L’export del Prosecco vola. Ora si guarda alla Prowein (15-17 maggio).
“Il 2021 è stato molto positivo in tutti i nostri settori, dalla liquoristica ai distillati, dagli spumanti, un po’ meno il Prosecco, ai vini della Valpolicella, per un totale di 12 milioni di bottiglie. Nei primi mesi del 2022 l’export conferma il suo trend positivo. In Canada e negli Stati Uniti il Prosecco vola più dello Champagne, in Sudamerica anche ma il mercato è molto limitato, invece nei paesi asiatici bisogna far emergere il Giappone, dove si cerca prodotto di altissima qualità, e l’Australia, che ha dimostrato forti trend positivi. Noi siamo una realtà in crescita. L’unico periodo di difficoltà è stato il 2020, con il covid e la chiusura di tutta l’area duty free nel mondo. Fortunatamente abbiamo ricominciato quella crescita organica che ci accompagna da 40 anni. Non siamo mai stati un’azienda che fa le moltiplicazioni, ma siamo un’azienda che cresce fin quando può crescere e se può crescere. Ci sono stati anni, infatti, in cui non siamo cresciuti o siamo cresciuti del 2% perché non avevamo prodotto”, spiega l’imprenditore veneto Sandro Bottega, uno dei maggiori produttori italiani di grappe monovitigno, distillati in barrique, liquori e Prosecco, lo spumante italiano in assoluto più bevuto ed esportato. Prosecco che abbraccia due regioni (Veneto e Friuli Venezia Giulia), nove province, ma la sua terra d’elezione resta il Trevigiano, e tre denominazioni di origine (Prosecco Doc, Prosecco Conegliano Valdobbiadene Docg  e Asolo Prosecco), per un totale nel 2021 di oltre 750 milioni di bottiglie per i tre consorzi, un giro d’affari sui 4 miliardi, con un incremento della produzione del +25% per il Prosecco Doc, del +13-15% per il Superiore Docg e del +11%  per l’Asolo. “I nostri sono mercati ricchi, quindi Europa,  Nordamerica, Giappone. Siamo presenti in 150 paesi con una distribuzione capillare, in alcuni paesi ci sono risultati eccellenti ma chiaramente i numeri sono molto più piccoli rispetto ai mercati chiave. In Francia, invece, esportiamo 200-250mila bottiglie tra liquori e Prosecco”.
La guerra tra la Russia e l’Ucraina pesa nei bilanci, considerando che l’Italia è il primo fornitore di vino in questi due paesi: nel 2021 gli acquisti di vino italiano sono stati complessivamente di circa 400 milioni di euro, in particolare 345 milioni, +18% rispetto all’anno precedente, per la Russia e 56 milioni  (+200% negli ultimi cinque anni) per l’Ucraina. “Pesa soprattutto il mercato ucraino, che per noi è importante. Pesa perché mancano i viaggiatori, perché Kiev era un aeroporto emergente, ma anche sul mercato domestico eravamo forti. Questi due paesi insieme rivestono quasi il 2% del nostro fatturato, e non mi riferisco solo al Prosecco, che rappresenta meno del 40% del totale delle vendite in Russia e Ucraina. Siamo un’azienda poliedrica, con tanti prodotti in piccole quantità. Vogliamo mantenere un livello qualitativo eccellente. Non siamo Prosecco dipendenti, ma cerchiamo di limitarlo perché non abbiamo prodotto in più”.
Ora ci si concentra sul valore reputazionale. Traino importante nella crescita del Prosecco Doc è il Rosé (cui si aggiunge una piccola percentuale di Pinot nero), con 71 milioni di bottiglie nel 2021, secondo anno di produzione, e un costo medio nella Gdo che si avvicina a un euro in più. “C’è una crescita lenta del valore di questo vino, ma c’è ancora tantissimo da fare. Purtroppo ci hanno pensato le cantine sociali a sminuirne il valore nel tempo. I privati hanno costruito un marchio e ora siamo nella situazione in cui bisogna lavorare ancora più sodo per ristabilire l’immagine del Prosecco. Ci sono tanti produttori con una qualità eccelsa, che lavorando sull’immagine per un posizionamento corretto”. Continua: “Il rosé è un prodotto importante perché ha dato una ulteriore spinta alla crescita, ma non bisogna cadere nel medesimo errore. Deve essere posizionato adeguatamente. Il disciplinare prevede trenta giorni in più di fermentazione in autoclave, quindi un passo avanti. Non è l’unica cosa, però, che bisogna fare, perché tutti i rosé del mondo rappresentano dal 10 al 15% del consumo e hanno anche un posizionamento e un costo di produzione superiori. Il problema del 2022 non sono le vendite, che stanno andando molto bene, ma avere il prodotto, il tempo per produrre, autoclavi per fermentazioni adeguate. È un anno di grandissima crisi”.

                                                                               

Ma quanto costa produrre una bottiglia di Prosecco? “Dipende dal Prosecco. Ci sono dei Prosecco che costano 3 euro, altri 5. Sicuramente i costi sono più elevati dello Champagne sia per quanto riguarda le ore di lavorazione in vigna, sulle nostre colline scoscese, mentre la Champagne è una regione per lo più pianeggiante, sia per la vinificazione in cantina. Produrre Prosecco nella zona delle Rive, della Docg, richiede tantissime ore di lavoro manuale e costi dal 20 al 30% superiori di quelli dei cugini d’Oltralpe. Farlo capire al consumatore è ancora più difficile che lavorare la terra in quelle zone. Anche i costi di produzione successivi sono elevatissimi, dagli investimenti in autoclavi all’energia per mantenere la temperatura, alla qualità dei lieviti e degli enologi, al controllo di tutte le fasi. Ciò che fa la differenza è il costo di produzione dell’uva, che nel caso del Prosecco è, appunto, più elevato”, spiega Sandro Bottega, che ha inaugurato il diario di vigna relativamente a un vigneto di poco più di un ettaro nella zona di Vittorio Veneto, registrato come Prosecco Doc, anche se le pendenze sono equiparabili alle Rive del Docg. “Nel periodo tra la potatura e il taglio delle viti morte sono state necessarie più di 800 ore di lavoro. Inoltre, il metodo Martinotti richiede investimenti infrastrutturali rispetto al metodo Champenoise, che prevede l’imbottigliamento direttamente in bottiglia. Quanto agli oneri finanziari dei tempi di fermentazione, pesano poco, nell’ordine del 2-3% l’anno, un’incidenza minima”. Puntualizza: “In caso di un’annata storta non possiamo aggiungere la liqueur d’expedition, ma dobbiamo arrangiarci con quello che la natura ci dà, mentre i francesi ricorrono all’escamotage del dosaggio. Tra i due prodotti c’è una differenza di prezzo abissale non giustificata”. Conclude: “Dobbiamo investire nella cultura imprenditoriale, di marketing ed enologica di tutti i produttori per imparare a posizionare il prodotto in maniera adeguata, per produrre tutti insieme alta qualità, per non farci la guerra gli uni con gli altri visto che il mercato da conquistare è enorme e non abbiamo sicuramente prodotto sufficiente per soddisfare tutti i consumatori e le diverse esigenze”.