Walter Speller a Modigliana ha più volte sottolineato il termine “post modern wines”, vini in grado di coniugare eleganza e complessità, freschezza e sostanza, misura, armonia e bevibilità con un’ottima capacità di invecchiamento. Vini in cui prevale il territorio sulla varietà, quindi non ce n’è uno migliore degli altri. Sono vini che non strizzano l’occhio agli eccessi: di struttura, di dolcezza, di legno, di grassezza. Vini che cercano l’armonia per sottrazione più che per addizione: fine wines. Sono vini che sanno legare cuore e testa di quel fazzoletto di piccoli produttori che fanno parte dell’associazione “Stella dell’Appenino”. Perché ciò che conta prima di partire è conoscere la meta, con quali forze ed equipaggiamento raggiungerla. I risultati, quelli veri, si raggiungono coesi e con un progetto che prima di essere economico è culturale.
Sono vini originali, ossia connotati da una tipicità che permette di riconoscerli in mezzo agli altri. Vini frutto di un processo di pedogenesi, di una sinergia continua tra rocce e bosco. Vini che innovano una tradizione migliorandola. Una vera rivoluzione stilistica che si nota principalmente in quel Sangiovese di Romagna che riesce a staccarsi nettamente da quello che è stato finora nel nostro immaginario il Sangiovese di Romagna.
“Sulla carta geologica dell’Appenino tosco-romagnolo c’è una linea retta a separare le prime colline dall’Appenino più alto. È la linea che separa le argille della prima quinta collinare dalla formazione marnoso-arenacea che caratterizza l’Appennino romagnolo”, spiega Giorgio Melandri, titolare dell’azienda vinicola Mutiliana. “Il Sangiovese è un grande lettore dei territori. Sulle argille ritroviamo frutto e tannini abbondanti e maturi, sulle marne e arenarie austerità, sale ed eleganza”.
Ibola è la valle più fredda, corta e stretta, attraversata dall’omonimo torrente che scende verso Modigliana precipitosamente. Il Sangiovese che ne esce è speziato e agrumato, austero, scuro nei profumi, con tannini che hanno bisogno di tempo per ingentilirsi. Il Sangiovese della valle di Tramazzo, invece, che vanta un movimento d’aria che scende dai monti più alti e garantisce grandi escursioni termiche, sviluppa note balsamiche, che evolvono con sfumature minerali. Per finire con l’Acerreta, una valle che deve il suo nome alla presenza storica di boschi di aceri, dove, tra l’altro, si trova il monastero camaldolese di Badia della Valle e l’eremo di Gamogna. Qui la parte vitata è quella bassa, segnata da forre e strapiombi dove emergono in maniera molto visibile i cuscini di marne e arenarie, l’unica di Modigliana raggiunta dall’aria dell’Adriatico. Il Sangiovese ne risulta materico, terroso, con frutto spavaldo domato da una bocca sapida e fresca. Siamo tra Brisighella e Modigliana, un’area che ha visto la nascita di un’azienda che ha dato lustro a tutto il territorio, Castelluccio, oggi gestita dai fratelli Rametta. Un nome che ha dimostrato, già all’inizio della sua storia, negli anni ’70, che a Modigliana si poteva fare un Sangiovese diverso, moderno, di grande qualità e longevità, bastava crederci. Come non ricordare il loro Ronco delle Ginestre.
Una degustazione, quella condotta dal critico internazionale Walter Speller, che ha saputo raccontare la storia della Romagna del vino in trenta annate memorabili con venti vini straordinari, dal 1992 al 2021 (di cui sotto riportiamo l’elenco completo). Vini di Modigliana e territori limitrofi. In anteprima assoluta, il Ronco della Simia 2020 di Castelluccio: attrattivo al palato, frutto succulento, tannini fini, ancora acerbo. “Sentiamo la responsabilità di quello che è sempre stato Castelluccio”, commenta Aldo Rametta. “Il Ronco della Simia è un vino da vigne storiche, di cinquant’anni, un’etichetta assente dal mercato per venticinque anni”.   
Walter Speller: “Negli anni ’90 in un ristorante londinese capiì che con Castelluccio ci poteva essere un grande Sangiovese di Romagna. Nel bicchiere trovai complessità ed edonismo, che è fondamentale”. Affonda: “Grande rispetto per Modigliana. Il Romagna Sangiovese è sempre stato sottovalutato ed è colpa dei romagnoli. Gli imbottigliatori hanno rovinato la reputazione. Laddove non c’è qualità non si può inventarla sul mercato. Il Sangiovese è uno dei più grandi vitigni rossi nel mondo. Si deve promuovere il meglio, con la mediocrità non si può fare marketing. Io cerco trasparenza, un impatto minimale nei vini. Per il vino in barrique ci vuole una mano intelligente. Il vino deve essere elevato dal legno e lo è quando quest’ultimo non si sente”. Conclude: “Adoro il Barolo, ma a Barolo non c’è un ettaro non vitato. Qui, invece, c’è ancora molta presenza boschiva, un paesaggio selvaggio che è una risorsa. I fine wines sono i vini più pregiati, più cari. Per alzare i prezzi ci vuole trasparenza, chiarezza e capacità di invecchiamento. Oggi manca un approccio internazionale. Voglio essere parte di questo cambiamento, mi eccita questa sfida”.
Giorgio Melandri: “C’è una stagione del vino nuova in Italia, che ha fatto pace con la tradizione. In Romagna abbiamo fatto vini che assomigliavano ad altre cose. Oggi stiamo riconquistando la nostra identità”.
Renzo Maria Morresi, titolare della Casetta dei frati: “La storia del vino di Modigliana ha radici nella cultura contadina, in quella gara di sopravvivenza che è stata per secoli la vita nell’Appennino tra Romagna e Toscana. Poi negli anni ’70, a Brisighella, arrivò Gian Vittorio Baldi, regista e produttore che qui doveva girare un film. Si innamorò delle colline che da lì salivano verso Modigliana. Da sempre aveva coltivato il sogno di produrre un grande vino in una zona sconosciuta. Un progetto che aveva inizialmente pensato per la Sardegna. La Romagna, però, era anche il territorio di origine della sua famiglia. Qui siamo, per usare le sue parole, né troppo vicino al mare, né troppo lontano. Nacque così l’azienda Castelluccio, affidata a un giovane agronomo, Remigio Bordini, con l’obiettivo di produrre grandi vini vinificando separatamente ogni singola vigna. Remigio scelse per il Castelluccio i migliori biotipi di sangiovese, quelli meno produttivi e quindi scartati dalla filiera che richiedeva quantità. Baldi ripeteva che aveva dato spazio a varietà scartate per ottime ragioni. Quindi la sua non poteva non essere la direzione giusta. Dalla mano del figlio Gian Matteo nacquero così i Ronchi, vini frutto di piccole vigne tra i boschi, amati da Luigi Veronelli, bottiglie che dopo quarant’anni sanno dire ancora la loro. Un’esperienza fondamentale per il nostro territorio, così come quella più recente di Emilio Placci con Il pratello, che a partire dagli anni ’90 ha realizzato vini complessi e ricchi di sfumature, piccole poesie nel bicchiere”.

                                                                                 

 

ELENCO VINI 

1992 – Castelluccio, Ronco Ciliegi

2001 – Il Pratello, Badia Raustignolo

          -Zerbina, Pietramora (Marzeno)

          – Calonga, Michelangiolo (Oriolo)

2004 – Il Pratello, Mantignano

2008 – Casetta dei frati, Framonte

         -Costa Archi (Gabriele Succi), Assiolo (Serra)

2010 – Paolo Francesconi, Limbecca (Marzeno)

2013 – Villa Papiano, Modigliana I probi

         -Nicolucci, Vigna del generale (Predappio Alta)

2015 – Mutiliana, Modigliana Acereta

2016 – Il Teatro, Modigliana Violano

        -Mutiliana, Modigliana Tramazo

        -Villa Papiano, Modigliana I probi

2017 – LU.VA, Modigliana Carbonaro

2019 – Pian di Stantino, Pian

         -Gallegati, Brisighella Corallo Nero (Brisighella)

2020 – Menta e Rosmarino, Modigliana Area 8

         -Castelluccio, Ronco della Simia (anteprima)

2021 – Fondo San Giuseppe, Modigliana Acerreta