sede ad Ortona, che produce vini dall’interessantissimo rapporto qualità-prezzo, mantenendo una qualità elevata. “Il pecorino è un grandissimo vitigno a bacca bianca che regala un vino roccioso, di struttura, grande acidità, dai profumi marcati e netti, sempre molto freschi, che ricorda un Sauvignon nei sentori di frutto della passione e pesca a polpa gialla. È un vino senza compromessi. In cantina cerchiamo di fare meno danni possibili per esaltare queste sue caratteristiche naturali”.
Il Calalenta bianco (circa 100mila bottiglie) è il progetto di Pecorino top di gamma nato quattro anni fa su questi suoli, particolarmente apprezzato nel Nord Europa, negli Stati Uniti e nei paesi asiatici. “È  una selezione delle nostre migliori uve. Il Pecorino lo interpretiamo solo così, non ci sono vie di mezzo. Insieme al reparto di ricerca e sviluppo interno all’azienda abbiamo capito le potenzialità di questo vitigno se lavorato in un certo modo in vigna e in cantina, ossia lavorando le uve a bassissima temperatura, in iper riduzione, con vinificazione in assenza di ossigeno per esaltare al massimo i precursori aromatici dell’uva”, precisa. “La linea Calalenta comprende anche un rosato da uve merlot, il nostro best seller, vinificato sempre in iper riduzione, con un colore scarico alla provenzale perché utilizziamo solo il mosto fiore”.

Grande l’attenzione per le rese. “In passato erano alte perché in Abruzzo si produceva per le  cisterne. Noi le abbiamo ridotte quasi della metà. La resa è, però, un numero che va contestualizzato. Ciò che è importante è che il vigneto sia equilibrato, con produzioni corrette per esprimersi al meglio”.
I suoli in Abruzzo sono generalmente calcarei e argillosi. A Ripari di Giobbe, dove si coltiva solo pecorino, siamo sul mare e c’è un po’ meno argilla. Il terreno è più siccitoso e stressa la pianta. Il risultato sono vini più strutturati e potenti.
Tra Ripari di Giobbe e Punta Aderci, l’altra riserva naturale più a sud, sono quindici gli ettari vitati su cui sta puntando l’azienda. “Le condizioni pedoclimatiche sono molto simili. Nelle zone circostanti abbiamo assenza o comunque una ridotta viticoltura, il che significa territorio più selvaggio, con condizioni uniche di ecosistema. La pianta non fa trattamenti, non si ammala, grazie anche a un venticello costante”.
Le farfalle svolazzanti e le api sono indicatori biologici che monitorano la qualità dell’aria. Aria che, come scriveva Giorgio Manganelli, qui ha un sapore diverso: nutrita di rupi e sassi, di radure e boschi, di laghi e ruscelli ha uno scatto, un’elasticità di muscoli, una tagliente acredine che sa di spazi nordici, di scoscese dimore lontane.

“L’inerbimento nello spazio interfilare lo pratichiamo ormai da tempo perché permette di creare una competizione dal punto di vista nutrizionale con la vite, che va a riequilibrare il vigneto, oltre a consentire una miglior maturazione dell’uva e a ridurre marciumi e la possibilità di Botrytis. Crea anche una migliore conservazione della sostanza organica nei suoli, facilitando l’instaurarsi di un equilibrio biologico tra microrganismi e insetti del terreno che sarà, così, più compatto e in grado non solo di assorbire più acqua ma anche di liberarsi di quella in eccesso, con un’areazione maggiore negli strati più profondi”, conclude Santeusanio.
Una gestione sostenibile del vigneto è una forma altissima di educazione. Non dimentichiamocelo mai.

(Sullo sfondo la Majella innevata)

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