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Non di solo vino…
Concedetemi solo per questa volta di parafrasare le Sacre Scritture: “non di solo pane vive l’uomo…” (Vangelo, Matteo 4, 4 e Luca 4,4), per completezza concludendo con “ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”; però, occupandoci di vino, senza rischiare d’esser blasfemi, oserei dire “non di solo vino… “. Ed è solo un pretesto, perché questa volta desidero raccontarvi di quel mondo parallelo che è divertimento puro: liquori e affini.
Lo faremo con Roteglia 1848, antico marchio di Sassuolo, il cui storico negozio si affaccia da sempre sulla centralissima piazza Giuseppe Garibaldi. Dietro alla rivendita, ancora di proprietà della famiglia Roteglia e fulcro del paese emiliano, passando per cortili e pertugi si arriva all’opificio, il cui ingresso principale è sulla limitrofa via Mazzini. Qui si producono fin dagli inizi i liquori artigianali che hanno reso famoso questo nome; ogni dettaglio riconduce al passato, tanto che l‘attuale proprietà (Francesca Rivi, Andrea Fantoni e Andrea Silvestri) sta seriamente pensando di trasferirsi, mantenendo però gli attuali ambienti su due piani, cantine comprese, come una sorta di museo, conservando gli strumenti di lavoro che assieme a scaffali e quadri ricchi di testimonianze storiche ed etichette retrò, immergono in un patrimonio italiano decisamente fuori dal tempo.
Ogni liquore viene realizzato a mano, uno alla volta, aggiungendo singolarmente gli ingredienti e lasciando riposare gli infusi per il tempo necessario. Persino etichettato uno alla volta!
Si parte dalla rigorosa selezione delle materie prime, in primis dall’Alcol Buongusto da distillazione dei cereali, reputato fra quelli di maggior livello qualitativo. Poi spezie, erbe aromatiche e botaniche estraendo direttamente anche gli oli essenziali. Dettagli che fanno la differenza, come ad esempio il caffè monorigine Guatemala Huehuetenango per la preparazione del liquore Caffè (proposto in versione classica e cremoso), oppure la liquirizia pura di Amarelli per il liquore Liquirizia.
Ma il punto di incontro fra il mondo del vino e i liquori si chiama Vermut. O Vermouth, se preferite il nome alla francese, oppure ancora Vèrmot, come lo chiamano a Torino, dove nasce nel 1786. È un vino aromatizzato ora tornato di gran moda, la cui storia si deve a Carpano; il nome fu scelto riadattando quello di origine tedesca Wermut dell’Artemisia Maggiore, ovvero la pianta erbacea medicinale ingrediente per il distillato d’assenzio. Se scaviamo fino quasi alla preistoria, nell’antica Grecia si faceva già uso di vino aromatizzato, l’ippocrasso (che forse era l’unico modo di conservare e bere il vino, all’epoca), ma tornando ai giorni nostri, l’intuizione di Roteglia 1848 è di farlo con uve Sorbara grazie alla collaborazione di Alberto Paltrinieri e della sua omonima cantina modenese. Dunque materia prima di qualità, uve selezionate della varietà di lambrusco autoctono che vengono in questo caso sapientemente miscelate con piante aromatiche fra cui timo, sambuco, camedrio, camomilla e altre ancor più rare, senza farsi mancare, ovviamente, l’assenzio. Il Vermut, oltre i salotti francesi del XIX secolo, dove si riunivano artisti e scrittori per godersi la versione distillata e più alcolica dell’assenzio, oggi è principalmente usato come aperitivo, base per cocktail fra cui il Manhattan, l’Americano o il Negroni. Ma l’esperienza più chic, se vogliamo, è berlo puro. Di certo la scelta di Roteglia 1848 è accattivante, a partire dal colore che non lascia dubbi: è proprio quello delle uve Sorbara. Poi l’etichetta disegnata in alcune variabili di colore (a sentimento), riconduce alla Belle Époque ed è certamente una scelta azzeccata. Il sapore è elegante, sempre fresco, concedendo la caratteristica acidità delle uve sorbara fino all’ultimo, sempre piacevolmente spalleggiata dalle note officinali.
L’incontro con Roteglia 1848 è il Vermut, ma non possiamo non citare uno dei liquori più noti dell’Emilia che in questo caso viene lavorato in ben due (più una) varianti: il Nocino. E qui si apre un capitolo infinito. Ogni famiglia o quasi, da quelle parti, ha la sua ricetta. Si lavoravano le noci ancora verdi, raccolte nella notte di san Giovanni (fra il 23 e il 24 giugno), poi la preparazione alcolica prevede l’aggiunta di componenti aromatiche: vuoi i chiodi di garofano, vuoi la cannella, le scorze di limone… Insomma, ognuno ha i suoi segreti; di certo non possiamo svelare quelli della versione Roteglia 1848, che nell’etichetta base restituisce una nota erbacea e officinale piuttosto inusuale, decisamente caratterizzante. Più complessa la Riserva, nome che suggerisce la possibilità di conservare i liquori in genere ben più a lungo di quanto si possa credere. Nasce dall’affinamento di un ulteriore anno, una volta estratto l’infuso. Questo Nocino, a differenza dei tanti fatti in casa, non si perde nelle note alcoliche o negli eccessi di dolcezza, ma esalta il frutto restituendo schiettezza e al tempo stesso persistenza. Esiste poi una terza variante, però creata solo per un pubblico di nicchia, poche pregiate bottiglie dalla forma che riconduce a distillati importanti, confezione numerata ed etichette eseguite di anno in anno da artisti modenesi diversi, interpretando soggettivamente una delle caratteristiche che si ritrovano in questo eccellente liquore. La differenza non sta solo nel confezionamento: questo Nocino Riserva millesimato completa la sua lavorazione con una sorta di metodo Soleras, riducendolo in scala proporzionata grazie all’utilizzo di una storica vecchia batteria di botti di varie essenze che nasceva per la produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.
Ultimo, ma non ultimo, anzi potremmo considerarlo il primo storico prodotto di Roteglia 1848, è il Sassuolino, così da loro rinominato, attribuendo la denominazione locale alla ricetta del Sassolino, liquore di anice stellato. Ne esiste anche la variante meno alcolica destinata all’uso in pasticceria.
La storia di Roteglia 1848 ha inizio oltre 170 anni fa, grazie alla famiglia svizzera Muggia, originaria del Cantone dei Grigioni, noti proprio per aver diffuso commercialmente le erbe svizzere la cui fama tutti conosciamo. Vi fu un breve passaggio di proprietà intermedio, poi arrivarono i fratelli Filippo ed Umberto Marazzi, di cui uno si dedicherà alla nascente industria ceramica nota appunto oggi come Marazzi, brand fra i più importanti del settore. L’attuale nome Roteglia 1848 nasce nel 1927 con l’arrivo di Emilio Roteglia; la sua famiglia si tramanda il marchio di padre in figlio, i laboratori e la bottega in piazza, conservando sapientemente tutte le ricette e buona parte delle etichette storiche, oggi raccolte in una cassettiera d’altri tempi. Arriva il 2018 e le voci sulla cessione della distilleria e opificio si traducono nell’ultimo passaggio di proprietà con gli attuali tre soci, che intraprendono questa strada non solo per amore di tradizione, ma anche per il desiderio di lavorare prodotti artigianali con genuinità e passione.
Fra le tante (forse persino troppe?) etichette di Roteglia 1848 troviamo anche il Limoncino, lo Cherry di casa nostra (infuso di ciliegia Moretta di Vignola), L’Alqirmiz Bitter, dall’alchermes (di cui ne esiste anche una versione per le pasticcerie, adatta per la preparazione della zuppa inglese, i cui savoiardi sono intrisi del colore dell’omonimo liquore). Poi ancora il Sassovo, liquore all’uovo a base di zabaione, il cui colore giallo vivo e la densità sono le caratteristiche che lo accomunano ai bei più noti prodotti industriali della grande distribuzione. Rimanendo però nella produzione artigianale, quello dei liquori naturali è proprio un’arte a parte, un mondo parallelo, come l’ho definito all’inizio e non bisogna credere che sia qualcosa di artificiale fatto di intrugli misteriosi. A Roteglia 1848 non c’è nulla da nascondere: è un piccolo laboratorio dove si lavorano solo materie prime di origine naturale. In fondo siamo poco distanti da ciò che facevano (e forse fanno ancora) i frati nei conventi. Dalle inebrianti Gocce Imperiali dell’Abbazia di Piona (Lecco) alla prima commercializzazione di distillati, amari e liquori, fino a Roteglia 1848, il passo è davvero breve.
Ma la scelta non è finita: troviamo l’etichetta San Giorgio per due grappe (in collaborazione con una distilleria esterna): una nasce dalla distillazione delle vinacce da uve malvasia aromatica di Candia coltivate sulle colline parmensi, l’altra da un blend di vinacce selezionate ed è barricata (sosta di 12 mesi in botti di rovere e altri 6 mesi in vasche d’acciaio), dal caratteristico colore ambrato. Ma c’è pure il Clelia Gin (da bacche di ginepro raccolte sull’Appennino reggiano) e non ho dimenticato le etichette Mandorla e Maraschino!
Davvero una fantasia di etichette, mettendoci anche le innumerevoli creazioni grafiche del passato. Una cultura secolare che si sente e si vede, così ricca di colori da sembrare una festa. Ritornano in mente quelle giostre di paese, le luminarie e i fasti di un’era che Roteglia 1848 ha saggiamente riportato al presente.