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 Quelle annate che non dimenticheremo (mai)

Barolo-Barbaresco, orizzontale 2016

 

Dietro una grande annata annunciata come tale si creano molte aspettative. Curiosità ed emozioni che si concretizzeranno solo di fronte al calice. Ma cosa accade prima?

Non sempre si ha l’opportunità di partecipare ad anteprime in cui anche la nostra presenza contribuirà a rendere noto quel millesimo per qualità e pregi. Allora si creano quei rumours interessanti, talvolta vibranti; quei passaparola che diventano sempre più chiassosi, man mano che si trovano commenti scritti e persone fidate che ci possono raccontare direttamente l’emozione provata per la nuova annata tanto attesa. Poi finalmente tocca a noi: siamo davanti la bottiglia, operazione di apertura eseguita con adeguata lentezza e giudizio, controllo del tappo che è perfetto, quindi si versa nel calice e da quel momento tutto si svela davanti a noi con la stessa emozione di un bambino che scarta sotto l’albero proprio il regalo che attendeva trepidante da Babbo Natale.

Il cuore batte a mille e il naso è inebriato da tutti quei segnali che desideravamo sentire. Abbiamo persone di fianco a noi; allora commentiamo, condividiamo l’emozione, come se fossimo di fronte a un maestoso paesaggio visto per la prima volta. Qualcuno azzarda già la prova al palato, non precipitoso, ma analitico.

Dopodiché sono sguardi, incroci di occhi che saltano da un’angolazione all’altra per cercare conferme, semmai ce ne fosse bisogno. Poi cala il silenzio. Tutti gli astanti (talvolta pochi fortunati se le bottiglie a disposizione non sono tante) sono concentrati sul gusto. Chi non resiste esplicita commenti e cenni di gioia. Altri sono ancora concentrati nella verifica dei retrogusti, della complessità e della persistenza.

Poi c’è una fase di riposo in cui prevalgono i commenti, i paragoni e le storie. Qualcuno si chiude in se stesso perché è troppo emozionato per parlare. Ma intanto si fa roteare il nobile vino nel calice per intercettare altri dati. Per non farsi sfuggire niente, in quei minuti, sempre troppo pochi, in cui inesorabilmente il calice diventerà vuoto.

Ha ragione Laura Zini, illustre sommelier Ais, che ci sono vini da cui non ci si riesce a staccare. Si prolunga il tempo di degustazione il più possibile, si ripassa il calice al naso più volte. Repliche olfattive necessarie a fronte di un vino memorabile. Sorsi al palato e di nuovo olfatto. Non ci si stacca più.

È accaduto proprio questo, lo scorso 9 marzo a Reggio Emilia dove, nell’elegante Spumanteria, ristorante e negozio di bollicine e non solo, si è svolta la degustazione di sei eccellenze per una orizzontale di Barolo e Barbaresco 2016.

Avevo sentito in anteprima quest’annata durante un mio viaggio in Langa. Ero andato a caccia di quelle bottiglie che reputavo rappresentative per descrivere al meglio le due denominazioni fra le più note al mondo. E già iniziavo a intuirne il potenziale. Recentemente, durante una masterclass in quel di Modena dedicata al Barolo, mentre si è ritornati anche sulla 2016, Sergio Molino racconta, fra le tante osservazioni, che il Barolo (e il Barbaresco) contemporaneo è pronto dopo 6-7 anni. Obiettivo di oggi, del resto confermato dalle nuove schede analitico descrittive dell’AIS, è che il vino si deve bere pronto o maturo. Fasi ravvicinate del picco esistenziale di una bottiglia. Ovvero: non si lavora più, in vigna e in cantina, per creare vini di stratificata concentrazione che debbano rimanere dimenticati in botti grandi per decenni. Oggi tutto corre, lo sappiamo. Si bruciano le tappe e le notizie rimbalzano freneticamente nel web. Come si farebbe ad aspettare un vino 15 anni?

Dunque anche Barolo e Barbaresco non possono non stare al gioco e devono divenire anch’essi vini contemporanei, al pari di tanti altri nobilissimi esempi d’oltralpe e non solo. Cos’è allora l’ideale? Semplice: l’ideale è sempre comprare almeno due bottiglie di una annata eccellente, così una la si aprirà a vino pronto, intorno ai 7 anni, pazientando, dimenticandola in cantina, l’altra dopo altri 6-7. Così da poter raccontare il vino pronto e il vino nella sua curva di maturazione. Del resto, oggi 15 anni sono un ciclo di vita significativo, fatto di continue evoluzioni e apporti tecnologici sempre più nuovi.

Poi le case contemporanee non hanno nemmeno più un luogo adatto, in particolare in città, per conservare il vino nella sua fase di affinamento in bottiglia. Luoghi con temperature controllate in cui le bottiglie possano rimanere distese e al buio anche in una certa quantità non sono di facile reperibilità. Per questo il consumatore medio, ma anche quello un po’ più preparato, tendono a comprare e stappare. E le cantine importanti le grandi annate le vendono subito. Non le tengono più per un potenziale futuro compratore nei secoli dei secoli. Fatta qualche particolarissima eccezione, le grandi annate spariscono anche dall’e-commerce in breve tempo. Poi magari misteriosamente ricompaiono, perché qualcuno sta facendo operazioni di marketing, ma questa è un’altra storia.

Il lavoro di ricerca e selezione può essere altrettanto piacevole, in particolare quando è pensato in prospettiva di una successiva degustazione. In questa prima fase ho, quindi, raccolto 14 produttori che sono confluiti in due batterie distinte in cui le bottiglie vengono dichiarate prima, ma servite alla cieca in ordine sconosciuto agli altrettanto selezionati partecipanti. Si dice che una bottiglia da 0,75 l si divide bene in 6 persone, dunque questo è il limite ideale per condividere una tavola che vede coinvolto anche uno chef per la creazione di alcune portate in abbinamento. Poi tutto si moltiplica, all’occorrenza, ma l’intimità di un gruppo così ristretto, certamente fa mantenere la concentrazione e dunque anche il piacere. Il focus è sul vino, non sull’evento.

Capita di partecipare ad eventi enormi, in cui si deve necessariamente degustare fra tantissime presenze e un elevato numero di bottiglie aperte. Saranno poi davvero tutte uguali? Soprattutto salendo di livello e cercando di intercettare l’eccellenza fra le eccellenze. Per questo la singola bottiglia, opportunamente aperta nei tempi e nei modi necessari, servita alla temperatura ottimale, con calici dedicati, porterà i pochi presenti ad un riscontro emozionale e partecipativo certamente superiore.

La prima batteria di 6 bottiglie 2016 messa in campo il 9 marzo era così costituita (qui in ordine alfabetico): Damilano, Barolo Cannubi Riserva 1752; Ettore Germano, Barolo Lazzarito Riserva; Mascarello Giuseppe e Figlio, Barolo Monprivato; Produttori del Barbaresco, Barbaresco Pajé; Sottimano, Barbaresco Currà; Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy, Barbaresco Camp Gros Martinenga Riserva.

Per una volta non entreremo in merito al raccontare le note degustative e i descrittori di questi grandi vini. Rischieremmo solo di essere autocelebrativi e non serve fare retorica. E non riusciremmo a stare nelle batture di un articolo di facile lettura. Del resto, curiosando su internet chiunque può trovare i punteggi assegnati dalle principali riviste e critici su quest’annata e su queste etichette in particolare. Magra consolazione? Ma c’è anche chi vive solo di punteggi e collezionismo, si sa. Personalmente sono dell’idea che le bottiglie vadano sempre aperte. Tutte. Poi, a onor del vero, è anche molto probabile che alcune di queste meraviglie d’annata nemmeno si possano trovare più. Quindi, cos’altro possiamo aggiungere ancora, nel condividere una degustazione come questa?

Lasciamo una foto, a commento delle bottiglie, che rimane un ricordo, scattata proprio in quella delicata fase di apertura in cui si controllano tappo e vino, momento in cui si toglie completamente la capsula, perché nelle degustazioni alla cieca la parte del collo che rimane scoperta dalle cuffie potrebbe far riconoscere a qualcuno la cantina, quindi il vino. Le 6 bottiglie vengono appunto incappucciate con cuffie tutte uguali, perfettamente identiche e numerate dal cerimoniere che è l’unico a sapere l’ordine di servizio. Non ci potranno essere influenze dettate dal nome, non ci potranno essere atteggiamenti di parte. Solo i nasi preparatissimi potranno riconoscere un grande vino persino nell’etichetta, se la memoria che ci sta dietro attiva le sinapsi cerebrali e si accende la cosiddetta lampadina. Ma sono pochi, forse pochissimi gli esperti e conoscitori a questo livello. Poi non è necessario. Lo scopo di degustazioni così mirate, così selettive è solo il godimento, la ricerca della felicità e l’aggiungere nel cervello quel tassellino mnemonico che è l’input giusto per essere in grado di leggere nuove annate al pari di questa 2016 in Barolo e Barbaresco, semmai saremo così fortunati da poterne incontrare altre così. Auspicabile e non improbabile. Di certo alcuni fortunati ci saranno, perché le bottiglie rimaste fra le 14 cantine selezionate, andranno in degustazione nella seconda batteria, nuovamente a Reggio Emilia il prossimo inverno. Ma con ogni probabilità, i 6 posti sono già sold out.