Fra le grandi famiglie del vino italiano che si affacciano a un cambio generazionale importante una sicuramente è La Scolca, l’azienda perno della denominazione del Gavi guidata da Chiara Soldati, una visionaria che ha saputo proiettare il Gavi nel mondo e sulle tavole più prestigiose e che in tutti questi anni ha avuto, ed ha, l’abilità di coniugare il ruolo non facile di mamma con quello altrettanto non facile di imprenditrice. In quella che in molti chiamano la new wave del vino italiano, dove una nuova generazione di brillanti figli vignaioli ha il compito non altrettanto facile di guardare al futuro nel post covid, un futuro tutto da (ri)scrivere, confidando anche nel successo dei piani strategici del governo a sostegno dell’economia italiana, Ferdinando Caracciolo è senz’altro uno dei protagonisti. Quinta generazione, idee innovatrici in un contesto socio-economico che sarà inevitabilmente diverso, cercando di intercettare i gusti dei suoi coetanei, attento all’etica e alla comunicazione, soprattutto digitale, all’ecosostenibilità, collaborativo.  Con uno sguardo fresco, cristallino. “Ma per piacere non chiamatemi figlio di…”. Tutto questo (già) a diciotto anni. Per la nostra intervista lo distogliamo dagli studi su Pirandello, nella quiete del giardino di casa, fra  vigneti interminabili di uva cortese. La maturità scientifica è alle porte. Mario Soldati scriveva: “L’umiltà è quella virtù che, quando la si ha, si crede di non averla”.

Moet & Chandon qualche anno fa voleva acquistare l’azienda della sua famiglia. Una bella rivincita sapere che ci sarà una continuità familiare…

È stata una chiamata spontanea, ci tengo a sottolinearlo. Nessuno mi ha mai imposto nulla. Semmai sono stato educato a certi valori, mi hanno instillato la curiosità, sicuramente ho vissuto la storia e le sfide della mia famiglia, che col tempo sono diventate le mie e mi sono appassionato. Mi hanno sempre insegnato a inseguire i miei sogni, a testare le mie reali capacità, a provare a volare in alto. Occuparsi di un’azienda storica, importante, richiede lungo studio, tanta preparazione, ma soprattutto occorre metterci il cuore, viverla all’interno per vedere come nascono e si risolvono i problemi, un valore aggiunto che la scuola non può trasmettere. Lavorare in azienda è meraviglioso ma al tempo stesso complicato, bisogna crederci veramente per dare il massimo. Quanto a Moet & Chandon, se un’azienda così prestigiosa voleva acquistare La Scolca un motivo ci sarà stato e questo ci sprona a continuare. Il Gavi e l’uva cortese hanno grandi potenzialità e la mia famiglia ha creduto fin dall’inizio nel lungo affinamento, con una certa visione e sta ragionando sui vini bianchi come possibilità di investimento, di vendita en primeur. Oggi si  parla molto di questo tema di cui La Scolca è stata pioniera. Con il covid abbiamo imparato ad aspettare. La sfida sarà combinare tradizione e modernità in un mondo che sarà sempre più tecnologico.

Punterete sulla spumantizzazione?

Un’altra grande sfida sarà sviluppare la linea degli spumanti metodo classico, sulla quale ho peraltro lavorato durante lo stage, senza focalizzarsi solo sul vino fermo. Più avanti investiremo in una nuova linea di imbottigliamento e confezionamento. Ci sono tanti progetti interessanti relativi agli invecchiamenti, che coniugano anche una visione moderna. Durante il lockdown la richiesta di spumanti è cresciuta. Gli ordini sono misti e lo vediamo soprattutto adesso attraverso il wine club e l’e-commerce. Il nostro è uno spumante di nicchia, monovitigno, metodo classico, con invecchiamento piuttosto importante ed è molto apprezzato.

Nell’immaginario collettivo per un figlio d’arte la strada è in discesa…

Il nostro modello di società va rivisto, a partire dall’umiltà. Sono cresciuto e studio a Genova, l’anno prossimo frequenterò economia alla Liuc, a Castellanza, e non ho mai pensato di fare altro, ma in azienda mi metto a disposizione per crescere. Ho la fortuna e il grande onore di appartenere a una famiglia che ha fatto la storia della denominazione, il vino da noi è tradizione, ma prima di tutto è per me famiglia, perché ho passato sempre molto tempo qui a Gavi con i nonni e anche con la bisnonna. Mi piaceva  vedere la vendemmia, andare con nonno in vigna, stare in cantina e osservare tutto quello che succedeva. Chi ti affida la ‘cosa’ più importante che ha, merita un rispetto assoluto. Essere ‘figlio di’ non significa che si può fare tutto quello che si vuole. L’anno scorso sarei dovuto andare a studiare negli Stati Uniti, a San Diego, ma la pandemia non lo ha permesso, così ho fatto uno stage in azienda partendo dal basso. Mamma mi ha proposto di  lavorare in vigna con sveglia alle cinque del mattino e io invece di staccare alle due del pomeriggio restavo a seguire l’imbottigliamento e i lavori di cantina per capire e assorbire come una spugna da tutti quanti. È stato un crash test molto formativo. Per fare il general manager bisogna partire dalle basi, c’è un training da seguire e il lavoro è sempre nobile. E poi è importante viaggiare, confrontarsi con realtà diverse di produzione ma anche capire i meccanismi della logistica e del mercato, possibilmente affiancandosi agli agenti. Il raggio di esperienza è molto ampio. Si parte dalla vigna fino alla vinificazione e commercializzazione del prodotto. Ma in azienda non lavoro e basta. Come studio qui, soprattutto nell’ultimo periodo di dad, non studio da nessun’altra parte. 

Per cosa si sente più portato?

Sento che dovrò portare dei risultati, ho delle idee che dovranno prendere forma. Sicuramente continuerò sulla strada delle innovazioni che mia mamma sta portando avanti, perché la competitività si giocherà molto sull’aspetto strutturale e gestionale dell’azienda, sui suoi meccanismi. Il lato commerciale sarà  l’ultimo aspetto che seguirò perché presuppone le altre conoscenze e abilità. Sono molto interessato a tutto ciò che è tecnica e tecnologia. Abbiamo finito un impianto radio per potenziare il canale wi-fi. Mi trovo e mi troverò a misurarmi con le sfide dell’azienda 4.0. Come mi ha sempre insegnato mia mamma, l’espansione è importante, dobbiamo essere creativi perché abbiamo il compito di portare una denominazione, piccola in termini di produzione, nel mondo, dove sono privilegiate le varietà internazionali. Il Covid ha azzerato, ha messo tutti allo stesso livello. Chi ha solidità, i partner giusti ed è percepito come autentico andrà avanti.

Sarà un futuro sempre più sostenibile per La Scolca?

Noi  ragazzi del nuovo millennio siamo molto attenti alle tematiche green e alla sostenibilità a partire dalla vigna. La pandemia ci ha fatto riscoprire il valore della natura e di un ambiente salubre in cui vivere e lavorare. In azienda stiamo per iniziare un percorso per la certificazione Iso. Vogliamo contribuire a lasciare un mondo pulito a partire da tutti i nostri processi produttivi. In zona ci sono state importanti attività di deforestazione e questo è un grande peccato per il patrimonio di insetti, cui teniamo. Quando la mia famiglia acquista i vigneti compra anche i boschi per mantenere la biodiversità intorno alle vigne.

Qual è il rapporto con il vino dei giovani della sua età? Sono abbastanza educati in tal senso?

Da quando siamo maggiorenni e nei week-end in cui possiamo vederci, io e alcuni amici abbiamo iniziato a bere un bicchiere di vino a cena. Ho notato che c’è molto interesse sia per la storia dell’azienda sia a capire cosa c’è dietro una bottiglia. È un argomento che andrebbe insegnato e approfondito nelle scuole perché oggi manca una cultura del vino nei più giovani, cultura del vino che passa anche attraverso l’alimentazione. Forse bisognerebbe riappropriarsi di tutte quelle tradizioni regionali che fanno grande il nostro paese e la nostra gastronomia. A me piace molto cucinare e abbinare i vini al cibo, come la pasta con le vongole  o con le arselle o una cacio e pepe con il Gavi dei Gavi Etichetta Nera. A livello di azienda, cerchiamo di tramandare sempre di più la cultura del vino e del consumo responsabile. L’obiettivo è spiegare i valori legati alla terra. Nell’ambito delle wine experience faremo dei corsi di yoga e vino, yoga e golf, cicloturismo, decoro con composizione di fiori e frutta per dimostrare che la fruibilità del territorio rurale può dare serenità.

Quali sono i canali di vendita che i suoi coetanei utilizzano maggiormente?

Oltre a Vivino e Vino75 oggi Vino.com, un canale molto utilizzato ultimamente dai giovani è winelivery, che non è un semplice carrello dove ad orientare il cliente è la promozione, ma ti aiuta nella scelta, è molto immediato e al tempo stesso curato, il vino arriva a casa in mezz’ora alla temperatura giusta. Io investo parte dei miei risparmi nell’acquisto di bottiglie, soprattutto champagne, da tenere lì per costruirmi una piccola collezione e mi accorgo che le app sono quelle che funzionano meglio. Vivino è molto incentrato sulla community, offre anche dei corsi monotematici abbastanza brevi su diversi tipi di vini e vitigni, ogni utente può recensire la bottiglia. I listini non dovrebbero essere troppo ampi, ma ben studiati, non come in certi e-commerce dove ci si perde. Per noi è importante aderire oltre che all’e-commerce alla community. Da gennaio abbiamo attivato una collaborazione con Vinhood. In pratica all’interno del nostro sito c’è un’icona con la lettera V che è una guida sensoriale. In base alle preferenze gustative del cliente, assunte attraverso una serie di domande, viene suggerito quale vino all’interno del nostro portfolio risponde alle sue esigenze. Noi giovani, in genere, abbiamo una reticenza ai vini troppo aspri perché arriviamo dal consumo di succhi di frutta, tè freddi e altre bevande dolci, quindi è impossibile che il nostro  palato sia pronto nell’immediato per i vini minerali, che sono semmai uno step successivo. È fondamentale essere guidati. Proprio per questo selezioniamo molto chi vende il nostro vino. Deve passare un messaggio di qualità. È come acquistare un vino in libreria col libraio che ti guida e spiega piuttosto che online. L’online, che sarà sempre di più il futuro, funziona e funzionerà bene se supportato da una informazione adeguata. E comunque non dimentichiamoci mai, e mi rivolgo soprattutto ai miei coetanei, del contatto umano, di andare in azienda ad acquistare una bottiglia, a parlare con il produttore. Mario Soldati scriveva che “la nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un oggetto staccato e astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due o tre di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati”.

Lei è particolarmente fortunato rispetto a tanti altri suoi coetanei…

Sono consapevole di essere fortunato. Devo ringraziare mia mamma perché da quando sono piccolo ha sempre aggiunto un mattoncino in più, mi mostrava delle cose nuove e mi ha reso sempre più partecipe delle dinamiche dell’azienda. Durante lo scorso lockdown mi ha coinvolto nella creazione del nuovo prodotto, nel design dello spumante e sempre di più mi informa delle scelte aziendali anche se ovviamente non ho potere decisionale. Il layout dell’e-commerce è partito da me. Ho seguito diversi corsi di programmazione improntati alla creazione dei siti web e mi piacerebbe seguirne alcuni di grafica per curare etichette, brochure, inviti. Ho da poco partecipato a un corso organizzato dalla Bocconi sulla comunità europea. La vita è una scalata e nello zaino mettiamo cose diverse che poi possono servire.

Qual è l’insegnamento che le ha forgiato il carattere?

Non abbattersi di fronte alle difficoltà che nella vita inevitabilmente si presentano, sia si tratti di un brutto voto a scuola sia di un insuccesso lavorativo. Bisogna perseverare con grinta, determinazione e coerenza. Amo il golf e lo sci, che mi hanno insegnato il fair play, a rapportarmi con altre persone. Non ho mai praticato sport di squadra però mi sono sempre affezionato al gruppo che sta dietro gli sport individuali.