Oggi a Vinitaly il presidente degli importatori wine & beverage USA (Nabi), Robert Tobiassen, protagonista del question time organizzato da Unione italiana vini in collaborazione con Veronafiere per approfondire gli ultimi trend di mercato nella prima piazza del vino tricolore spiega che serve un approccio più sensuale che culturale che va oltre la profilazione dei consumatori: “Il vino italiano negli Usa non deve indugiare su dettagli del prodotto o delle denominazioni, ma parlare ai consumatori in modo più diretto, empatico. Deve saper anticipare l’experience”. Per riuscirci è importante non solo utilizzare un linguaggio immediato, ma anche trovare i giusti canali di dialogo con il grande pubblico, e non mancano i riferimenti al Super Bowl o alle partite di basket per i nuovi formati. Continua: “Nel presentarsi al pubblico americano il produttore italiano deve soprattutto saper identificare il valore aggiunto del suo prodotto in termini di piacere e gusto: qual è l’enhancement, l’arricchimento che il calice del suo vino dà all’esperienza”.
Quello del vino, ha spiegato poi Tobiassen ai produttori coinvolti nel dibattito, affrontando un tema non di secondaria importanza la cui burocrazia scoraggia tanti piccoli dall’esportare negli Usa, è un mercato diverso dagli altri prodotti, fortemente connotato culturalmente e legato per questo alla normativa statale piuttosto che federale. Si tratta di un sistema che rende quindi complicato anche il direct to customer per i prodotti stranieri, rendendo di fatto la filiera italiana dipendente dagli importatori.
Secondo l’Osservatorio del vino Uiv sono profondamente cambiate le abitudini al consumo delle tipologie di prodotti italiani: il segmento sparkling (34% l’incidenza sui consumi) ha infatti superato i vini rossi (28%) e raggiun i bianchi fermi (36%) con una quota di mercato quadruplicata. Ancora nanoshare per i rosé (2%).