“Come Vini Zabù abbiamo deciso di ritiraci dal giro”. Così apre la nostra intervista Valentino Sciotti, fondatore e amministratore delegato di Fantini Group Vini, che senza attendere il pronunciamento dell’Unione ciclistica internazionale per il caso De Bonis, positivo all’EPO, fa un passo indietro con la squadra di Angelo Citracca e Luca Scinto, di cui è main sponsor con la cantina siciliana Vigneti Zabù, a Sambuca di Sicilia, in nome dell’etica che sempre ha caratterizzato il suo percorso, prima ancora della Nippo – Vini Fantini con il team LPR.
Fantini (già Farnese Vini) è una realtà abruzzese di successo che raggruppa dodici cantine, con tre fondi di investimento in 7 anni, fatturato a +138% e una crescita negli ultimi dodici mesi del 7,8%. Ma Valentino Sciotti, che ha saputo mostrare il legame possibile fra finanza e vino, due mondi apparentemente lontani e difficilmente conciliabili, ha legato il suo nome in tutto il mondo e da più di un decennio anche al ciclismo professionistico. Tutto nasce dal sogno di un ragazzo che guardava le gare insieme alla mamma (“era una sarta e quando lavorava teneva accesa la tv in religioso silenzio”) e che da grande si vedeva in sella a una bici, magari portando l’Abruzzo in giro per il mondo. Ma il destino gli ha riservato un altro finale. E l’Abruzzo lo porta in giro con il vino, nel suo world tour del business.
Gli occhi sono puntati su di voi in quest’ultimo periodo. Il ritiro avrà portato un certo sconquasso nel team della Vini Zabù…
“Sì, ma non ci poteva essere altra via secondo il mio modo di concepire la vita e lo sport. Quando è successo il fatto abbiamo preso il ragazzo ‘per le orecchie’ chiedendogli di assumersi le sue responsabilità e di confrontarsi, raccontando tutto quello che era successo dalla A alla Z, con gli organi competenti. Ieri ho chiamato il team e ho comunicato il mio interesse a lanciare un messaggio forte. Ho chiesto di essere noi a rinunciare al Giro d’Italia. Certe azioni non devono più essere tollerate e il comportamento scorretto di un singolo (che ha ammesso la sua colpa, ndr) deve essere compreso da tutto il settore e da tutti i compagni di squadra. Non si può mettere la testa sotto la sabbia. Noi, come management, abbiamo dimostrato la totale estraneità ai fatti e anche il rigore. Il doping è il più grande nemico per chiunque investa nello sport”.
Ai tifosi spiace in modo particolare per Jakub Mareczko. Lo ritiene in grado di battere i più grandi velocisti al mondo visto che è forte in volata e ha vinto una semi tappa due settimane fa alla Coppi e Bartali?
“Lo riteniamo un vincente. Andare al Giro solo per fare le fughe sarebbe stato troppo poco. Due settimane fa ha battuto Mark Cavendish, il ciclista britannico che di recente ha conquistato il terzo successivo consecutivo nella corsa anatolica con un’autorevolezza incredibile. Questo fa capire di che stoffa è fatto Mareczko, tra l’altro grande appassionato di vini come il friulano Davide Cimolai, della Israel, che ha appena iniziato a produrre bollicine”.
Archiviato il discorso Vini Zabù, lei comunque parteciperà al Giro d’Italia come co-sponsor della Israel Start-Up Nation (ex Israel Cycling Academy), squadra israeliana World Tour, a differenza della Vini Zabù che è un team Professional. Nei suoi progetti c’è anche quello di diventare main sponsor di una squadra World Tour?
“A dire il vero per Il Giro d’Italia la Israel ha preparato una maglia speciale per darci il massimo risalto, un regalo che il proprietario del team ci ha voluto fare, con i colori delle vinacce, i rami posizionati in un certo modo, il nome Vini Fantini in bella mostra. Abbiamo puntato sul pantaloncino perché è la parte più visibile quando il ciclista corre. La maglia, invece, si vede solo nelle interviste o quando l’atleta alza le mani se vince. Diventare main sponsor di un team World Tour è troppo costoso. Servirebbero più o meno venti milioni di euro e noi abbiamo deciso di investire le risorse in qualcosa di più costruttivo per il nostro main business. Non possiamo andare oltre certi importi, nonostante le gare ci diano grande visibilità internazionale. Con Israel abbiamo innanzitutto sposato il progetto”.
Di che tipo di progetto si tratta?
“In contemporanea con il Giro d’Italia ci sarà il Giro del Ruanda, la gara più importante che si corre in Africa. In questo paese dove la donna è pesantemente discriminata stiamo cercando di mettere in piedi, attraverso delle donazioni, una squadra di ragazze. Israel è un team che nel sociale ha fatto e fa davvero tanto, perché è aperto ai messaggi di pace. Basti pensare che ha tesserato un ragazzo della Palestina, che poi per boicottaggi interni al mondo palestinese ha dovuto rinunciare. Inoltre siamo l’unico team al mondo ad avere un direttore sportivo donna, la britannica Cherie Pridham”.
La Fantini ha fatto un bel colpo visto che la Israel è presente di diritto nelle gare più importanti al mondo, dal Tour de France alla Vuelta al Giro del Belgio, per citarne alcune. Vi siete assicurati una visibilità planetaria con circa 1,5 milioni di euro di sponsorizzazione. Prolungherà la collaborazione iniziata lo scorso anno?
“In realtà abbiamo investito molto meno. Il proprietario della Israel si è innamorato della nostra azienda, del progetto. Tira fuori quasi tutto lui, non gli interessa la raccolta pubblicitaria, infatti ci ha voluto sulla maglia in posizione predominante anche se siamo co-sponsor. Spero che si possa portare avanti questo contratto il più a lungo possibile”.
E quest’anno grande cassa di risonanza anche con il Giro d’Italia. Su 21 tappe 17 saranno trasmesse integralmente in diretta, la mattina su Rai Sport, con i preliminari, e dalle 15 su Rai 2. Una squadra che quest’anno partecipa al Giro si assicura ore e ore di inquadrature del marchio, della maglia, del pantaloncino…
“E pensi al Tour de France, che è il terzo evento più seguito dopo Olimpiadi e mondiali di calcio e fa più di un miliardo di contatti singoli nel mondo. Per l’occasione abbiamo organizzato un ristorante mobile e gli atleti saranno seguiti da un nostro chef. Si tratta di un investimento che ammortizziamo anche in Francia, in Spagna e negli altri paesi che ospitano gare importanti”.
Per la Israel corrono ciclisti di diversi nazioni. Le ho contate tutte ma non sto ad elencarle. Ha incrementato le vendite di vino da quando sponsorizza la Israel? Se sì, in quali nazioni?
“La multinazionalità dei corridori è una delle cose che ho apprezzato di più quando sono entrato nella Israel perché riflette ciò che siamo noi. La Fantini è presente in più di novanta paesi, il 97% del fatturato è export. Vendere a un ristorante in Italia o a uno sull’isola di Bonaire ci dà la stessa gioia. Noi riteniamo il mondo un unico mercato. Le frontiere sono nella mente delle persone. Avere in squadra ragazzi che rappresentano culture molto diverse è meraviglioso. Quanto alle vendite le abbiamo incrementate dappertutto. Ci sono nazioni in cui il ciclismo è una fede ed è più facile penetrare un mercato. Comunque, anche in Turchia siamo entrati quando all’epoca il nostro ragazzo, Andrea Guardini, vinse una o due tappe del Giro di Turchia. Avevamo da due anni una trattativa che non riuscivamo a chiudere con una azienda che quando ha saputo che eravamo in tutte le televisioni e su tutti i giornali ha cominciato a importare. Di queste storie ne ho tante. Una volta ero in Centroamerica, nel Belize. Avevo un appuntamento nella capitale con un importatore che mi disse che il signor Santiago non era disponibile all’incontro perché impegnato nella campagna elettorale e mi portava i saluti. Quando la sua segretaria venne a sapere che eravamo il gruppo vinicolo che sponsorizzava il Giro, mi invitò a restare perché Santiago, tra un comizio e l’altro, ci teneva a stringermi la mano. Era un malato di ciclismo, faceva le gare in tutto il Centroamerica, recentemente ha partecipato anche al Giro del Guatemala. Mi disse che voleva i nostri vini perché amava il ciclismo e lo voleva sostenere. Le isole del Belize sono mete turistiche, l’interno del paese ha ancora tanta strada da fare. Ricordo che uscivo a correre la mattina presto e dovevo stare attento a non finire in una buca visto che qualcuno aveva sottratto i tombini. Questo per far capire la potenza dello sport, capace di abbattere tutte le barriere. Il ciclismo, in particolare, è uno sport di massa, bene o male lo praticano tutti, chi in modo edonistico, chi per salute, per mille motivi. Le faccio un altro esempio. A Guatemala City c’è una catena di ristoranti, I tre fratelli, che sono tre amici anche loro malati di ciclismo al punto che ogni anno lasciano il paese per andare a vedere il Tour de France. Quando sono andato la prima volta per vendere i miei vini è nato subito un feeling legato al ciclismo e oggi sono nostri importatori diretti. Siamo partiti da un ristorante e ci siamo diffusi in tutto il paese. In Belgio, invece, il ciclismo è lo sport nazionale e lì abbiamo una grande riconoscibilità. Ogni volta che mi sono trovato a chiudere una trattativa mi chiedevano come primissima cosa se eravamo la stessa Vini Fantini che sponsorizzava le gare. Quando incontrai a pranzo Alessandro Benetton, che stava per entrare in società con noi, mi disse che mi conosceva per il ciclismo non per il vino. Perfino lui. In realtà noi viviamo del nettare di Bacco”.
Il +7,8% del fatturato dove è stato principalmente messo a segno?
“Eravamo sbilanciati sulla ristorazione e per via del covid abbiamo beneficiato soprattutto dei paesi asiatici e delle catene in Europa. Il 2020 è partito ancora meglio, siamo in doppia cifra importante. Di recente ci hanno chiesto quanto abbiano impattato i fondi e abbiamo scoperto una crescita vertiginosa del +138% negli ultimi sette anni. Io penso a lavorare, a portare il risultato, non avevo fatto caso a questo dato perché guardo l’anno che deve ancora venire. Non il passato”.
Come ha preso contatto con la Israel, o meglio con Sylvan Adams, il potente canadese di origini ebree patron del team? In una intervista, nel 2017, quando gli chiesero se l’allora Israel Cycling Academy fosse un’operazione di soft power dello stato di Israele, lui rispose: “Soft power? No, passion”.
“Io e Adams ci siamo incontrati a Miami, dove lui ha casa, in un ristorante di un amico e abbiamo scoperto che ci faceva tanto piacere fare qualcosa insieme. Il mio amico ristoratore mi disse che andava a cena lì e avrebbe voluto conoscermi. Rimasi molto stupito perché era Adams che mi voleva incontrare. Anche lui è un grandissimo appassionato di bici. Ha venduto il suo impero immobiliare per andare a vivere in Israele con il sogno di cambiare la percezione di questo paese nel mondo, di farne una start-up nation appunto. Rendendola su misura di bici. E il ciclismo professionistico è la vetrina giusta per far amare la bici alla gente. Ci sono grandi investimenti dietro questo team e anche la qualità dei ciclisti è elevata”.
Qual è tra i suoi vini quello preferito da Adams?
“Edizione Cinque Autoctoni, da varietà abruzzesi e pugliesi, mette tutti d’accordo. Con questo vino saremo presenti anche a una raccolta fondi degli Orlando Magic per il Parkinson”.
Prevede un boom di vendite in Canada e Israele?
(Ride) “Israele è un mercato che rispetto alle sue dimensioni ci fa lavorare molto bene. Abbiamo un importatore unico e quando entriamo in un paese lo facciamo con tutte le aziende del gruppo. In Canada siamo uno dei main brand sul mercato. C’è il monopolio di stato che è indipendente per ogni provincia”.
Perché la Israel gli uomini forti in salita li porta al Tour de France e non al Giro, considerato che Vini Fantini è un marchio italiano? Perché non convince Froome a correre al Giro? È contento di essere il suo sponsor?
“Assolutamente sì, e mi riferisco all’ultima domanda, perché è il ciclista più conosciuto al mondo. Purtroppo quest’anno viene da un grave infortunio e non sta andando benissimo. Speriamo che ce la faccia a recuperare per il mese di luglio. Lo schiereremo al Tour de France, al Giro d’Italia ci sarà l’irlandese Daniel Martin, che è molto bravo, l’anno scorso è arrivato quarto alla Vuelta. Del resto la Vini Fantini è una realtà internazionale e una cassa di risonanza così importante in una gara dove lui ha ancora più appeal perché l’ha vinta quattro volte ci dà in termini di passaggi televisivi e servizi realizzati dai giornalisti di tutto il mondo una visibilità superiore. Per noi è meglio averlo al Tour. Comunque Daniel Martin, che correrà al Giro d’Italia, non è forte ma fortissimo e per me è uno dei favoriti. Molto dipenderà dalla forma che riuscirà a raggiungere. Se un ciclista arriva che va troppo forte, la terza settimana entra in crisi, invece se arriva piano perde troppo all’inizio e non riesce più a recuperare. Lui soffre sulle cronometro.
In Italia vi impegnate di più a vincere le singole tappe che non la classifica generale…
“Quando non ci sono corridori che possono arrivare nelle prime posizioni meglio vincere le tappe. Però con Daniel Martin puntiamo alla classifica generale, per poi averlo al Tour de France come sostegno a Froome”.
Schiererete il tedesco Greipel e gli farete il treno per vincere le volate?
“Dipende dalla sua forma. Avere un corridore come lui impone di mettergli davanti un treno e questo significa avere dei ciclisti che, piuttosto che essere adatti a sostenere Martin in salita, devono essere dei gran passisti, capaci di reggere un ritmo prolungato e altissimo in pianura. Lo stato di forma degli atleti ci dirà cosa fare, se scommettere sul velocista o fare una squadra compatta intorno a Martin e puntare alla classifica e basta. Martin secondo me può arrivare nei primi cinque, basta vedere cosa ha fatto l’anno scorso alla Vuelta, quando ha combattuto ad armi pari con Roglic fino agli ultimi giorni”.
A oggi, quale gara le ha reso di più in termini di pubblicità? E quali ciclisti?
“L’anno scorso con la Israel è stata un’annata fantastica perché avevano realizzato un pantaloncino dove la nostra scritta fluorescente si leggeva a qualsiasi distanza. Quello che conta è quanto facilmente si riesca a vedere il logo. Quanto ai ciclisti, sicuramente Giovanni Visconti e Alessandro Petacchi, grandissimi appassionati di vini che sono anche venuti a trovarmi in Abruzzo. A ogni vittoria si stappava. Al Tour De France non torno da quando vinse Petacchi, che, tra l’altro, l’anno scorso ha partecipato in Sudafrica a una gara di mountain bike, la Cape Epic, la più famosa al mondo, facendo un team con Francesco Chicchi, che abbiamo sponsorizzato. Sono due nostri ex ciclisti che hanno concluso la carriera correndo con la Vini Fantini. Un gran bella storia”.
In Sudafrica esportate?
“Avevamo iniziato da poco l’esportazione, poi è arrivato il covid. Ed è successo il caos. Hanno perfino vietato l’alcol per evitare che succedessero incidenti visto che negli ospedali c’erano pochi posti letto”.
Fanno bollicine e creano lo Champagne, promuovendolo con operazioni di marketing senza precedenti. Anche il Tour de France non ha eguali in termini monetari e di visibilità. I francesi sono più bravi di noi?
“Nel ciclismo il Giro d’Italia, negli anni, ha forse scritto delle pagine più belle del Tour de France, ma ciò che conta è la capacità di comunicare, di veicolare un messaggio. Se gli altri non sanno ciò che fai di bello, muore lì. La copertura del Giro d’Italia oscilla tra settecento e ottocento milioni di persone nel mondo, il Tour de France però sta a più di un miliardo e i diritti televisivi li vendono a prezzi molto più alti. I francesi hanno saputo capire per primi che dovevano internazionalizzarlo”.
De Marchi è maturo per vincere una bella tappa di montagna e anche una grande classica?
“Alla fine il ciclismo è uno sport di squadra. Dipende se al Giro dovrà lavorare per tenere in classifica Daniel Martin, e allora non potrà puntare a vincere una tappa. Comunque è un corridore di esperienza e qualità, si è sempre speso per gli altri. Arriverà l’occasione in cui potrà fare una grande vittoria”.
Come è iniziata questa sua avventura, che oggi è quasi una sorta di matrimonio, nel mondo del ciclismo? Sono stati Citracca e Scinto a tirarla dentro?
“Ho iniziato la mia esperienza nel World Tour una decina di anni fa. E il periodo più bello è stato quando con noi correva Alessandro Petacchi. Vinse una tappa a Reims, proprio davanti agli stabilimenti della Tattinger. Fu memorabile vedere il mio nome, Vini Fantini, nel tempio del vino, se si può catalogare come vino lo Champagne. Lui aveva preso una maglia verde e l’aveva portata fino a Parigi. Ricordo che c’erano delle persone che ci volevano bene e ci hanno voluto come sponsor. In sostanza, piuttosto che tenere uno spazio vuoto ci hanno chiesto di dargli quello che potevamo. Tante squadre hanno solo un nome e tanti spazi liberi. Poi ci sono dei casi in cui a un management fa piacere che ci sia proprio tu perché gli piace il tuo progetto e pertanto sono disposti a venirti incontro. Con Scinto e Citracca ci sono stato tanti anni fa, poi ci sono ritornato perché un grande amico, Giovanni Visconti, mi ha chiamato dicendomi se potevo aiutarli in quanto avevano perso proprio all’ultimo uno sponsor importante. Mi venne a trovare in Abruzzo e mi convinse a tornare in una squadra italiana, altrimenti il contratto sarebbe stato solo con la Israel. La mia avventura è iniziata come co-sponsor di Lpr, l’anno successivo sono passato alla Lampre, a seguire sono stato main sponsor della squadra di Citracca e Scinto e poi ho seguito un progetto bellissimo, in collaborazione con l’Università di Chieti, dove con un gruppo di amici sponsor abbiamo messo in piedi una squadra che doveva essere un esempio per la trasparenza, la Nippo – Vini Fantini, general manager Francesco Pelosi. L’altro main sponsor era un innovativo colosso giapponese di costruzioni e asfalto, la Nippo Corpration, che ha cinquantamila dipendenti ed è stata tra i primi a realizzare gli asfalti colorati. Gli atleti oltre ai controlli a sorpresa stabiliti dall’Unione ciclistica internazionale si sottoponevano a un capitolato di controlli fuori dai canoni Uci. Chi voleva mantenere i propri dati coperti dalla privacy non poteva correre con noi. Non ci interessava vincere o perdere, ma dare un messaggio diverso, di trasparenza totale. La vittoria non era un obiettivo ma un effetto collaterale. Se un ciclista non ci convinceva, anche se rispettava le regole dell’Uci, per noi non era pulito e veniva sospeso. Un’esperienza unica al mondo. Abbiamo preso come uomo immagine Damiano Cunego, soprannominato il ‘Piccolo Principe’, che per me è una icona della pulizia nello sport, e intorno a lui abbiamo costruito una squadra. Abbiamo fatto delle cose bellissime e abbiamo dimostrato in cinque anni che il ciclismo si può fare in modo diverso, ma bisogna investire. Se si investe tutto nella prestazione, non ci sono risorse per i controlli e viceversa. Purtroppo non abbiamo potuto portare avanti il progetto perché ci assorbiva troppe energie e avevamo altri impegni. L’idea era di riuscire a vincere una tappa al Giro d’Italia, ci siamo riusciti con Damiano Cima in una gara da batticuore. Un anno fa è arrivata la Israel, che ci onora. Sono stati loro ad accettare noi, non il contrario”.
Come è stata la sua esperienza con i giapponesi?
“Siamo andati oltre il lavoro perché si era creata un’amicizia strettissima. Ogni grande corporation giapponese cerca di fare qualcosa per il sociale. La Nippo aveva anche un team di serie A di baseball, che è lo sport nazionale, e aveva costruito tante piste per il keirin. Il presidente della Nippo, però, non era mai andato a vedere una gara ciclistica, ci venne con noi per la prima volta, se ne innamorò e oggi anche lui è sponsor di una World Tour.
E la sua passione per il ciclismo quando nasce? Sui social posta fuori pista di chilometri e chilometri…
(Ride) “Faccio conoscere a chi mi segue per i vini degli scorci del mio amato Abruzzo, una regione bellissima che si presta a un turismo slow per una autentica riscoperta delle eccellenze agroalimentari. La passione, però, nasce da ragazzino. Ero un ciclista e correvo a livello giovanile, il gradino prima del professionismo. Uno dei tanti sognatori che si impegnava oltre le proprie forze per vincere, pur non avendo capacità straordinarie, fondamentali per diventare un campione. Oggi dico anche ‘per fortuna’, perché non sarei l’imprenditore che sono e non potrei fare quello che faccio per supportare questo sport. Con mia mamma guardavo tutte le tappe in tv, un’abitudine religiosa. La prima bici, però, l’ho comprata insieme a mio papà, che era direttore della cooperativa di vino più grande di Crecchio. La ricordo benissimo: era una Legnano di color verdino e di seconda mano, la pagammo novantamila lire. La utilizzavamo in due. Io lavoravo caricando i vagoni di uva da tavola che partivano per la Germania. Era il periodo in cui nei week-end non si poteva circolare con le auto, c’era la crisi del carburante e fecero questa forma di lockdown per qualche mese, quindi bisognava utilizzare la bici o tutt’al più camminare. Il Giro quest’anno parte da Notaresco, dove abbiamo l’azienda agricola più importante, passa a Roseto degli Abruzzi davanti alla cantina di vinificazione principale, davanti alla cantina dove lavorava mio padre a Crecchio e davanti al nuovo stabilimento che sarà finito tra un mese. Segue la nostra storia. Al mio paesino non ci sono mai passati in centotré edizioni”.
Il nuovo stabilimento che capacità produttiva avrà?
“Sarà un grande centro di imbottigliamento, con due linee modernissime, appena finite di montare, la cantina di alimentazione, i magazzini, per un totale di quasi ventimila metri quadrati coperti e una capacità di circa venti milioni di bottiglie. È super automatizzato, con sistemi rigorosi di controllo del packaging”.
Mi dice quali valori la rispecchiano e che ritrova nel ciclismo?
“La capacità di sacrificarsi, di lavorare per raggiungere un obiettivo”. E la capacità di credere nella bellezza dei propri sogni. I nostri ragazzi sono giovani che desiderano costruire qualcosa di speciale per il loro futuro. E io mi rivedo in questo loro sogno. Sogniamo insieme”.