Per capire i vini del Roero la chiave è la presenza della sabbia nel terreno. “Il territorio del Roero è una zona molto vicina a quella delle Langhe, ma in realtà la parte nord, la zona dell’Albese, ha una conformità geologica tutta sua. Sono terreni molto giovani rispetto alla Langa o alla Langa astigiana, ci sono circa 8-9 milioni di anni di differenza. Le nostre terre sono emerse solo 2-3 milioni di anni fa. Questo è importante perché il nostro è un terreno più sciolto, più ricco di limo e soprattutto di sabbia che dà eleganza e frutto al vino. La sabbia è uno dei precursori degli aromi. Rinnovando un vigneto, a poche decine di centimetri dalla superficie abbiamo trovato in abbondanza conchiglie, classica testimonianza che nel Roero ci fosse il mare”, spiega Francesco Monchiero, produttore, con studi alla Scuola Enologica di Alba, e primo presidente, oggi al terzo mandato, del Consorzio del Roero. Una cantina che sulle annate giovani di Arneis riesce a conquistarci con vini già molto composti, equilibrati, che hanno tanto da dire nel bicchiere. Il Recit, il primo vino degustato, è giovane ma già pieno al palato. Per capire la visione della famiglia, basti pensare alla bisnonna Clotilde Valente, che nel 1918 comprò il primo vigneto sulla collina di Mombirone, che circonda l’abitato di Canale, e iniziò la vinificazione della Barbera, inizialmente venduta sfusa, imbottigliata a partire dal 1961 – la Doc Barbera d’Alba arriverà diversi anni dopo – con l’indicazione Grand Cru, alla francese, e già allora il nome del vigneto in etichetta. Nel 1961!
“Il Roero è un territorio fortunato perché ricco di biodiversità e altre colture, come pesche,  fragole, asparagi, tutte con i loro magnifici profumi che derivano dalle sabbie. Abbiamo terreni che vanno da un minimo del 20% di sabbia ad altri con un massimo del 90 per cento. Alcune colline sono più che altro grandi dune”.
Monchiero Carbone:  35 ettari in 4 comuni. In un Roero che non è solamente bianco, anzi fino a 40 anni fa era per la quasi totalità rosso. La situazione si è capovolta quando i vignaioli hanno intuito le potenzialità dell’Arneis. L’avventura di ricerca e sperimentazione sull’Arneis per connotarlo con una forte identità territoriale inizia per l’azienda nel 1994 proprio con Francesco. “Nel Roero intorno al 1400, come da archivi storici della famiglia Malabaila di Canale, la collina di Renesio si era differenziata per la coltivazione di uva a bacca bianca. Anche noi oggi abbiamo un vigneto su quella collina particolarmente vocata per l’Arneis, una sorta di Cannubi del Roero. L’Arneis viene definito il Nebbiolo bianco perché il grappolo compatto, alato e con acini piccoli assomiglia al nebbiolo, quando in genere le uve bianche hanno acini abbastanza grandi. È un’uva che matura presto, già alla metà di settembre. Un tempo veniva piantata in mezzo alle vigne di nebbiolo per proteggerlo dagli attacchi degli uccelli”.
Arneis che è stato riscoperto in un secondo momento. “Perché siamo nell’Albese che ha sempre parlato la lingua del Nebbiolo e del Barbera. Qui c’era una fortissima coltivazione di queste uve. L’Arneis si riscopre solo alla fine degli anni ’80, prima ce n’erano solo una trentina di ettari in tutto il Roero, ma nessun vigneto specializzato, qualche filare in mezzo ad altre varietà. La sua fortuna è che non è mai stato un vino di moda. Le mode sono fatte per passare. Inoltre ha bisogno della sabbia, e qui c’è. Il territorio è cresciuto lentamente nel tempo e dai trenta ettari di allora siamo passati ai circa mille attuali. Una lenta cavalcata di un vino che si è fatto apprezzare sul mercato”.
Un vino che in passato era venduto solo in Italia, ma che in tempi più recenti è entrato in (quasi) tutti i mercati maturi per i vini bianchi. “La Favorita, invece, altro autoctono piemontese, ha vita breve e non può affrontare i mercati lontani. Qui da noi beviamo già la 2021, all’estero non sarebbe possibile. Gli Usa staranno finendo l’Arneis 2019 e iniziando il 2020, in Giappone siamo ancora probabilmente al 2018. Quindi dobbiamo avere un vino bianco con una longevità per affrontare la sfida dell’estero”.
Con le menzioni geografiche aggiuntive il focus è più che sul vitigno sul territorio. “È il territorio che deve riconoscersi con una impronta eloquente. Dobbiamo solo fare il passo che Gavi in maniera lungimirante ha fatto molti anni prima. Quando il cortese incominciava ad essere impiantato in tutto il Monferrato Gavi si identificò col vitigno. Il Roero ha una unicità rispetto ad altri territori: è un’area abbastanza piccola, appena 19 comuni, ma con la fortuna che sullo stesso terreno nascono sia grandi bianchi sia grandi rossi, cosa che non accade nella zona del Gavi, del Derthona, del Barolo, del Barbaresco. Abbiamo un Nebbiolo diverso e l’asso dell’Arneis anche riserva. Questa è una caratteristica che accomuna il Roero alla Borgogna. Dal 2017 si può scrivere in etichetta Roero senza altre specificazioni del vitigno. C’è, quindi, il Roero bianco e rosso. Questa è la scommessa che il consorzio ha voluto fare. Del resto anche in Borgogna la stessa menzione può produrre sia il bianco sia il rosso”.
Monchiero Carbone ha diviso il suo Arneis in base alla percentuale di sabbia dei terreni, sabbia che determina l’intensità dei profumi. Tre le selezioni di Roero bianco. Il primo Arneis che degustiamo è un vino frutto di un raggruppamento di vigne più o meno con le stesse caratteristiche, da classico terreno del Roero con mix di sabbia fra il 20 e il 50%. Il Recit 2021, in dialetto piemontese “piccolo re”, ha un fruttato intenso che appena imbottigliato ricorda la pesca bianca, la pera, è un bianco corposo, di struttura, senza spigoli, in equilibrio fra la parte grassa, alcolica, e quella acida, che riempie il palato, quindi versatile dall’aperitivo a tutto pasto con cibi delicati come una tartare di manzo. Continua: “Poi ebbi la fortuna di un terreno nel comune di Vezza d’Alba, dove mio nonno Francesco Carbone piantava gli asparagi, molto sabbioso, e ci misi l’Arneis. Il vigneto della collina di Tanon, di circa un ettaro, che è un MGA, è destinato alla selezione Cecu”. Nel secondo vino degustato, annata 2020, ci sono solo due vigneti al suo interno, Tanon e Renesio. La vinificazione è la stessa del Recit ma i profumi sono differenti: nel Cecu sono più esotici, come banana, ananas, frutto della passione, anche se la vera differenza sta nel palato, ossia nella sua sapidità che induce alla salivazione continua. Il Cecu è, infatti, un vino salato, gastronomico perché pulisce la bocca ed esalta il gusto del cibo.  “Col tempo e col Cecu, che ha un’ottima attitudine all’invecchiamento, ci siamo resi conto che era necessario stoccare il vino, metterne da parte alcune bottiglie. L’Arneis è un vino bianco buono in gioventù, con frutto, eleganza, freschezza, un vino che si lascia bere subito e che incontra tanti mercati. Col Cecu, però, abbiamo capito la capacità di invecchiamento dell’Arneis, che comincia a virare verso profumi terziari piacevoli, anche di idrocarburi dolci, solo dopo 5-6 anni. Nel bicchiere Cecu 2010, dopo un 2018 ancora troppo simile al 2020 per freschezza, stacca con una vena sapida che si sente ancora, un’acidità più spiccata, un gusto finale dolce che ricorda il miele d’acacia, grassezza e spessore al palato. “La prima annata del Cecu, la 2004, ancora tiene”, dice Francesco Monchiero. “Nel 2016, sperimentando, abbiamo dato vita a un cru 100%  dall’allora vigna Renesio, diventato poi con le menzioni geografiche aggiuntive Renesio Incisa, una selezione limitata. “Sulle riserve stiamo vendendo ora l’annata 2017. Siamo sempre più indietro rispetto alle altre cantine, che sono già fuori con la 2018. Rispetto al Cecu, qui abbiamo cercato di aumentare il volume del vino, andando oltre sapidità e freschezza, con una bella albicocca secca che ritorna. Per ottenere questo risultato la tiratura sui lieviti è lunga”. In effetti, la 2017, è sprecata berla ora, andrebbe aspettata ancora un po’.
Gran finale alla cieca con Roero Printi Riserva 2001, da uve nebbiolo: al naso una piacevolissima speziatura, un po’ di tabacco, ancora freschezza al palato e molti anni davanti a sé. “La riserva nasce su terreni con percentuali di sabbia più basse, con qualche argilla in più. I tannini, pur se dolci, hanno in genere bisogno di un anno in più di invecchiamento”.
Il 90% del nebbiolo è coltivato fra Langhe e Roero. Nel Nebbiolo del Roero, però, si evidenziano profumi primari, di more, frutti rossi, invece nei Nebbiolo che nascono su terreni calcarei e argillosi troviamo più profumi secondari e terziari. La sabbia regala freschezza. Conclude: “Le uve qui da noi  hanno più intensità aromatica di frutti primari e tannini che sono dolci, rotondi, mai aggressivi. Sono vini che non hanno bisogno di un lungo invecchiamento per essere modellati e resi piacevoli alla beva. Nel Roero rosso la piacevolezza e l’eleganza sono quelle tipiche del Pinot nero di Borgogna”.
Belle sorprese. Già.