A Milano, in Piazza Duomo, nel ristorante-laboratorio del pluristellato Niko Romito, l’occasione per degustare il Montepulciano d’Abruzzo delle colline teramane è il tour organizzato dal consorzio di tutela in occasione dei suoi vent’anni. La scelta del luogo non è un caso: Abruzzo chiama Abruzzo per un racconto  a più voci con un’idea di fondo: la sostenibilità deve guidare le scelte quotidiane, diventare un’abitudine a partire dal mangiare e bere bene. “Abbiamo scelto questo posto senza averlo conosciuto prima, un po’ alla cieca, perché Niko Romito, che avrebbe potuto slegarsi dall’Abruzzo per il successo raggiunto, è sempre rimasto convinto dell’importanza di portare con sé la nostra regione”, esordisce Enrico Cerulli Irelli, presidente del Consorzio di Tutela Vini Colline Teramane Docg, nato nel 2003 con la denominazione.
Torniamo a parlare di Abruzzo, una terra all’insegna, sempre di più anche nel bicchiere, del “green”, del Nord dell’Abruzzo per la precisione, al confine con le Marche. In degustazione ventidue vini di altrettante aziende, dai vini più freschi, visto che la denominazione da qualche anno permette ai produttori di uscire a un anno dalla vendemmia, alle riserve. Fil rouge dell’assaggio struttura, freschezza e mineralità, che sono l’impronta del territorio al di là di un’affermazione identitaria delle singole cantine.
Ma la vera notizia lanciata in anteprima è che il Consorzio Tutela Vini Colline Teramane Docg confluirà nel 2024 nel Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo. “Finalmente possiamo dirlo in maniera ufficiale. Io la descrivo più che come una confluenza, cosa che di fatto è, come una creazione insieme agli altri produttori d’Abruzzo di un soggetto unico che rappresenti tutta la regione e abbia l’orgoglio di tutelare anche la prima Docg d’Abruzzo, che è appunto Colline Teramane”, afferma Enrico Cerulli Irelli.
I numeri sono davvero piccoli e tali sono rimasti dopo vent’anni. Poco meno di una trentina le cantine che fanno parte del consorzio teramano, oltre il novanta per cento del totale del territorio per seicentomila bottiglie, principalmente destinate al mercato nazionale. “Negli ultimi due anni abbiamo registrato un aumento esponenziale: da quattrocentomila bottiglie siamo passati a seicentomila. Numeri ancora da cantina singola che non ci permettono di creare una massa critica sul mercato, ciò non toglie che ci sia una identità che nasce da ragioni storiche, perché la nostra è stata per secoli la provincia più settentrionale del Regno delle Due Sicilie, al confine con quello che era lo Stato Pontificio. E la prossimità del confine ha una sua forza sul senso di identità. Nel Teramano prima che altrove si è creata una classe media di commercianti, soldati, proprietari che dalla metà del Settecento ha iniziato a investire nelle aziende agricole. Qui da noi si è sviluppato un concentrato di tante picole realtà produttive. E questo è un altro elemento distintivo dal resto d’Abruzzo, che fino in tempi più recenti, invece, è stato gestito attraverso grandi proprietà quasi feudali”, spiega.
Nel Teramano il suolo è quello tipico alluvionale, con molto scheletro, un medio impasto di argilla, sassi e sabbie che si combinano in modo diverso. L’ambiente, grazie alla prossimità di montagne imponenti, è quasi pedemontano, fortemente caratterizzato da ecsursioni termiche fra giorno e notte, brezze. L’uva è naturalmente salubre. Le colline sono rigate da quattro vallate che vanno dal mare alla montagna, o viceversa. “La più meridionale è Vomano, poi c’è Tordino, Salinello e Vibrata. Molto fa la prossimità più al mare o alla montagna nel dare un’impronta al vino”, aggiunge.
Il contesto dove nascono questi vini è caratterizzato da una grande variabilità di scenari, tutti ugualmente suggestivi, dove il termine “identità” non è abusato. Le colline teramane sono la porta d’accesso al territorio abruzzese e subito ti fanno percepire in modo chiaro il cambio di registro repentino: terre selvagge dove la natura, che racconta un’altra storia e sembra sussurarti “scoprimi”, sa essere prepotente, a tratti drammatica e proprio per questo meravigliosa. In una provincia, un Parco Nazionale (dove vivono oltre duemila specie vegetali, pari ad un quinto della flora europea), sei riserve naturali e tre oasi marine. Il confine con le Marche è segnato dal fiume Tronto. A est la costa adriatica. A ovest la catena montuosa del Gran Sasso (il “gigante che dorme”), con la vetta più alta dell’Appennino il Corno Grande, dove spicca il ghiacciaio più meridionale d’Europa. “Siamo e ci sentiamo teramani. Questo senso identitario, che fino a pochi anni fa si caratterizzava per distinzione, oggi è un elemento di arricchimento della regione in un percorso di crescita che ha investito noi e tutto l’Abruzzo, portando anche a una riforma del disciplinare dei vini abruzzesi che prende spunto dal percorso delle colline teramane e inizia a includere i vari territori per un racconto più articolato e interessante. A metà degli anni ’90 si è riconosciuta la sottozona Colline Teramane e poi la Docg, la prima in Abruzzo. All’epoca l’Abruzzo era molto noioso dal punto di vista vinicolo: una regione, un vino. Assurdo, considerate le nostre innumerevoli sfaccettature”. Conclude Cerulli: “In questi vent’anni non siamo riusciti purtroppo ad affermare un vino con questo nome, ma siamo comunque riusciti ad affermare un territorio che non esisteva prima che lo inventassimo noi. C’era la provincia di Teramo ma mancava uno spazio fisico, culturale, identitario che facesse riferimento a questo luogo. Il vino non ha, forse, creduto in se stesso fino in fondo, è andato più lento, però ha lasciato in eredità un nome che si declina in modo diverso: dal miele alla pasta ai pacchetti turistici. Una cosa è certa: i vini in questi vent’anni sono cambiati, sintomo che la comunità è dinamica. Ci sono imprenditori del Veneto e della Lombardia che hanno scelto le colline teramane come luogo dove realizzare il proprio sogno. Un altro aspetto che ci conforta”.
Un percorso iniziato per antitesi, che oggi si risolve nella costruzione di una comunità più articolata, tenuta insieme dalla forza muscolare di un consorzio strutturato che dovrà fare delle diversità interne una leva per una effettiva valorizzazione del territorio.