A ReStart, su Rai 2, è scontro sul Prosek croato tra il sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali Gian Marco Centinaio e l’imprenditore patron di Eataly Oscar Farinetti. Per il primo è un problema di italian sounding che si gioca sulla tutela del consumatore a non essere tratto in inganno, per il secondo la questione non esiste perché il Prosek produce poche bottiglie e lo fa dalla notte dei tempi.
Ma esiste una reale differenza tra Prosek e Prosecco? Qual è? Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono patrimonio Unesco da circa un anno (55° sito italiano riconosciuto), a nord si snodano le prealpi. Qui l’interazione tra uomo e ambiente ha creato un paesaggio culturale unico al mondo, la vendemmia è eroica, con i vendemmiatori che “scalano” la collina per portare l’uva in cantina. Gli hogback sono rilievi con creste strette e pendii molto ripidi dalla geometria spettacolare. Il territorio vanta una tecnica spumantistica che ha fatto scuola (a Conegliano nel 1876 è stata fondata la prima scuola enologica d’Italia). Il sistema Prosecco è costituito da tre consorzi: il Prosecco Doc, l’Asolo Prosecco Docg,il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg. Il Prosecco è il vino più esportato al mondo, con una produzione di 700 milioni di bottiglie l’anno. Primo mercato sono gli Usa (+48%), ma l’incremento maggiore si è registrato in Russia, dove le vendite sono più che raddoppiate (+115%). Prosecco i cui vecchi si sono spaccati la schiena per portarlo in giro per il mondo. Ora Zagabria ha chiesto all’Europa il riconoscimento del Prosek, le cui esportazioni sono pari a zero. Prosecco e Prosek sono due vini completamente diversi. Ma come vengono prodotti? Nel Prosecco è importante la seconda fermentazione con aggiunta di zuccheri o con lo stesso mosto di Prosecco. In Dalmazia servono 6-7 kg di uva per un litro di Prosek, un vino da dessert tradizionale, ambrato e dolce, i cui grappoli da varietà bogdanusa, marastina e vugava, sono lasciati appassire sui rami oltre il periodo di maturazione. Viene poi stagionato in botti di legno per almeno 6 anni. Una sorta di “nostro” whiskey.
Centinaio: “Il rischio è che l’Europa autorizzi il brand Prosek, ora qualche decina di migliaia di bottiglie che in effetti non vanno a intaccare i numeri del Prosecco, però se domani decidono di cambiare il disciplinare e lo rendono frizzante ci troviamo nei guai. Siamo il paese al mondo con più denominazioni, ben 838 e tutte tutelate dall’Europa. Se un Prosecco viene prodotto in Brasile non è Prosecco, così la sopressa vicentina o la mozzarella di bufala. E l’Europa non può stare a guardare”.
Risponde Farinetti: “Questi signori sono migliaia di anni che fanno il Prosek. È un prodotto completamente diverso dal nostro. Non c’è il problema dell’italian sounding perché lo chiamano Prosek da prima che chiamassimo Prosecco il nostro. Inoltre costa dieci volte il Prosecco. È un’altra cosa. Ci occupiamo di robe che non esistono e perdiamo di vista i veri problemi, per esempio l’inquinamento degli allevamenti intensivi. Vogliamo fare i ‘fighetti’ ed esportiamo la metà di quello che potremmo”.
L’affondo di Centinaio: “La Spagna stava producendo lo Champanillo e la Francia ha detto no perché ingannava il consumatore medio. Il caso era nato dal ricorso del CIVC, organismo per la tutela degli interessi dei produttori di Champagne, contro una catena di bar spagnoli che usava il nome Champanillo, cioè ‘piccolo champagne’. La Corte di Giustizia Ue si pronunciò contro questa decisione con la motivazione che non è necessario che il prodotto protetto o il servizio contestati siano identici o simili considerato che l’esistenza del nesso tra il falso e l’autentico può derivare anche dall’affinità fonetica e visiva. Quindi perché non applicarla anche al Prosek croato?”.
Farinetti conclude rilanciando sul bio: “Vorrei che l’Italia diventasse la prima penisola biologica al mondo, un modello di sostenibilità, e lo dichiarasse a tutti. Sono quattro le mosse che servirebbero per raggiungere molti obiettivi climatici: eliminare la chimica dall’agricoltura, arrivare a consumare il 100% di energia da fonti rinnovabili, migliorarsi nel riciclaggio dei materiali e abbandonare gli allevamenti intensivi perché altamente inquinanti. Il vino tra 5-6 anni sarà tutto bio. Il Prosecco lo ha capito e sta andando in quella direzione rapidamente”.