Come l’intelligenza artificiale rivoluzionerà, nel bene e nel male, la nostra vita? Ne Il dominio dei robot di Martin Ford sugli effetti della robotizzazione, la visione è di come le fauci dell’automazione già adesso minaccino anche i lavori più qualificati. Se lo avete letto, accantonatelo. Così ho fatto io partecipando alla diretta streaming, dalla Collina dei Ciliegi, del Verona Wine Web, convegno di networking e confronto per aziende e operatori, quest’anno sull’intelligenza artificiale come leva per lo sviluppo sostenibile nella filiera del vino. Il focus è sulla sfida dell’A.I., l’innovazione tecnologica del secolo, applicata anche al mondo dei trattori dove la ricerca è strabiliante, per creare valore aggiunto nel settore vitivinicolo. E, ovviamente, per dare valore aggiunto a un territorio non si può non partire dalla campagna. L’innovazione in campo agricolo è lenta? Sì, è un mercato che si muove con il ritmo delle stagioni, legato alla natura e alla terra, con tempi diversi dalla finanza. Al tema della lentezza si affianca quello del mercato polverizzato: l’azienda media è di 15 ettari in Italia e la capacità di spesa di un coltivatore non è illimitata. Un fatto è, però, certo: dare valore al territorio passa attraverso una parola inflazionata soprattutto dal greenwashing, la sostenibilità. L’agricoltura, responsabile di quasi il 15% delle emissioni in atmosfera ogni anno, ha il dovere di cambiare la percezione investendo in pratiche sostenibili e il progresso tecnologico è l’unica cosa che può portare ad accelerare questo processo, che offre una serie di vantaggi: riduzione degli errori, ottimizzazione delle risorse e aumento significativo della produttività, portando a una produzione di alta qualità con costi ridotti.
“In questo momento storico abbiamo la necessità di mettere a frutto le migliori intelligenze del Paese. L’esperienza di Massimo Gianolli – presidente e amministratore delegato di due distinti mondi imprenditoriali, Generalfinance e La Collina dei Ciliegi – è quella che assolutamente serve in termini di distinguo per tutta la filiera vitivinicola e, di conseguenza, può essere estesa a tante altre filiere produttive. Il mercato è sempre più globale, richiede una maggior concentrazione a livello di esportazioni e per poterlo affrontare servono conoscenza e formazione più approfondite e precise. Per raggiungere l’obiettivo gli investimenti nell’innovazione ci possono essere di grande aiuto”, spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. “I dati saranno fondamentali: dobbiamo raccoglierli per utilizzarli nelle fasi di trasformazione e offrirli ai cittadini consumatori di tutto il mondo. Penso alla tecnologia blockchain, a un semplice QR code che avvicinando un dispositivo telefonico ti permette di tradurre in tutte le lingue del mondo quello che hai fatto nella tua azienda e, quindi, la tua reputazione. Un modo per ciascuno di evidenziare il proprio profilo distintivo, sia esso legato alla sostenibilità o ai vitigni autoctoni di cui l’Italia è il paese con il maggior numero, senza demonizzare i vitigni internazionali con cui si può fare un prodotto di altissima qualità perché parte dal territorio, vero valore aggiunto, dove sono coltivati. L’innovazione la dobbiamo affrontare come sistema Italia per essere credibili nel mondo, sarebbe un errore pensare che basti la testimonianza di una singola azienda. È arrivata la stagione dove il sistema produttivo deve avere il coraggio, in un confronto costruttivo con le istituzioni, di cambiare il paradigma della gestione dell’internazionalizzazione. Serve un sistema di rete internazionale che vede nelle ambasciate non solo un luogo di rappresentanza istituzionale ma un primo approdo per gli scambi di carattere commerciale, con figure professionali adeguate che aiutino le nostre imprese ad entrare in mercati rilevanti. Non si può più essere generalisti, serve cura del dettaglio, come ci insegna l’imprenditore Bernardo Caprotti, che sul dettaglio ha fatto il suo elemento di forza creando le condizioni per cui la sua catena distributiva è diventata un punto di riferimento. Sul dettaglio noi possiamo costruire dei percorsi proficui”. Affonda: “Le risorse del Pnrr vanno incanalate nel modo migliore. Come organizzazione abbiamo preso una posizione scomoda negli ultimi due anni, spingendo l’esecutivo a rivedere quale era la destinazione delle risorse. Nulla contro i comuni ma, al di là di rifare i marciapiedi o sistemare le buche nelle strade, servono progetti concreti che riguardino direttamente le imprese e le filiere, e sotto questo punto di vista abbiamo spostato più di tre miliardi a favore della filiera agroalimentare. A questo si unisce un tema più ampio che è infrastrutturale. Quando siamo in un anfiteatro, in una zona di prestigio e di valore, non possiamo più avere bruttezza intorno a noi. Un esempio è l’interramento dei cavi dell’alta tensione, che porta ad un territorio in armonia con la sua bellezza intrinseca. Un ulteriore investimento riguarda le infrastrutture. Serve una banda larga, anche per la gestione dei dati, diffusa su tutto il territorio, soprattutto nelle aree interne per contenere una forma di spopolamento”. Continua: “L’ottica di sviluppo del nostro paese è il trasporto su gomma per come lo abbiamo avuto negli ultimi 50 anni, che ci porta ad essere fortemente penalizzati negli scambi commerciali. Oggi che sviluppiamo l’alta velocità per il trasporto passeggeri su rotaie, mi auguro che questo possa avere un ampliamento al trasporto delle merci, come sta accadendo nei paesi più avanzati. Contestualmente bisogna sviluppare un tema di logistica in termini di collegamento con il sistema marittimo, perché noi riteniamo che le vere autostrade del futuro siano i porti, non l’asfalto. Anche il sistema cargo può avere un indice di crescita”. Rimarca: “Quando noi vogliamo creare valore dobbiamo parlare di questo”.
(Bakus, la risposta di VitiBot, rasaerba elettrico completamente automizzato in funzione alla Collina dei Ciliegi)
Christian Marchesini, presidente del consorzio Valpolicella, parla dei nuovi scenari sfidanti che attendono il territorio, a partire dal consolidamento della transizione green, necessaria per affrontare al meglio le nuove dinamiche di consumo nei diversi mercati mantenendo posizionamento, crescita e redditività della denominazione in futuro. “Siamo stati tra i primi ad avere una certificazione. Il progetto RRR del 2010 – riduci, risparmia, rispetta -, di certificazione del territorio per abbassare la tensione fra cittadini e viticoltori, è confluito nella SQNPI, di rilevanza nazionale. Con la vendemmia 2022, nel sistema Valpolicella, ossia 19 comuni a nord di Verona per 8600 ettari in produzione, il 42% sono certificati sostenibili e all’interno di questo 42% ci sono oltre 1400 ettari a conduzione biologica. Molte aziende sono partite con la certificazione di sostenibilità e poi sono passate al biologico. Un grande successo per il nostro territorio”.
Tre gli obiettivi per il prossimo futuro. Christian Marchesini: “Implementare la sostenibilità, basti pensare che quest’anno ci avvicineremo quasi al 50%. Secondo, il riconoscimento Unesco per la tecnica della messa a riposo delle uve in Valpolicella. Dieci anni fa siamo partiti con il percorso per ottenere la candidatura a patrimonio immateriale dell’Unesco e il 13 e 14 novembre saremo sia alla camera dei deputati sia al senato della Repubblica, a Roma, nell’ambito del ventesimo anniversario della Convenzione del 2003 che tutela tradizioni, consuetudini e prassi della storia dell’umanità e del mondo a presentare la nostra candidatura, che sarebbe il premio a fronte di 1600 anni di storia e tradizioni trasmesse di padre in figlio, che logicamente si sono evolute dal punto di vista tecnologico per stare al passo con i tempi. Terzo obiettivo, ambizioso, è costruire sul territorio della Valpolicella le Uga, l’identificazione degli areali, ossia le tredici vallate che dividono perpendicolarmente i sessanta chilometri a nord di Verona. Per un vino con caratteristiche ancora più restrittive, anche se sarà difficile perché quando si vanno a toccare diritti acquisiti tutti si agitano. Ne aggiungo un quarto, ossia far riconoscere ai collezionisti di tutto il mondo l’Amarone come il grande vino da lasciar riposare, senza fretta di berlo. Questo accadrà con un controllo sempre più rigoroso sulla qualità per far sì che il nostro vino di punta sia il vino che chi ha voglia di investire sulla Valpolicella acquista per dimenticarlo in cantina e aprirlo dopo dieci anni, quando sarà ancora più buono”.
Con l’obiettivo di andare oltre la sostenibilità nella comunicazione del settore vitivinicolo, perché considerata ormai un dato acquisito e imprescindibile, come accade negli Stati Uniti, dove gli articoli sul tema sono i meno letti.
C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti, diceva Henry Ford.
(Valpantena)