Roero e Langhe divisi dal fiume Tanaro. Due territori così vicini ma così diversi: terreni sabbiosi l’uno, argillosi l’altro. Il nostro stop & go in Piemonte con Ais Asti prosegue nel Roero da Malvirà, vini a Canale, a nord est di Cuneo, da tre generazioni. Qui intuiamo le potenzialità dell’Arneis, un vino nell’immaginario collettivo da bere giovane ma che sulle vecchie annate che Massimo Damonte e il fratello Roberto ci hanno aperto sorprende ancora per freschezza e bevibilità. Anzi, l’azienda conferma il livello qualitativo con punte di eccellenza proprio sulle annate più indietro.
Un vitigno importante l’Arneis, riscoperto non da tantissimi anni, diventato famoso grazie al Blangé di Ceretto, che ha segnato un’epoca rivoluzionando l’enologia langarola fino ad allora focalizzata sui vini rossi. “L’Arneis ha contribuito alla visibilità del Roero, che ne vanta una produzione importante. Il Roero Rosso su base Nebbiolo è elegante, delicato, raffinato però prodotto ancora in quantità esigua”, spiega il delegato Ais Asti Paolo Poncino, che ci accompagna in questo percorso piemontese a bacca bianca in attesa dell’omonimo evento primaverile dedicato ai vini bianchi del Piemonte. “L’economia delle cantine del Roero negli ultimi anni si basa sull’Arneis, un vitigno e un vino molto interessante, fruttato, con una acidità forse meno importante di altri bianchi ma che restituisce vini piacevoli, e può essere longevo. Anni fa in Ais Piemonte avevamo tentato un paragone col Gavi e alla fine, dopo tanti anni in bottiglia, non si riusciva bene a distinguere l’uno dall’altro per i sentori minerali che sono sorprendenti e che non ci si aspetta da un vitigno come l’Arneis. Si vinifica sostanzialmente fermo, ma anche le bollicine sanno essere interessanti”.
In totale Malvirà, che lavora totalmente in regime biologico, produce 350mila bottiglie, di cui il 55-60 % sono vini bianchi, il resto Nebbiolo e Barbera. A livello ancora sperimentale il Nebbiolo Metodo classico in itinere. La cantina è nota, però, per l’Arneis, di cui vanta diverse etichette: una vendemmia tardiva, il Rive Gauche metodo Charmat, l’Arneis senza uso di solfiti prodotto solo in qualche annata speciale e le tre chicche Trinità, il cru storico Renesio, Saglietto, quest’ultimo da un vecchio vigneto di famiglia, del quale, e solo da questo, attualmente l’azienda fa la Riserva: “La nostra prima riserva di Arneis, ammessa dal disciplinare a partire dal 2016, è Saglietto 2018, ma siamo già fuori con la 2019”, precisa Massimo Damonte. “Per come si vinifica oggi, l’Arneis ha ottime possibilità di invecchiamento. Il nostro parco vigneti, una quarantina di ettari principalmente a Canale, con vigne anche di quarant’anni, ci aiuta a raggiungere questa longevità sulla varietà. Cerchiamo di educare il consumatore ad aspettare il vino. Si impara pian piano dagli errori”. Continua: “L’Arneis è il nostro prodotto di punta. Lo scorso anno, a fine marzo, è arrivato il freddo e ne abbiamo prodotto di meno. Il calo medio sulla produzione di Arneis è del 40 per cento. Una minor quantità compensata, però, da parametri chimici perfetti per acidità, alcol, ph, che si avvicinano all’Alto Adige”.
Un territorio che ha più facilità a vendere sul mercato i bianchi, con cui si identifica, che non i rossi.  “I nostri Nebbiolo hanno un elevato potenziale, ma il loro problema è la comunicazione. Sono vini moderni nella tradizione. Se si chiamassero Barolo o Barbaresco il mercato risponderebbe con maggior sollecitudine”.
Quanto ai paesi target, dal 60 al 70% della produzione di Malvirà vola all’estero, principalmente Svizzera, Stati Uniti, Nord Europa, Giappone, fra i mercati nuovi la Cina”, spiega Roberto. “Le nostre zone fino agli anni ’60-70 vendevano la maggior parte del loro vino sfuso in damigiana. Era una zona ricca questa, la prima viticola arrivando da Torino. Per assurdo le cantine ad aprile erano vuote, con i contadini che mettevano due soldi in tasca ed erano felici così. Un discorso qualitativo è subentrato con la nostra generazione, a fine anni ’70, quando le cantine hanno iniziato a imbottigliare. Questo ha portato a un’elevazione della qualità e a confrontarci con mercati molto noti. L’Arneis è stato un vino che ha fatto la fortuna del territorio anche se culturalmente il Roero è come le Langhe, ossia rosso da uva nebbiolo. Il Nebbiolo qui da noi è sempre stato interpretato come un vino dalla beva piacevole, perché queste sabbie regalano profumi molto pronti, floreali, fruttati. Noi nel 2019 abbiamo iniziato anche a spumantizzarlo come Charmat lungo, 10-11 mesi sui lieviti, e in stock in cantina riposa un primo imbottigliamento di Metodo classico con l’obiettivo di arrivare almeno a 48 mesi. Il Nebbiolo di queste zone ha chances interessanti anche nella spumantizzazione. Bisogna gestirlo, però, perché i tannini sulla sabbia sono più dolci”.
In cantina degustiamo diverse annate storiche in vendita, la più vecchia per il Roero Rosso è la ’98, invece per l’Arneis la 2013. “Ragioniamo come un’azienda della Borgogna, che conserva le vecchie annate”, spiega Massimo. “Tutti i nostri vini rossi sono affinati almeno 20-22 mesi in legno. Storicamente usavamo solo la doppia barrique, da qualche anno ricorriamo anche a botti più grandi austriache, le Stockinger, da 25 e da 50 ettolitri. Queste botti le stiamo sperimentando sia sui bianchi sia sui rossi, per esempio il Saglietto Riserva è affinato solo in botti grandi da 25 ettolitri. Cerchiamo sempre di vinificare ogni singolo vigneto in lotti separati”.
La nostra degustazione parte con il Rive Gauche, uno Charmat da aperitivo, con basso residuo zuccherino per renderlo più gastronomico, il cui nome deriva sia dal fatto che il Roero si trova sulla riva sinistra del Tanaro, sia dal significato dialettale letterale “colline storte”. Seguono 4 Arneis cavalli di battaglia dell’azienda: il classico 2020, blend di tutti i vigneti, che fa solo acciaio, due menzioni geografiche, una il Renesio 2019 e l’altra il Trinità 2020, la prima uscita della riserva del Saglietto, la 2018, e anche la seconda, la 2019.
Sulle menzioni geografiche è stato eseguito il restyling delle etichette a partire dall’annata 2020. “Si punta più che sul nome aziendale e sulla denominazione sulla menzione geografica”, spiega Massimo. “Tutte le grandi zone del vino stanno mappando i territori, che finiscono per prevalere sulla varietà e sul brand, anche perché la varietà dell’uva non è difendibile ma il territorio sì. Pensiamo al Sauvignon, che si pianta in tutto il mondo”. Continua: “Trinità è la nostra area più sabbiosa. Il Roero parte da ovest con colline di sabbia quasi di mare, verso est, invece, i terreni diventano argillosi e si avvicinano a quelli di Barbaresco. In genere delle menzioni non facciamo mai provare l’ultima annata in commercio perché secondo noi è ancora troppo giovane, ma stavolta facciamo un’eccezione”. In effetti la 2019 del Trinità che ci propone dopo la 2020 è più pronta. “Il nostro sogno sulle menzioni è saltare l’anno. Sul Saglietto lo stiamo facendo”.
Renesio è un prolungamento verso est della collina, dove i terreni sono più argillosi. “È una proprietà sulla sommità che dà risultati importanti a livello di struttura”, spiega Massimo. “Le vigne sono vecchie e da qui arrivano Arneis che possono durare moltissimo nel tempo pur essendo vinificati solo in acciaio”.
Una gran bella sorpresa sono il Renesio 2013, fresco e dalle raffinate note di zafferano, e il Saglietto 2014, più minerale e con una complessità maggiore. “Saglietto è il prolungamento della collina di Renesio. Il vigneto è storico e cambia l’esposizione, principalmente verso est e sud est. Volevamo creare un Arneis che potesse entrare nelle carte dei migliori ristoranti al mondo”.
Gran finale con un Sauvignon Blanc 2008, affinato solo in acciaio e perfetto se abbinato con tartufo bianco, funghi o qualche toma stagionata di Roccaverano, e con il Roero Riserva Renesio 2009, affinato per una trentina di mesi in botti di rovere, dai profumi tipici borgognoni, un rosso che si beve anche d’estate, fresco, elegante nel suo quadro olfattivo boschivo, di radici, spezie dolci, liquirizia, frutti rossi e scorza d’arancia, con un tannino per niente invadente che si integra con la morbidezza.
Da non perdere l’esperienza turistica fra piatti gourmet e relax a Villa Tiboldi, un complesso settecentesco oggi relais. In un Piemonte a bacca bianca che vale la pena di vivere.